L’anno zero dell’Educazione finanziaria. E la scuola che fa?

L’Italia è in coda al gruppo: maleducata (o non educata) in fatto di investimenti dei propri denari. Eppure il tema è talmente delicato che questo ritardo dovrebbe inquietare. Siamo un Paese di eccellenti risparmiatori ma debolissimi investitori. Per più ragioni, tra cui la sfiducia. Ma per recuperare questo dannoso tempo perduto occorre ripartire dalle fondamenta, dalla scuola. Come quel luogo dove promuovere una programmazione virtuosa della materia finanziaria e non relegata a qualche passaggio nell’ora di educazione civica.  


23 maggio 2025
Italia agli ultimi posti
di Gianfranco Fabi

Warren Buffett

“Investire i propri soldi è semplice, ma non è facile”.

È una frase apparentemente paradossale di Warren Buffet, considerato il più autorevole operatore finanziario mondiale, la persona che con la sua società ha accumulato miliardi di dollari grazie alle operazioni finanziarie, a quello che spesso viene popolarmente chiamato “giocare in Borsa”.
In effetti operare sui mercati finanziari è semplice: basta dare un ordine, anche on line, alla propria banca per trovarsi in pochi secondi comproprietari di una qualunque società mondiale. Comproprietari perché acquistando per pochi euro un’azione si diventa soci e si partecipa ai maggiori o minori successi di quell’impresa.
Ma se il modo di investire è molto semplice, non è per nulla facile fare gli investimenti giusti, tenere al riparo i propri piccoli o grandi capitali dall’inflazione, riuscire ad ottenere rendimenti interessanti a medio e lungo termine. Soprattutto perché le scelte finanziarie devono guardare al futuro, un futuro che, soprattutto in momenti come gli attuali, è tutt’altro che facile da prevedere.

Il filo d’Arianna

Ecco quindi l’importanza di conoscere i fondamentali, capire i meccanismi dei mercati, distinguere ciò che è (quasi) sicuro da ciò che è più rischioso. Nell’oceano della finanza ci sono anche gli squali, che vanno guardati, come è giusto, con distacco e diffidenza. Ma ci sono anche i vascelli più tranquilli in grado di portare a destinazione passeggeri ed equipaggio. Certo, non bisogna avere fretta, non inseguire guadagni illusori, tenere sempre ben presente che più aumentano i rendimenti promessi più aumenta il rischio… e il rischio ogni tanto, diventa concreto. L’educazione finanziaria è il filo d’Arianna che può guidarci nel labirinto dei mercati, un’educazione finanziaria che, purtroppo, resta in Italia ai livelli più bassi d’Europa.
L’ultima indagine Eurobarometro sull’alfabetizzazione finanziaria nell’Unione europea mostrano che solo il 18 % dei cittadini è dotato di un elevato livello di alfabetizzazione finanziaria, il 64 % di un livello medio e il restante 18 % di un livello basso. Esistono tuttavia notevoli differenze tra gli Stati membri. Sono appena quattro infatti quelli in cui oltre il 25 % delle persone ottiene un punteggio elevato in termini di alfabetizzazione finanziaria: Paesi Bassi, Svezia, Danimarca e Slovenia.
Secondo l’Eurofin Index (realizzato da Alleanza Assicurazioni, Fondazione Gasbarri e Sda Bocconi: https://www.alleanza.it/educazione-finanziaria-assicurativa/abc-edufin/cose-edufin-index/), l’Italia ha uno dei livelli più bassi d’Europa. Nessuna regione raggiunge la sufficienza (60), ma la Toscana si distingue con un punteggio di 58, superiore alla media nazionale. Inoltre il 12% della popolazione è privo di conoscenze finanziarie, con un aumento del 2% rispetto all’anno precedente e solo il 40% degli italiani ha raggiunto un livello adeguato di conoscenza in materia. Vi sono poi differenze di genere: gli uomini hanno un punteggio mediamente più alto rispetto alle donne. E differenze geografiche: il Nord-Est primeggia nell’alfabetizzazione finanziaria, mentre il Sud evidenzia un gap di circa 4 punti; 1500 miliardi depositati nei conti correnti.
Il problema quindi esiste, non è nuovo, ma per ora prevalgono le analisi rispetto all’attuazione di programmi concreti. Nel suo sito web il Ministero dell’economia avverte, per esempio, che “l’Italia è un Paese con un basso livello di alfabetizzazione finanziaria, non adeguato alla complessità delle scelte da effettuare nel quotidiano e durante tutto l’arco della vita. […] Si tratta di una fragilità culturale che, come le ricerche confermano, ha effetti potenzialmente negativi sul benessere dei singoli e sul sistema-paese nel suo complesso.”
Ma per ora il tema dell’educazione finanziaria rimane costantemente in secondo piano, anzi con qualche passo falso dello stesso ministero come quando lo scorso anno per promuovere un’emissione di titoli pubblici si prospettava come l’acquisto avrebbe reso possibili fantastiche crociere sui mari del mondo. 
Le cause di questa ignoranza finanziaria partono da lontano.
C’è alla base una cultura del risparmio per nulla innovativa. Gli italiani hanno quasi 1.500 miliardi depositati nei conti correnti, in gran parte non remunerati. Una quota di risparmi, difficilmente calcolabile, è poi tenuta in casa, tradizionalmente si suol dire sotto il materasso: una scelta quanto meno discutibile perché lascia i soldi in preda ai topi e ai ladri e non aiuta ad avere sonni tranquilli.
C’è poi una scarsa fiducia nelle istituzioni finanziarie e negli istituti di credito, frutto di una narrazione che vede le banche come la longa manus di un sistema capitalistico fondato sul profitto a tutti i costi. Un profitto che viene irrazionalmente visto come derivante dal fatto che se qualcuno guadagna qualcun altro necessariamente deve perdere: senza tener conto che nella dinamica dell’economia la crescita può consentire guadagni per tutti, ovviamente per chi ne sa partecipare in maniera costruttiva.

