REPLICHE ESCLUSIVE DEL FILM “HANNAH ARENDT”

REGIA DI MARGARETHE VON TROTTA

immagine interna

Versione originale sottotitolata in italiano

Cinema Palestrina, Via G.P. da Palestrina, 7 [MM1-2 Loreto]

Continuano le repliche anche nel mese di marzo.
Ecco le date:

lunedì 3, alle ore 16:30, alle 18:45 e alle 21:00

lunedì 10, alle ore 16:30, alle 18:45 e alle 21:00

lunedì 17, alle ore 16:30, alle 18:45 e alle 21:00

lunedì 24, alle ore 16:30, alle 18:45 e alle 21:00

lunedì 31, alle ore 16:30, alle 18:45 e alle 21:00

 

(€ 8,00 / 5,00 per i soci CMC e Sentieri del Cinema)

 

Un film in anteprima a Milano sulla filosofa che in modo più originale e sensibile ha mostrato il valore della persona, la natura del potere e la lotta per un senso religioso. Hannah Arendt.

Da vedere e per riflettere in occasione della Giornata della Memoria del 27 gennaio 2014.

Non è facile fare un film su una filosofa: ci vuole una bravissima Barbara Sukowa, che interpreta magistralmente il ruolo di Hannah Arendt; e ci vogliono grandi capacità tecniche, la consapevolezza che attraverso il frammento si può restituire l’intuizione del tutto e, immancabilmente, anche un pizzico di ironia. Il tutto è quello di una donna che per tutta la vita ha cercato. Il frammento è quello del processo ad Eichmann, che ebbe luogo in Israele nel 1961 e fu narrato ai lettori del New Yorker da un inviato speciale di eccezione, la filosofa ebrea tedesca Hannah Arendt. Le corrispondenze da Tel Aviv, pubblicate sul magazine americano fecero scalpore.

Ridire la verità, ridire il proprio travaglio interiore alla ricerca della verità, diveniva quindi un obbligo essenziale, una responsabilità storica imprescindibile perché quel che era accaduto non accadesse mai più. Auschwitz non era stata un’eccezione, era una possibilità da cui guardarsi costantemente, anche correndo il rischio di esporsi davanti ai benpensanti, magari mettendo in crisi la comoda rilettura retorica dell’olocausto e dell’antisemitismo.

È il rischio a cui si espone la Arendt nei suoi resoconti al New Yorker. Ed è anche il rischio a cui si espone Margarethe Von Trotta con questo film, che unisce riprese d’epoca e dialoghi intensissimi, una fotografia che parla non meno delle parole, dentro il genere cinematografico del “processo”, ormai consolidato e uscito dalla nicchia specialistica di cui rischiava di rimanere prigioniero. La regista, peraltro, non mira affatto a fare un film “giuridico”.  Si tratta senz’altro di un film “di processo”, ma con l’ambizione di presentare al pubblico un altro tipo di processo, quello del pensiero.

di Claudio Reguzzoni,

tratto dall’articolo per Il Sussidiario

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