Editoriale
Realpolitik non è cinismo che chiude gli occhi
La situazione stagnante della guerra in Ucraina è un pericolo per tutti. È giunto il momento di un cambio di prospettiva. Del ritorno sulla scena del realismo della politica per cercare la migliore soluzione possibile. Coinvolgendo al tavolo dei lavori direttamente la Cina. E ciò non significa avere una visione cinica o a – amorale della politica. La lezione di Joseph Ratzinger aiuta a comprendere che «la morale politica consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi parole con cui ci si fa gioco dell’umanità e delle sue possibilità». Ecco allora che il realismo è sempre un metodo audace e conveniente. Perché non cede alle illusioni del grido irrazionale.
17 giugno 2022
Il metodo del realismo nell’esercizio della politica è necessario. Storcere il naso davanti ad una pratica che nella grande storia ha significato qualcosa portando ad ottenere risultati insperati, rischia di essere una smorfia, un riflesso condizionato dettato dall’ancoraggio assoluto ai cosiddetti principi. Per quanto autentici possano essere.
Realpolitik non vuol dire mandarli in soffitta, non è pratica che sa di relativismo.
Il politico di vaglia è quello che “per principio” – e quindi cum grano salis – li custodisce con cura nell’esercizio quotidiano dello sporcarsi le mani.
Stiamo al presente. Che, come vediamo, è assai complicato.
Con la guerra in Europa che ha superato in abbondanza la soglia inquietante dei cento giorni è legittimo domandarsi quali iniziative mettere in campo per tentare di uscire dall’asfissia della violenza. Per non abbandonarsi alla rassegnazione: sarà una guerra lunga, logorante, forse di anni. La realpolitik, proprio perché tiene in gran conto questa eventualità che nuoce a tutti, ragiona per trovare una via d’uscita alla sentenza della rassegnazione.
Il logoramento non è realismo politico. È una sconfitta della politica.Tuttavia, va riconosciuto, che non è di semplice comprensione l’agire secondo il metodo virtuoso della realpolitik. Chi lo pratica corre sovente il rischio dell’impopolarità. Solo a distanza di anni, quando si analizzano i risultati ottenuti da decisioni assunte in determinate e gravi situazioni di crisi, allora i giudizi si fanno più equilibrati e si riconosce la qualità di quei decisori politici protagonisti di accordi incisivi improntati al realismo che, sul momento, sembravano azzardi, intemerate contronatura.
La resistenza alla seduzione delle grandi parole
Adesso, prima che la stanchezza travolga tutti, è fondamentale che entri in gioco il realismo della politica per avviare una fase nuova che interrompa lo scempio della guerra, che spenga il rumore delle bombe.
Il che deve prevedere che nessuno venga escluso in via pregiudiziale dal tavolo che scotta. Anche il soggetto meno presentabile, più urticante, fastidioso per quel che dice e fa. La virtù della realpolitik è nel fare buon viso a cattivo gioco affinché affiori il lato positivo.
Il grande politico scommette sempre sulla categoria della possibilità, altrimenti non sarebbe tale, ma un demagogo incline alla politica solo come vizio. All’esercizio del potere inteso esclusivamente come compiaciuto e tragico atto di potenza. In un connubio di interesse e forza che tracima in visione cinica e/o a–morale della politica. Joseph Ratzinger in “Chiesa, ecumenismo e politica Nuovi saggi di ecclesiologia” (1987, Edizioni Paoline) suggerisce di sterzare. Offrendoci questo pensiero: «Essere sobri e attuare ciò che è possibile, e non reclamare con il cuore in fiamme l’impossibile, è sempre stato difficile; la voce della ragione non è mai così forte come il grido irrazionale. Il grido che reclama le grandi cose ha la vibrazione del moralismo; limitarsi al possibile sembra invece essere la rinuncia alla passione morale, sembra il pragmatismo dei meschini. Ma la verità è che la morale politica consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi parole con cui ci si fa gioco dell’umanità e delle sue possibilità».
Per poi chiudere il percorso così: «Non è morale il moralismo dell’avventura, che intende realizzare da sé le cose di Dio. Lo è invece la lealtà che accetta le misure dell’uomo e compie, entro queste misure, l’opera dell’uomo. Non l’assenza di ogni compromesso ma il compromesso stesso è la vera morale dell’attività politica».
Il pulviscolo di pace
Le parole di Ratzinger sono un invito a riflettere e ad auspicare che il realismo della politica internazionale torni in fretta sulla scena per assumere decisioni audaci in questo tornante della storia così traumatico. Ecco allora che diventa una necessità il coinvolgimento della Cina di Xi. Certo non dimenticando la natura del soggetto con cui si ha a che fare, ma con cui è impellente collaborare: un’autocrazia che nega i diritti umani, che perseguita le minoranze, che non ama la persona e quindi la libertà. E che ha mire di annessione, vedi il caso Taiwan e di egemonia in più aree del mondo. Eppure, per ragionare su una soluzione praticabile per la guerra in corso, è irragionevole tenerla in disparte perché, come abbiamo appena letto, «il grido che reclama le grandi cose ha la vibrazione del moralismo».
Ne sono consci l’America di Biden, la Russia di Putin, l’Ucraina di Zelensky, la Turchia di Erdogan, l’Europa in ordine sparso, la Gran Bretagna dello zoppicante ma per nulla sprovveduto Boris Johnson? La domanda è ragionevole. Come le perplessità. Tuttavia, non vi è altra possibilità affinché qualcosa di concreto e positivo succeda, lontano da illusioni e comportamenti cinici. Un qualcosa che rompa gli schemi, vera paralisi della ragione. Urge il ritorno della scuola realista quale fondamento nelle relazioni internazionali. Urge Il metodo della relazione pulviscolo di pace.
Immagini:
Milano, 7 Maggio 2022.jpg
© Lucia Laura Esposto – Milano, 25 Aprile 2022
© Lucia Laura Espsoto – Milano, Piazza del Duomo
Resident takes a photograph of a new street art mural has news photo