Gender gap

Un altro elemento che tiene basso il livello di educazione finanziaria è il cosiddetto “gender gap”: le donne italiane hanno livelli di alfabetizzazione finanziaria inferiori rispetto agli uomini, spesso a causa di fattori culturali e sociali che le hanno escluse dalla gestione economica familiare e lavorativa. Per le donne c’è un forte interesse nell’utilizzare al meglio le proprie risorse finanziarie per i consumi quotidiani o per le spese di media importanza, ma c’è una quasi naturale ritrosia ad addentrarsi in quelli che vengono considerati i trabocchetti della finanza verso cui c’è una quasi istintiva diffidenza. E questo è dimostrato anche dal fatto che una parte significativa delle donne che prendono decisioni sui loro risparmi lo fa più seguendo i consigli di amici e parenti che di consulenti finanziari specializzati.

La gestione responsabile della “paghetta”

E poi di economia e finanza si parla poco e con molte approssimazioni nei mezzi d’informazione più seguiti: la televisione e i social network. Certo, chi vuole approfondire i temi finanziari trova pane per i propri denti. La Banca d’Italia ha, per esempio, un’ottima sezione del suo sito dedicata proprio all’educazione finanziaria, https://economiapertutti.bancaditalia.it/ ma bisogna andarlo a cercare, dedicare del tempo, avere le motivazioni giuste.
Un vero progetto di educazione finanziaria dovrebbe partire dalle scuole. Qualcosa si fa con iniziative indubbiamente meritorie. Oltre alla Banca d’Italia, anche la Fondazione per l’Educazione Finanziaria e il Risparmio (FEduF), in collaborazione con l’Associazione Bancaria Italiana (Abi), organizza programmi formativi. Inoltre, il progetto Young Factor, promosso dall’Osservatorio Permanente Giovani-Editori di Andrea Ceccherini, coinvolge oltre 700mila studenti delle scuole superiori.
Manca tuttavia la volontà, o la possibilità, di fare dell’educazione finanziaria un elemento continuo del percorso educativo partendo, con i dovuti equilibri, dai livello più bassi delle scuole elementari. In questa prospettiva la famiglia ha un ruolo fondamentale, per esempio insegnando il valore del denaro con la gestione responsabile della “paghetta”.
La scuola dovrebbe sollecitare una visione aperta della società e del sistema economico. E qui entra in gioco l’educazione finanziaria dei docenti. Qualcosa si muove: con la legge 21/2024, l’educazione finanziaria è entrata a pieno titolo come insegnamento obbligatorio, ma relegata all’interno dei programmi di educazione civica. Ci sono iniziative sperimentali di formazione per gli insegnanti, ma in forma del tutto volontaria che hanno ottenuto finora scarsa partecipazione. L’obiettivo: “formare cittadini consapevoli, in grado di gestire le proprie risorse in modo responsabile e di contribuire allo sviluppo di una cultura più equa, efficiente e sostenibile” è certamente meritorio, ma si scontra con molti pregiudizi degli stessi docenti in cui sono diffusi gli stereotipi negativi sul sistema finanziario considerato elemento centrale di un’economia fonte di disuguaglianze e disagio sociale.
Molte critiche non sono solo giuste, ma doverose. La finanza è spesso diventata un mondo a sé stante, staccato dall’economia reale, tutto teso all’obiettivo di fare i soldi con i soldi. Basta leggere l’enciclica Laudato sì di papa Francesco per avere conferma dell’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo basato sull’esasperazione della finanza e la tecnologia senza limiti.
Ma se è indispensabile impegnarsi per una diversa finanza e svolgere un ruolo positivo nel sostenere una più equa idea di sviluppo economico e produttivo, è altrettanto necessario sollecitare quell’educazione finanziaria che deve stare alla base di ogni giudizio e di ogni scelta.