L’incontro con la bella musica per non perdere uno sguardo che cambia

Note di libertà

Come aveva detto e scritto don Luigi Giussani, “nessuna espressione dei sentimenti umani è più grande della musica”. Ebbene: ogni anno si tengono a Rimini incontri con la figura di Gesù Cristo e di approfondimento della vita cristiana, appuntamenti in cui musiche e canzoni sono una piccola, discreta ma persistente luce-guida del lavoro in corso. Scopriamo qualcosa in più degli artisti proposti quest’anno. Scoperte che sorprendono.


5 maggio 2023
di Walter Gatti

Arvo Part

In quei momenti di riflessione che sono gli esercizi spirituali annuali della Fraternità di Comunione e Liberazione, viene sempre dedicato tanto spazio alla musica (ha detto don Luigi Giussani: “Nessuna espressione dei sentimenti umani è più grande della musica”), all’ascolto di partiture classiche, ma anche di canzoni “leggere” per nulla note, potenti ed insolite allo stesso tempo, perché assolutamente non riconducibili ad una devozionalità spirituale.
Prendiamo ad esempio per Aconteceu, brano inciso nel 1994 da Adriana Calcanhotto, la compagna di Suzana de Moraes, figlia (purtroppo scomparsa otto anni fa) dell’indimenticato Vinicius, simbolo della poesia e musica brasiliana.
Adriana aveva inciso Aconteceu (“È successo quando non ce lo aspettavamo, è successo senza una campana a suonare”) in uno dei suoi dischi più importanti, A fabrica do Poema, prendendolo a prestito da Pericle Cavalcanti, autore tuttora in attività che nella sua carriera (importante certo, ma non eccezionale) ha avuto modo di collaborare con personaggi celebri come Gilberto Gil e Caetano Veloso.
La Calcanhotto ha fatto della sua canzone una perla d’amore e di riconoscimento, perché l’accadere da lei cantato è proprio quello di un dono inatteso (d’amore? Di felicità? Di sorpresa? Di rinnovamento?), con lo stesso tono di squarcio tra le nubi che è di Mi sei scoppiato dentro al cuore (Era solamente ieri sera, Io parlavo con gli amici, Scherzavamo fra di noi, E tu, e tu, e tu, Tu sei arrivato, M’hai guardato, E allora tutto è cambiato per me, Mi sei scoppiato dentro al cuore, All’improvviso, all’improvviso, Non so perché; Non lo so perché……..”), brano di Lina Wertmuller (sì, la regista) e del maestro Bruno Canfora inciso da Mina nel lontanissimo 1967.

2 aprile 2023 Esercizi spirituali della Fraternità di Comunione e Liberazione

Dietro alle canzoni c’è sempre un vissuto

In questi incontri riminesi c’è poi stato spazio anche per due canzoni di Victor Heredia, Ojos de Cielo e Razon de Vivir, quest’ultima interpretata anche da un nome immenso della musica sudamericana, Mercedes Sosa. Cresciuto nell’ambiente comunista argentino, Heredia ha legato il suo nome a grandi successi degli anni 80 e 90, diventando una delle bandiere delle Madri di Plaza de Mayo (la sorella di Victor è una delle “desaparecide” della sanguinaria dittatura di Jorge Videla) e della cultura politico-sociale sudamericana.
Razon de vivir in particolare è un pezzo struggente capace di racchiudere in un solo bisogno l’immensità dolente delle aspettative umane (“Per continuare a camminare al sole attraverso questi deserti, per sottolineare che sono vivo in mezzo a tanti morti. Decidere, continuare, sottolineare e considerare, ho solo bisogno che tu sia qui con i tuoi occhi chiari. Oh, falò d’amore e guida, ragione per vivere la mia vita).
Come si intuisce: a Rimini vanno nell’etere e nei cuori autori e interpreti di estrazioni differenti, portatori di storie lontanissime, spesso poco conosciute, che pure si presentano come “basso continuo” di sottofondo di una meditazione. Note continue che restano nei cuori, e parlano di motivi, ideali, speranze, attese. Ma dietro alle canzoni c’è sempre una storia, c’è sempre un autore, una persona, un nome e cognome, e un vissuto.

Don Luigi Giussani presso la Rocca di Varigotti

Cammini personali per non essere mai sazi

Anche quest’anno l’incontro predicato dall’abate cistercense Mauro Lepori ha offerto grandi musiche, a cominciare da Rachmaninov ed alla sua Bogoroditse Devo, brano dei Vespri dedicato alla Madonna (“Rallegrati, vergine madre di Dio, Maria, piena di grazia, il Signore è con te. Tu sei benedetta fra le donne, e benedetto è il frutto del tuo seno, poiché hai portato il Salvatore delle nostre anime”).
È certo che Arvo Part ha fatto la parte del leone nelle scelte d’ascolto, anche perché lo stesso Abate ne ha ripreso alcuni testi cristocentrici, ma l’autore estone in una qualche maniera ha una sua storia che si dipana come un’epifania in decenni di cammino personale e religioso abbastanza noto. (leggete https://it.clonline.org/news/cultura/2017/11/16/arvo-part-premio-ratzinger-2017).

