La ricetta di un cammino: nove anni e una torta mai fatta
Un vecchio post in un antico social network ormai impolverato. Scritto da una ragazza in cura per la sua salute mentale. Quel “ritrovamento” sollecita una riflessione molto concreta e molto personale nel giovane oggi impegnato, anche professionalmente con il mondo della psicologia. La sua testimonianza ricca degli ingredienti che si scoprono nel quotidiano
20 giugno 2025
Vita a… fette
di Lorenzo Buggio

Di recente ho riattivato un vecchio account su un social network ormai fondamentalmente in disuso, perlomeno in Italia. Non lo aprivo dal 2017.
Prima di eliminare quell’account ho deciso di guardare un’ultima volta i post che avevo salvato. Un po’ per amarcord, un po’ forse per riscoprire qualcosa di un Lorenzo con qualche anno in meno.
La vita a colori
L’ultimo post che avevo salvato era di una ragazza. Raccontava la sua storia all’interno di un percorso di presa in carico per la sua salute mentale. Diceva che, quando aveva iniziato quel cammino molto difficile – che prevedeva anche un ricovero in una struttura sanitaria – si era detta: “Il giorno in cui riuscirò a ritornare a vedere la vita a colori, farò una torta.” In quel post, lei pubblicava proprio la foto di quella torta.
Per me vedere quello scatto fotografico – anzi, quel post – è stato come quando si ritrova una vecchia foto o si viene colpiti da un profumo che da anni non si sentiva e che è o era legato a una persona, a un momento, a un luogo … e così tutti i ricordi e le emozioni tornano a galla.
In un attimo non ero più Lorenzo, psicologo e futuro psicoterapeuta, con tutto ciò che ho intorno. Ero tornato a essere quel ragazzo di 19 anni, che aveva appena iniziato un percorso psicoanalitico che sarebbe durato nove anni. Quel ragazzo che, vedendo quel post, si era detto: “Anch’io, un giorno, riuscirò a fare quella torta.” Anche se poi, in realtà: io, quella torta, non l’ho mai fatta.
Avrei voluto tantissimo, anch’io, avere una fotografia che facesse vedere a me, prima di chiunque altro che quel periodo buio, difficile, era finito. Che testimoniasse il fatto che, grazie anche al supporto di alcune persone che si erano accorte prima di me di quanto stessi male, ero riuscito a chiedere aiuto. Invece quella torta non l’ho mai fatta. E, se devo essere sincero, penso che non la farò mai.
Attenzione però: non la farò mai perché non potrà mai esistere. In questi anni, infatti, mi sono reso conto, più come paziente che come professionista, di tante cose. Tra le tante, in questi nove anni di analisi ho capito che pensare di poter definire un momento preciso come “il momento della torta” è impossibile. Ogni volta che sentivo di avvicinarmi a quel momento – ogni volta che iniziavo a sorridere di più, a vedere un po’ di colore nella mia vita – accadeva qualcosa che andava storto, che mi faceva tornare indietro. O, forse, che non mi permetteva di essere convinto di poter fare quel passo. Quel passo che, metaforicamente, era “andare a comprare gli ingredienti”.
Passi falsi o che cosa?
E così mi sono dannato, anno dopo anno, mese dopo mese, giorno dopo giorno, alla ricerca di quel momento.
Mi chiedevo: “Sono io a non voler fare quel passo?”
Ma vedevo chiaramente che lo desideravo. E allora cos’era?
Era il contesto? Allora ho cambiato contesto.
Mi sono mosso. Ho cambiato tante cose.
Sono uscito da certe relazioni, ne ho iniziate di nuove. Ho cambiato il modo di vestirmi, di pormi. Ho deciso di intraprendere una vita nuova. E ogni volta che mi avvicinavo a quel desiderio, però, qualcosa sembrava allontanarsi. All’ultimo momento, quando ero lì lì per toccarlo… puf, se ne andava via. A un certo punto ero disperato. Volevo chiudere l’analisi. Non volevo più continuare quel percorso.
Mi sembrava inutile. Ma non solo: volevo smettere di cercare quel desiderio. Accettare che, tutto sommato, ciò che avevo poteva bastarmi. E che, anche se non avrei mai fatto quella famigerata torta, la mia vita sarebbe andata bene lo stesso.
Poi – forse per codardia – ho deciso di continuare ancora un anno. Il mio quarto anno di analisi. E piano piano, in quell’anno, mi sono reso conto che, in realtà, io stavo già facendo tante piccole torte. Non erano quelle definitive, certo. Ma guardando indietro, vedevo che certi piccoli passi, che solo quattro anni prima mi sarebbero stati impossibili, ora li mettevo in atto.

Obiettivi raggiunti (quasi)
Avevo cambiato università subito dopo il periodo del Covid, senza paura di incontrare nuove persone – e le ho incontrate, persone che ancora oggi sono tra le amicizie più strette, quelle che ti auguri di portarti avanti per tutta la vita.
Avevo deciso di costruire un futuro mio, personale, nel mondo della psicologia e mi ero mosso in quella prospettiva. Lì ho compreso un punto fondamentale di tutto questo discorso: quella torta, in fondo, io non la volevo davvero fare. Meglio ho imparato che per qualcuno – come la ragazza del post – può esistere un momento in cui si arriva a “vedere i colori” e quello è il punto finale, ma questo non è per tutti e certo non per me. E vi posso assicurare che, ripensandoci anche mentre scrivo questo articolo, mi sento profondamente felice di aver compreso questo. Molto spesso, infatti, – soprattutto se sei un uomo – si pensa che il successo della vita consista nel raggiungimento completo e totale degli obiettivi.
Un po’ come dire: “Sarò felice quando raggiungerò X.” “Sarò felice quando la persona Y starà con me.” “Sarò felice quando avrò questa macchina, e non quell’altra.”
Ora, è sicuramente vero che il desiderio è la condizione base dell’essere umano. È ciò che ci permette di andare avanti. Se non desiderassimo stare con delle persone, non le cercheremmo.

Se non desiderassimo un certo tipo di vita, non ci muoveremmo.
Però è anche vero che è solo nel momento in cui si sposta lo sguardo da ciò che si vuole a ciò che si sta facendo per arrivarci che si comprende che – permettetemi quasi una citazione – “la vera felicità sta nel muoversi verso quel punto”. Solo allora si inizia a capire che qualcosa è possibile. È possibile vivere felicemente. Attenzione: quando dico “vivere felicemente” non intendo uno stato continuo di euforia.
Intendo invece quella letizia che nasce dal guardare al cammino percorso e scoprire che ti ha portato a vedere un nuovo orizzonte.