Angelo Scola: Quel che la vita continua a offrirci
Con Nell’attesa di un nuovo inizio. Riflessioni sulla vecchiaia (Libreria Editrice Vaticana), il cardinale, già Patriarca di Venezia e poi Arcivescovo di Milano, si è confrontato con un tema fondamentale che la nostra contemporaneità prova ad addomesticarlo o addirittura anestetizzarlo. Il libro è un itinerario di pensieri che sono esperienza piena di senso. Pagine dove «l’una, l’esperienza, illumina l’altra, la cultura; la seconda sostanzia la prima. In questo intreccio felice, la vita e la cultura fioriscono di bellezza», come scrive Papa Francesco nella commovente prefazione.
Il Centro Culturale di Milano in collaborazione con LEV e Arcidiocesi promuove l’incontro di presentazione lunedì 9 giugno, h. 18.00, presso Sala Convegni Piazza Fontana 1 (ingresso libero, fino a esaurimento dei posti) con il cardinale Angelo Scola in videomessaggio, Mons. Mario Delpini, l’Arcivescovo di Milano e il filosofo Massimo Cacciari coordinati da Catia Caramelli di Radio24
6 giugno 2025
“Come” diventare vecchi
di Walter Ottolenghi

«È vero, si diventa vecchi, ma non è questo il problema: il problema è come si diventa vecchi». Si potrebbero liquidare come un’inoppugnabile considerazione di buon senso le parole scritte nel febbraio scorso da Papa Francesco nella prefazione al recente, breve ma intenso, libro del Cardinale Angelo Scola Nell’attesa di un nuovo inizio. Riflessioni sulla vecchiaia (Libreria Editrice Vaticana). Ma non è così.
Nel rumore di fondo della nostra contemporaneità il come che dovrebbe riqualificare la vecchiaia ha il sapore dolciastro dei placebo destinati ad anestetizzare l’inevitabile declino delle performance. Un come fatto di integratori, diete, lifting, adesivi per dentiere e via così. E un insistente linguaggio mediatico, confezionato in modo da far percepire gli anziani come sempre potenzialmente partecipi e attivi, dunque “diversamente giovani”. Ma nel come di Francesco, e anche di Angelo, c’è ben altro. C’è l’intreccio di esperienza e cultura che alimentano una bellezza che non ha età.
Il senso della compiutezza
Scrive ancora Francesco: «… voglio manifestargli tutto il mio ringraziamento per questa riflessione che unisce esperienza personale e riflessione culturale come poche volte mi è accaduto di leggere. L’una, l’esperienza, illumina l’altra, la cultura; la seconda sostanzia la prima. In questo intreccio felice, la vita e la cultura fioriscono di bellezza». E una bellezza che fiorisce così ci pone già fuori dal tempo, ci fa intuire e insieme sperimentare una dimensione nuova che proietta ogni stagione della vita nel suo significato fatto per un per sempre.
Ed è di questa dimensione che ciascun anziano, quale anch’io sono, può fare esperienza. Scrive Scola: «Nella vecchiaia, infatti, il senso della vita si dipana in tutti i suoi aspetti, la pluralità di significati che abbiamo sperimentato nelle varie età trova una sua sintesi e ci consente di cogliere appieno quel che la vita è».
Possiamo osare concludere che la vecchiaia incorpora in sé una cultura a prescindere dai gradi accademici e dai cursus honorum? Sembra proprio di sì. «Perché ci dà la possibilità di vedere nel loro reale significato e quindi di intraprendere (anche se la parola può sembrare strana a questa età) tutto ciò che la vita continua a offrirci nei diversi ambiti, negli affetti, nelle amicizie, nei giudizi sulla realtà, nello sguardo sul mondo».
Un dono di cui molti hanno il ricordo per averlo visto all’opera nei loro nonni e che sperimentano su di sé diventando nonni, nella ricchezza di una relazione insostituibile con i nipoti. E di cui è portatore anche chi nonno non lo diventa, per una sua scelta di stato o perché così ha voluto lo svolgersi della sua vita. Ricordo le mie conversazioni con amici sacerdoti nella comune consapevolezza di incontri di congedo nelle ultime settimane della loro vita. Illuminati dalla capacità di trasmettere la serenità di una pienezza sperimentata nel corso degli anni e di cui coglievano la bellezza e il senso nella loro compiutezza.

Gli aspetti più duri della vecchiaia
Se tutto questo è dunque sperimentabile, altrettanto lo sono però anche gli aspetti più duri e indesiderabili della vecchiaia. Il decadimento fisico e cognitivo, la fragilità che ne deriva e il senso di angoscia e di ingiustizia che accompagnano l’attesa della fine. Scola si confronta senza remore anche con tutto questo. È, del resto, una realtà con cui tutti facciamo presto i conti quando ne vediamo i segni nelle persone care che prima di noi affrontano questo passaggio o quando ne percepiamo le avvisaglie addentrandoci nei decenni posti al limite delle nostre speranze statistiche di vita. Ed è il tema più scabroso della nostra epoca. Curiosamente, mentre irridiamo i tabù dei nostri bisnonni e ci vantiamo di averne spezzate le catene non ci accorgiamo di esserci cacciati in un conformismo ben più devastante che comporta la denegazione di un’intera stagione della vita e delle sue più intime pulsioni. Dalle quali è d’obbligo distogliere pudicamente lo sguardo, evitarne le imbarazzanti domande che disturbano l’ordinato svolgersi della quotidianità. E, per carità, da nascondere ai bambini. Dimentichi di un’epoca in cui l’anziano era una venerabile risorsa di saggezza, di affetto e di perdono. Di cui le generazioni più giovani ancora non avevano, come non hanno, maturato una piena capacità. Dispensatore di consigli e trasmettitore di conoscenza, ma anche presenza costante di inesauribile tenerezza di consolazione, di educazione all’amore.