Oltre a lui, però, forse vale la pena seguire le tracce di altri autori interpretati durante le giornate citate.
Il primo è Maurice Cocagnac, una figura (senza mezzi termini) eccezionale. Nato sui Pirenei, Cocagnac ha una biografia d’altri tempi. Arriva a Parigi in età di scuole e liceo, entra nella Resistenza francese ai nazisti, si iscrive ad architettura al termine dell’occupazione e della Seconda guerra mondiale, diventa frate domenicano, inizia ad occuparsi di arte e architettura (adorava Le Corbusier), poi di teologia e spiritualità orientale.
Scrive decine e decine di libri illustrati per bimbi, reportage di viaggi in Cina e Giappone, India e Messico sulle tracce delle religiosità (anche sciamaniche) di quei popoli. E soprattutto scrive e incide dischi.
Tante canzoni: cinque dischi di “Canzoni bibliche”, “150 Canzoni e canti spirituali”, più una serie di canzoni incise dall’amico cantante franco-neozelandese Graeme Allwright, amico personale di Leonard Cohen e Georges Brassens. Nel 1959 Cocagnac a Milano incontra pure don Giussani e i suoi primi giessini.
Allora il dominicano dirigeva una rivista francese, Vie Spirituelle e stringe amicizia con il prete di Desio che dal canto suo fece conoscere le canzoni di Cocagnac ai suoi, giovanissimi. Così poi – nel 1999 – la rivista mensile Tracce arrivò a pubblicare un disco con diciotto canzoni di Cocagnac, tra cui Seigneur où es-tu? che Cocagnac aveva inciso nel 1958 in Canzoni bibliche vol.3: “Dove sei dunque, Signore di Gloria, poiché nel mio cuore, c’è la notte nera, Dove sei dunque, Dio dei nostri Padri, poiché nei nostri cuori non c’è più luce. Ti cerco per le strade, dove si vedono gli affamati, Ti cerco nelle città dove si vedono i sazi, ti cerco nel dubbio, negli occhi pieni di lacrime e sto in ascolto per sentire battere il tuo cuore… Ritorna tra noi Signore di gloria, perché nei nostri cuori c’è la notte nera, ritorna a noi, Dio dei nostri padri e metti i nostri cuori nella tua luce”.

Victor Heredia autore di Ojos de Cielo e Razon de vivir

“Ehi io ci sono ancora”

Il secondo artista da incontrare post incontro con Lepori è Waylon Jennings, con la sua Freedom to Stay.

Tra Cocagnac e Jennings la distanza è siderale. Tra i grandi rappresentanti del “country fuorilegge” (outlaws country) il texano Waylon ha una storia musicale che inizia negli anni ‘50 e che si dipana nelle frequentazioni di grandi del rock’n’roll e del country come Buddy Holly, Merle Haggard e Willie Nelson. Con quest’ultimo, poi, è stato componente degli Highwayman, supergruppo stellare che comprendeva nelle sue file anche Johnny Cash e Kris Kristofferson.
Ebbene: durante gli incontri tenuti dall’abate Lepori si è ascoltato Freedom to Stay, ballata scritta da Will David Hoover, incisa da Waylon (e più tardi anche da Tina Turner) in uno dei suoi dischi più importanti, Lonesome, On’ry and Mean (1973).
L’interpretazione di Waylon di questo brano è da applausi, arricchita dall’intervento di uno dei più importanti steel-guitarist della storia del country, Ralph Mooney. Il testo è semplice (come d’abitudine nel genere): “Ho legato la mia bandana, ho preso il mio zaino dal pavimento, Tu stavi ancora dormendo, mentre io ero già alla porta, Ancora una volta mi stavo dirigendo verso Dio solo sa dove, È stato allora che mi ha colpito, ero già lì, Potrei vagare, mille miglia o anche più, E non trovare mai la luce che ho visto prima nei tuoi occhi, Mi hai dato la libertà di andarmene per la mia strada, Ma mi hai dato molto di più, mi hai dato la libertà di restare”. Waylon canta questa canzone in un momento di profonda depressione: Jennings era stato una “quasi star”, ma ora – all’inizio degli anni ‘70 – non sapeva cosa essere, mentre il rock stava scotennando i vecchi signori di Nashville, il loro suono ed il loro look rimasto sostanzialmente ancorato a storie d’amore e cowboy.
Con quel disco Waylon provava a dire “ehi io ci sono ancora”, mentre pillole e alcool stavano minando la sua salute già compromessa da una forma di diabete che lo spegnerà nel 2002 a 64 anni.
Quel disco lo riportò in auge nel mondo degli ascoltatori più giovani, conducendolo nella seconda metà degli anni ‘70 ad un’infilata pazzesca di dischi di successo (The ramblin man, 1974; Dreaming my Dreams, 1975; Are you ready for the Country, 1976; Ol’Waylon, 1977; I Always been Crazy, 1978), confermandolo come uno dei “vecchi che sanno fare country per i giovani” come scritto nel 1977 in una copertina del Rolling Stone, il magazine di riferimento della musica rock.

Se tu sapessi…

E dunque: il grande mistico della musica contemporanea, Part; l’artista completo capace di usare ogni linguaggio per comunicare la ricerca del volto divino, Cocagnac; il “fuorilegge” che accetta di avere su di sé un vero sguardo d’amore, Jennings.
Tre modi di raccontare la storia dell’uomo. Tre voci e tre mondi musicali che fanno da sentiero per un percorso condiviso che si sviluppa cercando di non “perdere uno sguardo che cambia”.
A queste voci forse si aggiunge un’ultima nota: è quella di Antonio Anastasio, poeta, musicista e sacerdote, sicuramente non così noto come i primi tre. C’era anche la sua Se tu sapessi, nel programma delle giornate riminesi. “Se tu sapessi quanto ti ho aspettato, Quanto ti ho pensato, quanto ti ho voluto, Se tu sapessi in questo deserto, Chi ti è venuto incontro, quanta sete ho dentro, Se tu sapessi”.
C’è un sentimento musicale che ci accompagna e si esprime nella varietà ed unicità di queste voci. Abbiamo bisogno di continuare a risentirle, per non perdere nulla, ma proprio nulla, degli incontri che il quotidiano ci pone cocciutamente e ostinatamente sulla strada.

Waylon Jennings Johnny Cash 1974