Dopo il referendum: e il bene comune?

Di Giorgio Vittadini

Un Paese “strappato” in molti pezzi dopo il fallimento della Seconda Repubblica e sempre più diviso dopo il risultato del referendum. Ecco quale risposta dare.

Perché questo fallimento epocale? Comodo attribuire la colpa solo alla classe politica. Anche intellettuali e opinionisti che hanno spinto l’acceleratore dell’antipolitica hanno le loro responsabilità. La stessa responsabilità che hanno gli attuali partiti antisistema: non si cambiano le cose sparando contro l’avversario senza avere una forza culturale propositiva.

Chi sa dire quale siano le posizioni del centro destra e del centro sinistra sui temi più importanti? Sull’economia (entrambi supini all’ordoliberismo), sulla scuola (incapaci di dare risposte ai bisogni del sistema), sul welfare (statalismo ormai insostenibile o sistema misto?), su federalismo (tutti incapaci di valorizzare gli enti locali virtuosi e correggere i clientelari), sull’ambiente (balletto tra condoni edilizi e indignazione dopo ogni calamità ma incapaci di una riforma idrogeologica e paesaggistica)? E soprattutto: chi ha in mente un progetto a medio-lungo termine?

La riscossa non è quindi l’antipolitica, bensì un rinnovamento della politica che non nasca dalla contrapposizione preconcetta e dall’occupazione delle istituzioni.

La speranza che si possa ricominciare a costruire per il bene di tutto il Paese sta quindi in quelle parti politiche disposte a servire il bene comune. E’ questa una posizione culturale tutt’altro che teorica e che infatti potrebbe aprire a delle dinamiche virtuose. Quali? Provo a esemplificarne alcune.

Primo: il popolo è sovrano e il Parlamento, che lo rappresenta, deve essere luogo di lavoro, discussione e confronto reale. Secondo: la legge elettorale deve evitare innanzitutto i “nominati” e favorire la libera scelta dei cittadini. Terzo: per garantire la governabilità non deve più essere cercato l’uomo solo al comando, ma la collaborazione di più forze che costruiscono soluzioni condivise da corregge opportunamente in Parlamento. Quarto: va assicurata l’indipendenza dei poteri e il loro equilibrio. Quinto: prima del voto è necessario misurarsi su proposte chiare. Sesto: bisogna ricostruire partiti popolari, in contatto continuo con la base della società. Settimo e ultimo, il più importante, riguarda l’impegno verso un ideale di bene per tutti. Senza una passione verso il cuore “urgente di bene”, la partita è persa.