Guarigione e salvezza
Tornando allo scritto di Scola: la vecchiaia anche come tempo inquieto. Dove la fragilità psicofisica può portare a un inaridimento della capacità relazionale ed affettiva. Tanto più pesante quando accentuata dalla malattia e dalla sofferenza. «Come tutte le realtà elementari di cui facciamo esperienza (la conoscenza, l’amore, etc.) il dolore e la sofferenza sono difficili da spiegare». Ma la mancanza di comprensione, di significato, toglie anche materiale alla capacità di comunicare, di trovare parole che esprimano profondamente la propria esperienza o anche solo di superare il pudore del condividere.
Di queste incomprensibilità quelle della sofferenza e del dolore sono le più inquietanti, soprattutto quando se ne intuisce l’aspetto di premonizione del limite della vita. È qui che la domanda di salute, di guarigione, inizia a intrecciarsi con la domanda di salvezza.
«La domanda al medico… sostanzialmente è sempre la stessa: ‘Fammi vivere’, cioè fammi durare». Ho notato a mio modo anch’io come in alcune lingue guarigione e salvezza siano sinonimi o addirittura un’unica parola possa esprimerle entrambe. Un po’ come il sanabitur anima mea della Messa. Così come le guarigioni degli infermi nelle Scritture aprono gli occhi a una salvezza duratura. E come il ‘fammi durare’ sia la domanda vera di fronte all’incomprensibilità della sofferenza.
«Nel Vangelo non c’è una ‘teoria del dolore’. … Cristo non ha cercato di cancellare il dolore attraverso una teoria più brillante delle altre, ma ha compiuto un’opera di presenza, anzi di totale immedesimazione con chi soffre, illuminandone il significato profondo: la collaborazione alla sua redenzione del mondo».
Quel rumore di fondo che ci accompagna sempre
Pure dell’impossibilità materiale del durare e dell’istintiva angoscia che accompagna questo pensiero nessuno è più consapevole dell’anziano. In particolare in questa nostra epoca che, nonostante i suoi tentativi di rimozione, o forse proprio a causa di quelli e della loro insistenza, ha nella morte «un rumore di fondo che ci accompagna in ogni momento della nostra vita», come ha scritto Michel Houellebecq (Le particelle elementari).
Dunque un’angoscia ineludibile, nonostante ogni inutile sforzo di infingimento ed oblio. Semplicemente non possediamo risorse per liberarcene. «Valutata in termini umani, la morte è semplicemente una fine, un puro e semplice passivo venir portato via …. La follia del cristianesimo consiste nel fare di questo confine una specie di centro» (H.U. von Balthasar, L’azione, Teodrammatica, vol. IV). La risorsa, quindi, arriva da fuori. Una follia, uno stato dell’essere che prescinde dal nostro controllo.
«Nel libero “Sì” di Colui che poteva non morire viene spezzato il giogo della condanna capitale. Decidendo di incarnarsi per morire e risorgere, Cristo libera tutti gli uomini dalla morte trascinandoli con sé nel destino di gloria. Su questa base la fede cristiana non annuncia semplicemente la possibilità di una morte serena, ma la resurrezione della carne». «… non sarà la rianimazione di un cadavere. Sarà una corporeità diversa, anche se in continuazione con quella precedente. Sarà ‘vero corpo’, cioè un corpo con caratteristiche tali che lo destinano all’eternità».

Oltre la soglia
Le riflessioni procedono quindi con uno sguardo “oltre la soglia”, in una sequenza di pagine che sono più da contemplare che da commentare. Il senso pieno dell’immortalità dell’anima, il tempo intermedio e i Novissimi, l’aldilà e il centuplo quaggiù, cos’è la vita eterna. Pagine che evidentemente scaturiscono dall’esperienza di una vita piena ed intensa. «Possiamo dire allora che il centuplo, strutturalmente connesso con l’aldilà, è l’irruzione dell’eterno nel quotidiano, è una stabile novità che alimenta e dà all’esistenza il dolce sapore del dono».
Con qualche eco forse un po’ agostiniana si potrebbe dire che questa irruzione è come una luce che si accende quando l’inesprimibile profondo desiderio del cuore sente di aver finalmente trovato il suo misterioso eppur presente oggetto. «Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto» (Ps.27).
Mi permetto uno strappo alla regola, di natura personale. Nella prima parte del libro una pagina è dedicata alla pandemia del Covid-19. La vulnerabilità degli anziani ne è stata uno degli aspetti più drammatici, così come tragica è stata l’esperienza delle morti in solitudine e dell’impossibilità di accompagnare i propri cari alla sepoltura. Sono le condizioni della fase più rigorosa del lockdown, nelle quali ho perso Rosalba, compagna di vita per 50 anni. Ed anche, per quel che ricordo, compagna di studi di un giovane Angelo Scola durante un suo acrobatico passaggio da ingegneria a filosofia. Sono stato colto da uno stupore indicibile leggendo questa ed altre riflessioni che illuminano l’ultimo quarto di luna del nostro viaggio terreno. Ne ho ricevuto tanto conforto. Pensando al filo rosso che connette le esperienze di quando nessuno poteva immaginare quel che l’avventura della vita avrebbe riservato e rivelato a questo tempo presente. Nel quale si inizia a percepire, insieme al timore del dolore e del distacco, la trepidazione per il passaggio a un nuovo inizio. E che il Qualcuno che ci attende è lo stesso che ci ha fin qui accuditi e accompagnati. Sì, è veramente risorto.