Note di merito (o demerito) sul merito

La questione del merito è salita in cattedra con l’avvio del nuovo governo. Questione seria trattata, per lo più, in modo poco serio. Senza entrare per davvero nel merito. Il merito, tirato per la giacchetta per finalità poco meritevoli, non si merita proprio di essere trattato così. Così finisce dritto dritto dietro la lavagna. Come se il merito fosse un castigo e non, piuttosto, un riconoscimento virtuoso. Procedendo in questo modo è assai complicato che se ne arrivi a una. Per il semplice motivo che concioniamo sul merito secondo metodo irragionevole. Ma allora, con l’avvenimento del Natale a un passo, sorge spontanea la domanda: ma ce lo meritiamo il Natale? Una domanda, per davvero, meritevole di attenzione.


16 dicembre 2022
di Nicola Varcasia

Ogni popolo ha il governo che si merita, si diceva un tempo. Dunque, ben venga il Ministero dell’istruzione e del merito di cui si è tanto parlato. Finalmente una scuola dove viene premiato chi lavora e non chi scalda il banco o la cattedra. In un momento di crisi energetica, il calore va usato bene. Soprattutto se umano.

Programmi meritevoli
La parola “merito” è una di quelle più controverse che utilizziamo ogni giorno e non c’è verso per renderla più poetica. Anche perché non fa rima quasi con nulla. Il suo significato è più o meno sempre lo stesso. A variare sono i contesti in cui si usa, spesso insignificanti. Di merito si parla tanto a livello di “costume e società”, come ricorda la nota rubrica di un telegiornale il cui direttore è diventato ministro della cultura. Con o senza merito? Lasciamolo lavorare, ovvio! Ma torniamo all’affare dei contesti, anzi, dei concerti, dove inevitabilmente le note di merito sono tante, non sempre intonate. Succede alle adunate rock che durante (o subito prima, o subito dopo) la carrellata di successi da cantare tutti insieme, quando lo stadio è pieno e l’eccitazione al top, il cantante aizzi i fan in delirio con un: “Grazieeeee! Tutto questo ve lo meritate!!!!”. O, meglio ancora: “Ce lo meritiamo, grandiiiiii!!!!”. In questa circostanza, o meglio, in questa stanza del circo mediatico, il merito non ci fa una bellissima figura: accomuna i presenti senza che debbano dimostrare nulla, ad eccezione del biglietto d’ingresso e così il merito diventa un prerequisito che lascia fuori qualcuno (non solo dallo stadio) perché non può pagare il dovuto.
Viceversa, quando un notista politico riversa l’attenzione su una notizia che mette in cattiva luce la parte a lui avversa, poniamo, un rilievo (alto, medio o basso, conta poco) dell’Europa a un provvedimento del governo, utilizza la stessa frase della rockstar, ma in senso opposto: “Ci meritiamo tutto”, senza punto esclamativo. Questo, per l’esattezza, sarebbe un de-merito, con una modica dose di compiacimento velenoso sul fatto che la colpa è anche un po’ nostra se abbiamo mandato su “quelli lì” anziché “quegli altri là”. Sono i famosi effetti avversi. Contro i quali non c’è vaccino. Meritevoli di approfondimento, ma il tempo scorre in fretta indipendentemente dai nostri meriti e dobbiamo guardare avanti.

E-merito…
Quando si svolge una campagna elettorale, invece, nei dibattiti si invita ad uscire dalle polemiche per entrare nel merito dei programmi. Poi, però, non c’è mai abbastanza tempo. Colpa, o demerito, dei conduttori dei talk show. E così agli elettori viene recapitato un messaggio senza capo né coda, praticamente decapitato: “Caro e-lettore non vale la pena mettere la famigerata X su un e-merito sconosciuto del listino bloccato, paracadutato senza alcun merito nella tua circoscrizione. Si comandi senza la comanda”. Qui, dopo il punto esclamativo, ci starebbe bene una parentesi: la parola emerito evoca l’avvicendamento più clamoroso degli ultimi 600 anni ma noi, come dicono sempre al telegiornale, cambiamo decisamente argomento.

Michael Kevin O’Leary CEO di Ryanair

A dire il vero (sempre che sia possibile nella nostra epoca) c’è stato un periodo in cui in televisione la parola “merito” è stata sostituita dalla parola “amore”. Nel senso che viene usata per dire qualsiasi cosa: i concorrenti dei primi reality show erano soliti manifestare il proprio incontenibile affetto (anch’egli avverso) per genitori, amici o vicini di casa con rumorosi e commossi “ti amooooooo!!!!” mentre venivano accompagnati dentro la “Casa” del Grande fratello o altri di set simili.
Tutti dicevano di amare tutti, senza distinzioni, sfumature, gradi di parentela o di separazione e, ça vas sans dire, senza alcun merito che non fosse quello di sovrastare gli altri con un’emozione da poco. Raccomandazione per un buon posto: guardare questo genere di spettacoli non è una colpa o un merito, ma solo un’altra stanza del circo, senza cielo.

Gargantua e i potenti di Europa, Vignetta di Honorè Da umier

La reclame che meritiamo
Buttandola sul letterario-filosofico, è il caso di chiarire che, un po’ come il coraggio, il merito uno non se lo può dare. Occorre qualcuno che sia disposto a riconoscerlo e a volerlo comunicare. In secondo luogo – ecco un altro buon posto – ci sarà un motivo se il bel René Cartesio il suo discorso l’ha fatto sul metodo anziché sul merito. Filosofia fa rima con meritocrazia, ma gli studiosi sul campo concordano che occorre un criterio oggettivo per misurarlo. Di nuovo, è il metodo a mettere tutti d’accordo, almeno prima di partire per il lungo viaggio della conoscenza. Del merito neanche un’ombra per chiacchierar.
E adesso la pubblicità, che ci stupisce con affetti ancora più speciali di quelli dei concorrenti dei reality, mai controcorrente. Per chi è stato bambino negli anni Ottanta lo spot dello spray chiamato Merito faceva il paio con quello del Buondì Motta dove il protagonista diceva: “Me lo merito io!”. La bomboletta per un verso (sempre senza rima) e la merendina per l’altro non costavano uno sproposito ma, in entrambi i casi, gli esperti hanno parlato in proposito di merito storico: quello di aver portato, appunto, il merito alla portata di tutti e senza mettere le mani nelle tasche degli italiani. Il costo reale di questa operazione è ancora a bilancio.

Vincenzo De Luca, Presiente della regione Campania

E poi c’è lo sport. Dove il merito è praticamente tutto e fa rima con talento, in ardita assonanza con “era bravo ma non ha la testa”, altro esempio di messaggio decapitato. È curioso che una delle medaglie più belle delle scorse Olimpiadi (a parte quelle di Marcel Jacobs, che meritano un discorso a parte) sia stata quella di Gimbo Tamberi, che ha scelto di fermarsi e di accettare l’oro a pari-merito con l’avversario-amico Barshim, senza compiere salti aggiuntivi e non peccare di superbia, come lui stesso ha dichiarato. Si sono meritati gli onori delle cronache condividendo la posta. Nessuno dei due è rimasto all’angolo. Meritatamente.
Ricapitolando, la questione è molto più che simbolica. Non è la rockstar, non sono nemmeno il politico o il filosofo o lo spot a poter rispondere al nostro posto. Neppure il super campione può farlo e nemmeno il ministero. È più una questione di mistero. Arriva Natale: siamo sicuri di meritarlo?