“C’è ancora domani” con le donne che hanno fatto l’Italia
E così ecco l’opera prima di un volto di attrice conosciuto e apprezzato.
Ed è il film che non ti aspetti. Un bianco e nero che non è solo omaggio alla stagione del neorealismo. Un bianco e nero “storico” che ci porta all’Italia del 1946 che cammina. Da quel contesto Paola Cortellesi estrae la drammatica vicenda di Delia e, senza retorica, ne fa mattone di una costruzione necessaria. Uno spartiacque liberante. Non oppositivo ma propositivo, segnato da un pensiero femminile davvero popolare, sanguigno, da periferia esistenziale che diventa centro, perno di rinascita educativa.
17 novembre 2023
La sorpresa Paola Cortellesi
di Elena Inversetti
Usciti dal cinema la testa e il cuore fanno Giacomo-Giacomo… dovrebbero farlo le gambe, ma davvero ci si sente piacevolmente sottosopra.
Colti da una sorta di stordimento, dovuto a tanta profonda bellezza appena incontrata. Quella che alla fine del film fa mancare le parole per descriverlo e per descriverti, perché un po’ quelle due ore ti cambiano.
Per fortuna non serve avere una cultura cinematografica per accorgersi e godere dei molti momenti d’arte che passano dall’ode all’elegia fino all’epica, mantenendo però sempre il passo della novella popolare e senza mai retorica.
Un dramma del popolo
Ma adesso è il caso di fare rewind e di tornare dentro la sala buia che profuma di pop-corn al caramello e di mettersi di fronte allo schermo in bianco e nero per una storia in cui i colori effettivamente non servono. Tutte le cromìe, infatti, stanno nei diversi motivi della trama, del contesto, delle parole e delle musiche che dalla canzone popolare italiana a Lucio Dalla, lasciano spazio a incursioni rock e hip-hop con un finale firmato da Daniele Silvestri.
Si inizia con un esordio da classica commedia all’italiana. E infatti “C’è ancora domani” è scritto, insieme a Giulia Calenda e a Furio Andreotti, dalla pluripremiata attrice comica Paola Cortellesi, al suo esordio come regista. Eppure di comico, lo capiamo dopo solo qualche secondo, c’è ben poco. La trama, il contesto, le parole e le musiche seguono il passo del dramma, nel suo significato etimologico di ‘azione’, piuttosto che semantico di ‘tragedia’. Un dramma popolare, ossia ‘del popolo’, con un chiaro omaggio al Neorealismo.
“C’è ancora domani” è il dramma di Delia, mamma di tre figli, badante del suocero dispotico, figlia della Roma popolare del Dopoguerra. Siamo nel 1946 e per le strade ci sono i soldati americani che distribuiscono cioccolata. Delia è anche, suo malgrado, la moglie di Ivano che con regolarità da orologiaio la pesta, perché lei è “una buona a nulla che manco la serva sa fa’”. Eppure Delia continua a servire, non perché ami essere trattata come un mulo da soma, ma perché così le hanno insegnato fin da bambina. Delia è una serva anche per amore della sua famiglia, ma quando viene trattata da schiava suscita l’incomprensione della figlia che non sa se amare quella madre dolce e attenta o se odiare quella donna che sembra una nullità.
Lo sguardo umano di Delia
Intanto il dramma procede con sempre più partecipazione: pure noi siamo lì a correre insieme a Delia nella polvere delle strade romane, passando da un lavoro all’altro, per arrivare a fine mese. Delia si ferma soltanto per parlare con il suo amore di gioventù del quale sarebbe un delitto anticipare qualsiasi cosa, tanta è la poesia, senza alcuna traccia di melassa, che Paola Cortellesi ci regala, semplicemente assaporando un pezzo di cioccolata americana…
Un’altra sosta è poi con un soldato. Di colore. Lei parla romano, lui inglese. Non si capiscono, ma si comprendono. Un’amicizia che può essere interpretata facendo appello esclusivamente alla propria categoria di pensiero e di appartenenza, quindi in modo ideologico: un esempio da manuale di femminismo intersezionale, due minoranze che fanno squadra in un mondo ostile (manca la presenza LGBTQ+ ma nel 1946 sarebbe fantascienza).
Oppure, nell’anno del diritto di voto alle donne, la speranza è che uno sguardo realmente umano verso l’altro (senza bisogno di schwa – ə) sia l’inizio della fine di ogni forma di razzismo e di prevaricazione. D’altronde Paola Cortellesi in passato più volte ci ha regalato monologhi sulle differenze di genere tra uomo e donna sempre in modo serio, seppur ironico, mai urlato né arrabbiato. Lo stesso stile che ritroviamo in “C’è ancora domani”.
