Carrón sul Coronavirus: «Ecco come nelle difficoltà impariamo a battere la paura»
Caro direttore, sollecitato dal suo invito ad «aprire una nuova fase: attenta, seria e responsabile nell’affrontare l’emergenza sanitaria» (Corriere della Sera, 28 febbraio 2020), mi permetto offrire un contributo alla riflessione.
Spesso viviamo come in una bolla, che ci fa sentire al riparo dai colpi della vita. E così ci possiamo permettere di andare avanti distratti, facendo finta che tutto sia sotto il nostro controllo. Ma le circostanze a volte scombinano i nostri piani e ci chiamano bruscamente a rispondere, a prendere sul serio il nostro io, a interrogarci sulla nostra effettiva situazione esistenziale. In questi giorni la realtà ha squassato il nostro più o meno tranquillo tran tran assumendo il volto minaccioso del Covid-19, un nuovo virus, che ha provocato un’emergenza sanitaria internazionale. Paradossalmente, però, proprio le sfide che la realtà non ci risparmia possono diventare il nostro più grande alleato, poiché ci costringono a guardare più in profondità il nostro essere uomini. In situazioni imprevedibili come quella attuale siamo infatti risvegliati dal nostro torpore, strappati alla comfort zone nella quale ci eravamo comodamente installati e viene allo scoperto il cammino di maturazione che – ciascuno personalmente e tutti insieme – abbiamo fatto, la coscienza di noi stessi che abbiamo guadagnato, la capacità o incapacità di affrontare la vita che ci troviamo tra le mani. Le nostre piccole o grandi ideologie, le nostre convinzioni, perfino quelle religiose, sono messe alla prova. La crosta delle false sicurezze mostra le sue crepe. Ognuno, senza distinzione, è chiamato in causa e coglie meglio chi è.

«Quale presenza è in grado di vincere il profondo timore che ci attanaglia? Non basta una qualsiasi presenza»
Questo è il valore di ogni crisi, come ci insegna Hannah Arendt: «Ci costringe a tornare alle domande», fa emergere il nostro io in tutta la sua esigenza di significato. Vi è un profondo nesso tra il nostro rapporto con la realtà e la nostra autocoscienza di uomini: «Un individuo che avesse vissuto poco l’impatto con la realtà, perché, ad esempio, ha avuto ben poca fatica da compiere, avrà scarso il senso della propria coscienza, percepirà meno l’energia e la vibrazione della sua ragione» (Luigi Giussani, Il senso religioso, pag. 139). La domanda che sorge in questo momento, più potente di qualsiasi altra, è: che cosa vince la paura?
Solo quando domina una speranza fondata siamo in grado di affrontare le circostanze senza fuggire, di spalancare veramente la ragione, per poter stabilire un rapporto razionale ed equilibrato con il pericolo e il rischio e anche usare la paura (nel suo senso più immediato e comprensibile) come strumento di lavoro. Altrimenti finiremo o per reagire convulsamente o per guardare tutto attraverso il buco della serratura della nostra misura razionalista, che alla fine è assolutamente incapace di liberarci dalla paura e di far ripartire la vita. Forse, allora, nessun compito è più decisivo che intercettare quelle presenze in cui si vede in atto una esperienza di vittoria sulla paura. Insieme a loro, lì dove le troviamo, si potrà più facilmente ripartire, risvegliandoci dall’incubo in cui siamo precipitati, ricostruendo pezzo dopo pezzo un tessuto sociale dove il sospetto e il timore del contatto con l’altro non siano l’ultima parola. Perfino l’economia potrà così riprendere il suo respiro.
Che occasione può diventare il momento che stiamo vivendo! Una occasione da non perdere.