Andiamo al largo a Casa Jannacci

Ospiti ed educatrici dello storico dormitorio milanese per senza tetto (il più grande d’Europa) hanno messo in scena uno spettacolo teatrale intitolato “Lo sguardo dell’albero”.
Nessuna astrazione, ma uno spaccato di realtà. Dove, con taglio anche divertente, i cosiddetti invisibili di questa realtà hanno voluto raccontare e raccontarsi. Con quell’ impronta di verità che lascia sul terreno scalcagnato la scarpa da tennis che è propria delle canzoni di Enzo Jannacci, morto dieci anni fa e di cui il luogo di accoglienza ha preso giustamente il nome.
Uno spazio che, per iniziativa del Comune di Milano e, da maggio scorso, in collaborazione con la cooperativa Medihospes, ha assunto un nuovo volto. Un piccolo ma significativo segnale. Per dire che la realtà non è una messa in scena. E per dire che nella realtà ci sono gli alberi.


13 gennaio 2023
di Nicola Varcasia

Milano, Murales

Non faceva il palo alla banda dell’Ortica. Anche perché ci vede benissimo e non è “sguercio” come il protagonista della canzone. Però era lì. E ne ha vista passare di gente.
Fatto sta che quarant’anni fa e più, nel quartiere alla periferia di Milano oggi ritornato in grande spolvero, Davide c’era per davvero e così ha voluto raccontare dell’Osteria del Gatto Nero di fronte alla quale è cresciuto. Ha rievocato la Milan che non c’è più, quella che “quando ti tuffavi dal ponte dei navigli, se non stavi attento, finivi sui barconi che passavano”.
Poi ha ricordato il Giuan, il proprietario, “che serviva il barbera nelle scodelle bianche, il risotto giallo e l’osso buco. E che poi prendeva la chitarra e cantava le canzoni milanesi”. La stessa canzone Faceva il palo nella banda dell’Ortica di Enzo Jannacci, che ha frequentato l’osteria, è nata qui.
Arrivati, con un rapido cambio di scena, dentro all’Osteria ritrovata “per ricordar i tempi indré e la mia gioventù che la passa ma la torna pu”, scopriamo che oggi, a gestirla c’è un ragazzo molto allegro, parla un italiano praticamente perfetto ma non è di qui.
Jussef sorride, è bravo, è pronto a svolgere qualsiasi mansione (anche il tecnico del suono e l’attore per un giorno), ci sa fare proprio e ti vien da chiedere perché si trovi qui e non altrove. Il suo tuffo lui l’ha fatto ed è finito su un barcone che dal Marocco l’ha portato qui.
Altro giro di scena e di musica al piano, sempre di fronte allo “Sguardo dell’albero” situato a sinistra del piccolo palco, tocca a Pietro, volto scavato e voce naturalmente teatrale, regalarci un ritratto della sua Genova ventosa, malinconica e profonda.

Lo spettacolo a Casa Jannacci 2022

Una città che “mi ha lasciato in eredità un carattere un po’ chiuso, un po’ orso: siamo così noi genovesi, siamo restii a dare confidenza alle persone, forse è una cosa atavica che deriva dai continui assalti che la città subiva” e che ha portato i suoi abitanti a costruirla con i caratteristici carruggi che costringeva i nemici ad attaccare la terraferma solo da una parte.
Ci ha poi pensato Isabel a improvvisare una samba per tutti, non prima di aver recitato una poesia in portoghese che ha fatto piangere tutti anche se non si capivano bene le parole.
Ce ne sarebbero tantissimi altri di momenti in scena da raccontare (notevole l’albero-Antonio che ha tenuto il palco per più di un’ora).
Ma, a questo punto, conviene riavvolgere la bobina.
Sul cellulare si è materializzata una locandina che il 16 dicembre scorso alle 21 invitava ad andare a vedere, presso Casa Jannacci, in viale Ortles, a Milano, “Lo sguardo dell’albero”, uno spettacolo nato da un’idea di due ospiti e messo in scena dalle educatrici (e artiste) del centro diurno Valeria Coen e Francesca Pergola, proprio assieme ad alcuni di loro.
Quello che è andato in scena in una serata divertente e inusuale aiuta molto a capire che cosa succede ogni giorno dentro questo luogo abitato da persone invisibili che, per loro scelta, hanno voluto raccontarsi e mostrarsi. Aprendo uno spaccato di ricordi, bisogni e speranze che fanno superare ogni barriera.
Come i due bellissimi e struggenti momenti di danza inscenati nello spettacolo da Valeria e Francesca con gli attori-ospiti. A recitare doveva esserci anche Livio, che suona il piano ma, dopo aver contribuito a metter su lo spettacolo e a registrare le basi, non ha voluto partecipare. Invisibile fino al paradosso. A noi resta il suo copione, riadattato dalle registe all’ultimo momento per poter andare in scena, dove dice: “Nonostante tutto questo, albero, Tu, testimone e sentinella del tempo, sei sempre lì, imperterrito, sempre lo stesso, io, invece, vago nei meandri della vita alla ricerca di un centro”.

