Elezioni europee, gli argini al populismo

– Fernando De Haro
Non c’è stata un’ondata populista o sovranista in Europa. E anche nelle amministrative spagnole Vox e Podemos non hanno sfondato

Non c’è stata un’ondata populista o sovranista in Europa. L’estremismo di sinistra subisce una battuta d’arresto nelle elezioni amministrative spagnole. È ancora troppo presto per dare l’addio ai popolari e ai socialdemocratici, alle famiglie politiche tradizionali dell’Unione europea. Come sempre, per fortuna, la realtà nel Vecchio Continente è più complessa di un semplice schema. Per comodità interpretativa e analitica, abbiamo messo insieme tutte le forze sovraniste ed eurofobe. L’esito delle elezioni di domenica evidenzia fino a che punto sia un errore generalizzare.

Socialisti e popolari non avranno più la maggioranza nell’Europarlamento, ma potranno unirsi ai Liberali di Alde. L’emergere dei Verdi rallenta l’ascesa delle formazioni anti-europee che sono lontane dal formare una minoranza di blocco. In Germania è vero che la Cdu e la Spd subiscono una battuta d’arresto importante, che a livello nazionale mette in pericolo la Grande coalizione, ma il partito della Merkel, con quasi il 29% dei voti, ottiene un buon risultato. La principale debacle riguarda la Spd (15,6%), mentre l’estrema destra di Afd non raggiunge l’11%. Nei paesi scandinavi e baltici la destra anti-europea ottiene scarsi risultati e nei Paesi Bassi riemergono i socialdemocratici e vengono frenati i partiti radicali.

Il sovranismo non è un problema diffuso in tutta Europa: è una sfida seria in alcuni paesi e in ciascuno di questi per ragioni diverse. Particolarmente preoccupante è la vittoria di Salvini in Italia, della Le Pen in Francia e il buon risultato di Farage nel Regno Unito. In tutti e tre i casi siamo di fronte a una situazione creata dalla perdita di forza dei partiti tradizionali. Il boom di Salvini sembra il penultimo capitolo dell’esaurimento dei partiti della Seconda Repubblica, nati a metà degli anni ’90. Il leader della Lega ha dato forma e ha aumentato l’illusione di un malcontento (immigrazione, austerità) che trova un capro espiatorio in Bruxelles, senza voler fare i conti con la realtà.

Questo è lo stesso malcontento di una parte importante della Francia rurale e della Francia che rifiuta di fare riforme che permette a Le Pen di vincere. I limiti del neogollismo d’élite di Macron rendono impossibile fermare un Fronte nazionale che è riuscito a trasformarsi nella formazione trasversale del risentimento per un’importante minoranza. I francesi sono abituati al doppio turno che questa volta non c’era.

Il risultato del Regno Unito era più che prevedibile. Conservatori e laburisti si sono suicidati per la Brexit, senza offrire una via d’uscita a un Paese chiuso nel labirinto creato dai suoi arroganti politici. Anche i buoni risultati delle forze della destra non europea in Polonia e in Ungheria sono dovuti a particolari situazioni.

Gli scarsi risultati del populismo, in questo caso di sinistra, nelle elezioni amministrative spagnole mostrano che l’onda iniziata quattro anni fa era molto corta. Le precedenti consultazioni del 2015 avevano dato a Podemos e ai suoi alleati, con l’appoggio dei socialisti, importanti capoluoghi di provincia. Madrid e Barcellona erano i più emblematici. Sembrava che fosse iniziato un nuovo ciclo della sinistra, con la possibilità persino di sostituire i socialisti. Un ciclo che recuperava il marxismo, il protagonismo dello Stato, un femminismo dialettico ed egemonico, e che rinnegava la riconciliazione della Transizione. Quattro anni dopo, con le sue divisioni interne, la sua mancanza di adattamento alla vita reale, la nuova sinistra è ridimensionata e ottiene il ruolo minoritario che era dei vecchi partiti comunisti.

Il cattivo risultato di Podemos lascia in sospeso il suo possibile ingresso nel governo che Sánchez deve formare. Il leader dei socialisti, dopo aver recuperato molti degli elettori della vecchia sinistra, è in condizioni migliori per ottenere i voti di Podemos necessari alla sua investitura senza far diventare la formazione di Pablo Iglesias suo partner di governo. Cosa che rappresenta, indubbiamente, una buona notizia per la Spagna. Sánchez è stato il grande vincitore delle elezioni. Ma, nonostante l’eccellente risultato ottenuto, il fatto che non governerà né al Comune della Capitale, né nella Comunità di Madrid, né in alcune grandi città, dovrebbe suggerirgli di cercare un accordo con Ciudadanos (con il Pp è più difficile). L’ossessione del leader di Ciudadanos, Albert Rivera, di sostituire il Pp ha subito un importante correttivo. Forse ora recupererà il compito che da anni gli viene affidato dagli elettori: essere una formazione cardine. Ciò aiuterebbe Sánchez a spostarsi verso il centro.

Il Pp, con il sostegno di Vox e Ciudadanos, governando a Madrid e in altri capoluoghi di provincia può fermare la spirale autodistruttiva in cui era immerso. I voti che sono tornati ai popolari gli danno credito per svolgere un compito da portare a termine: rifare il partito. I modesti risultati di Vox relativizzano l’immagine di implosione del sistema dei partiti tradizionali, che, in generale, resiste. Ma gli avvisi sono stati troppo contundenti.