1917, il mito e il disastro di una perfezione senza grazia

russia_comunismo_leninR439_thumb400x275Era giusto cento anni fa, giorno più giorno meno, febbraio-marzo 1917: a Pietrogrado iniziava quella che sarebbe passata alla storia come la rivoluzione russa, poi culminata con il colpo di Stato dell’Ottobre e la vittoria di Lenin. E fu il cambiamento di un mondo.

Si discuterà ancora a lungo delle cause che portarono a quella tragedia, anche perché gli studi più recenti danno un quadro della Russia ben diverso da quello che era stato offerto da molta storiografia fino a qualche anno fa: l’impero non era certo un paradiso e il potere zarista era per molti versi ampiamente e giustamente delegittimato, ma la Russia non era neppure quell’inferno assoluto che era stato dipinto dalla propaganda rivoluzionaria; la sua economia conosceva una crescita impetuosa (certo squilibrata, ma reale) e la sua cultura non era seconda a quella di nessun altro paese al mondo. Ma non si capirà mai quello che successe se non si cerca di capire che a cambiare non fu un sistema politico o economico e neppure sociale ma, letteralmente, un mondo: cambiò l’uomo o, meglio, si cercò di cambiare l’uomo e di crearne uno nuovo. Perché proprio questa fu l’ambizione del nuovo potere: sostituire all’uomo creato da Dio (un uomo normale, con i suoi difetti e le sue virtù, proprio come la Russia) un uomo che si creava da sé e che pretendeva di non poter più avere alcun difetto. Era il mito di una perfezione senza grazia che si sarebbe trasformato in una pura distruzione di tutto quello che non era perfetto.

Si racconta che Bulgakov ebbe la prima idea del Maestro e Margherita, il suo futuro romanzo con le scorribande del diavolo a Mosca, dopo aver visto nel gennaio del 1923, in occasione del Natale ortodosso, una manifestazione nella quale veniva portato un cartello con la scritta: “fino al 1922 Maria partoriva Gesù, nel 1923 ha partorito il giovane comunista”: al vecchio Dio e al vecchio uomo si sostituiva una novità assoluta, un uomo senza più limiti e padroni.

E il paradosso fu che chi aveva ideato questa distruzione di ogni autorità, e chi aveva creduto in questo progetto, finì per produrre il sistema con l’autorità più dispotica che la storia umana conosca.

Bisognerà ancora a lungo meditare le caratteristiche di questo stravolgimento, che trasformò nella pura negazione un desiderio creativo apparentemente buono come quello di creare appunto l’uomo nuovo. Volendo descrivere l’incubo che nacque da quel sogno, per molti anni si è usata la categoria di totalitarismo, ma forse non capiremo mai fino in fondo che cosa fu il totalitarismo, e cosa ci ha lasciato, se non andremo alla radice di questa negazione per la quale non esiste più nessuna verità, nessuna realtà con la quale io debba fare i conti, non solo quella di Dio, ma neppure quella degli uomini e delle cose che sono sostituiti dalla mia reinterpretazione della realtà, che debbono essere gettati e sostituiti dall’uomo nuovo e dal mondo nuovo che il rivoluzionario può creare dal nulla come un nuovo dio; demiurgo, Prometeo, proletariato: ciascuno lo chiami come vuole, l’unica cosa che conta è che queste nuove figure non hanno più nulla a che vedere con la realtà.

Come seppero intuire genialmente alcuni pensatori cristiani all’alba della rivoluzione, in Russia stava vincendo non il proletariato reale, ma l’idea di proletariato che avevano i rivoluzionari. Ma se non esiste più la realtà, se esiste soltanto la mia reinterpretazione del reale, se non esiste più altro che mi trascenda e che non sia me stesso, io non posso più incontrare altro che non sia me stesso, con la mia solitudine e con i miei sogni: non posso più incontrare altro se non il mio nulla. Dopo tutto è permesso.

Se quello che incontro non corrisponde alla mia idea, merita di essere gettato nel nulla: il sistema dei campi di concentramento non nasce per caso o per una deviazione, ma è già tutto dentro in questa meccanica affascinante della creazione dell’uomo nuovo. Il vecchio mondo può reggere ancora per un po’, qualche anima sensibile può difendere ancora per un po’ le “complessità della vita” che non corrispondono ai nostri ideali e ai nostri piani, ma ben presto tutto il vecchio mondo si scoprirà impotente “di fronte al nichilismo immediato, perfettamente cieco e perciò scatenato”: il vuoto dilagherà.

Non è semplice andare alla radice di questa negazione che assorbe un mondo con una grande cultura, e che sembra spazzare via persino Dio; non è semplice capire la meccanica della rivoluzione, perché forse quel mito dell’uomo nuovo mette radicalmente in discussione non solo il vecchio mondo russo ma anche il nuovo mondo degli europei colti del XX e del XXI secolo.

L’autore dialoga sul tema con Olga Sedakova questa sera al Centro Culturale di Milano, ore 20,45
Auditorium CMC Largo Corsia dei Servi, 4 (MM1 S. Babila – MM3 Duomo) in un incontro dal titolo “1917, alleorigini del nichilismo contemporaneo”. Coordina Pigi Colognesi.