Azioni, non fazioni
Poi, come sempre, arriva il secondo tempo. Se prima Delia risponde: “Ma dove vuoi che vada!?” a sua figlia che la incalza a reagire contro le angherie del marito, man mano che la storia si avvia alla sua conclusione, capiamo che in realtà Delia sa benissimo dove andare e dove portarci. Per tutto il film, a più riprese, le donne di qualsiasi età ed estrazione sociale si sentono dire dai rispettivi mariti o padri: “Te devi impara’ a sta’ zitta“. D’altronde, come dice il suocero di Delia a suo figlio: “È ‘na brava donna de casa, ha solo ‘sto difetto che risponne. Deve impara’ a sta’ a bocca chiusa”. Questo mantra – “stai zitta” – si infrange soltanto nel finale grandioso, di fronte a un muro di voci a labbra serrate, composte, dignitose e resistenti (molto più che resilienti). Assai più incisive ed educanti di qualsiasi forma di protesta a seno nudo, brandendo barriere di opposte fazioni sulle barricate dell’ideologia.
Perché qui non ci sono fazioni, ma azioni; non ci sono singole identità vessate, ma c’è un popolo; non c’è un lieto fine, perché la storia non è finita, nonostante il pathos abbia raggiunto il suo climax. La storia piuttosto ci viene consegnata affinché siamo noi a continuarla. Delia infatti ha saputo cambiare il contesto, partecipando alla storia collettiva. Oggi, 77 anni dopo, quando tutto sembra essere cambiato, ci rendiamo conto che poco ancora lo è davvero. La trama di molte vite resta simile a quella di Delia. Eppure lei ci consegna la fiducia nel domani. Sta a noi, oggi, non renderla fantascienza, ma realizzarla.
Sì, “C’è ancora domani”è un film femminista. Ma non solo. È anche e soprattutto un film d’amore. Paola Cortellesi ha scelto di raccontare le donne anonime che hanno fatto l’Italia, quelle che la sera cucivano con la macchina Singer, quelle con indosso sempre il grembiule, insomma quella generazione proletaria che ha contribuito nella quotidianità a ricostruire il Paese, quelle mogli e madri che non avevano l’ambizione di emanciparsi, semplicemente perché tutto il mondo che conoscevano aveva sempre detto loro che non valevano niente. Un tessuto sociale che nessuno ha mai celebrato.
Il diritto di contare
In una intervista Paola Cortellesi ha detto: “Pare la trama di una fiaba per bambine, sempre zeppe di zone oscure, pensiamo ancora oggi al mito delle principesse e invece è storia, piuttosto consueta, di una famiglia italiana, di una donna, all’epoca. Delia non reagisce, ma una missiva a lei indirizzata le accenderà il coraggio, ho tentato di immaginare cosa abbiano provato quelle donne nel ricevere una lettera in cui qualcuno – tanto più importante dei loro aguzzini – certificava il loro diritto di contare. Ho voluto raccontare le imprese straordinarie delle tante donne comuni che, ignare, hanno cambiato il corso delle cose”, traendo ispirazione “dalle tante storie che mi hanno raccontato le mie nonne e bisnonne, le storie dei cortili, dove dalle finestre aperte si sentivano i gemiti d’amore e contemporaneamente il suono sordo delle botte”. “C’è ancora domani” èun film “contemporaneo ambientato nel passato”. Ecco perché è anzitutto un film d’amore che educa. Infatti, se all’inizio l’unica ambizione di Delia è quella di far sposare la figlia, alla fine la sua missione diventerà quella di emanciparla e dunque di liberarla. Non stupisce che Paola Cortellesi abbia dedicato il film a sua figlia.
“C’è ancora domani” ci trasmette l’amore per il prossimo e il civismo, intesto come resistenza attiva nei confronti dell’effimera fluidità in cui viviamo e della nostra identità sbiadita.
Un film da vedere, perché tutto quello che ti aspetti non succede, tutto quello desideri, non accade, mentre ormai sei anche tu lì, insieme a Delia, sulle strade polverose e mezze dissestate di Roma a correre con le scarpe basse e la camicetta rammendata.
Tutto quello che vorresti si realizza piuttosto in un’altra Storia che ci viene lasciata in consegna.