La Locandina dello Spettacolo del Centro diurno di Casa dell’Accoglienza Jannacci 16 dicembre 2022

Molto di più di uno spettacolo
La genesi stessa dell’inusuale spettacolo dice molto di questo luogo che richiama la città a una memoria e a un compito, come ci spiega Valeria: “Abbiamo iniziato a lavorarci con tre persone, chiedendoci insieme di che cosa volessero parlare nello spettacolo”.
Uno degli ospiti, Pietro, ha detto che i pensieri e le domande gli vengono quando guarda gli alberi. Sentimento condiviso con Livio, che ha riunito i ricordi dell’oggi con quelli passati al parco della Guastalla.
Così l’albero è diventato il soggetto intorno a cui costruire la scena e così, continua Valeria, “abbiamo iniziato a pensare che cosa gli avremmo chiesto. C’è stato un confronto di mesi prima di arrivare all’ossatura dello spettacolo”. Poi al centro diurno si sono aggiunte altre persone, che è diventato più popolato e chi si è inserito dopo ha arricchito il copione con il suo contributo. Per non parlare dell’altra decina di persone che ha partecipato con le scenografie, alle immagini proiettate e gli aiuti tecnici.
Però”, continua Valeria, “la vita è difficile per tutti, soprattutto per chi vive qui e ci sono stati momenti in cui alcune persone che partecipavano non potevano venire, salvo poi ritornare. Dopo decine di versioni, siamo arrivati a quella definitiva”.
Ma pochi giorni prima della prima “Livio che ha dato dedizione e passione e idee ha deciso di non arrivare alla rappresentazione”. E torniamo alla sera del 16 dicembre.
Fa un certo effetto avere in mano il copione di un attore che non è un attore di uno spettacolo che non è (solo) uno spettacolo ma che è molto di più: è uno spaccato di quello che accade, da tanti anni, in quello che i milanesi oggi conoscono come Casa Jannacci, una delle case di accoglienza per senza tetto tra le più grandi d’Europa.
Chi conosce la zona sa che in passato si è guardato con una certa diffidenza a questo spazio che però già da alcuni anni per iniziativa del Comune di Milano e, dal maggio scorso, in collaborazione con la cooperativa Medihospes, si è dato un nuovo volto ispirandosi non solo nel nome al celebre cantautore milanese di cui proprio quest’anno cadono i dieci anni dalla scomparsa.
E sembra un po’ più di una coincidenza che anche in questo spettacolo la figura del grande cantautore e attore sia stata in qualche modo presente con le sue battute, il suo sguardo disarmante e le sue carezze.
Nel 2023 ci saranno altri momenti di apertura di Casa Jannacci alla città – culturali, di sensibilizzazione, di festa – per condividere e comprendere a fondo i bisogni di chi si ritrova ad abitare qui. Non saranno momenti di astratta riflessione.
Qui proprio non si può. Lo ha richiesto tra le righe anche l’albero-Antonio: “Se tutte queste cose (il vociare dei bimbi che giocano vicino, chi cerca riparo dal sole) mi rallegrano, altre non le sopporto, ad esempio i languidi cuori trafitti da frecce che deturpano la mia corteccia”.

Enzo Jannacci

Arriva il primo minore non accompagnato

“Com’è andata la giornata?”, si sente domandare una ragazza, anche lei ospite, al termine dello spettacolo, da un’altra accanto a lei.
Gli occhi lucidi rispondono da soli. Qui non siamo più in scena, siamo tra il pubblico, composto in buona parte da altri ospiti. La vita è difficile per chi abita qui.
Non c’è tempo per commuoversi: “Sta arrivando”, dicono dalla cooperativa. Chi? “È il primo minore non accompagnato che per un periodo verrà a stare qui, fino a oggi pomeriggio viveva per strada. Potrebbero arrivarne fino a trenta nelle prossime settimane”.
Da dove viene, che lingua parla, dove andrà dopo? Anche per lui, si spera e si lavora (siamo a Milano, eh!) affinché quel ragazzo non finisca a fare il palo in qualche banda ma magari a gestire una vera osteria.