Claudio Rocchi, il musicista che ha voluto “fare” l’uomo

Essenza d’autore

Dieci anni moriva un artista disallineato. Osservatore acutissimo della realtà; appassionato della vita; una notevolissima carica spirituale. Colpevolmente trascurato perché insensibile alla cultura delle parole d’ordine. Il libro di Walter Gatti, “Essenza. Vite di Claudio Rocchi” (Caissa Italia Editore), riporta finalmente l’attenzione su una personalità debordante. Un romanzo della vita tutto da scoprire.  


23 giugno 2023
di Enzo Manes

Claudio Rocchi scomparso all’età di 62 anni, nel 2013

Sono trascorsi dieci anni dacché Claudio Rocchi ha intrapreso il suo ultimo volo magico esistenziale, il 18 giugno 2013, per una malattia degenerativa alle ossa, a 62 anni.
Rocchi è stato un vero artista e perciò un irregolare. Ha scandagliato con qualità poco comuni vari linguaggi: cantautore folk e rock, conduttore radiofonico, fondatore di broadcast radio, divulgatore culturale, devoto alla religione induista. Un impegno, il suo, che oggi verrebbe detto crossmediale. Un impegno preso con la vita in modo assai serio perché sempre fuori circolo. Fuori sincrono. Fuori canone.
Walter Gatti, giornalista, critico musicale e scrittore (anche collaboratore di questa rivista .CON) ha da poco dato alle stampe un accurato e ricchissimo libro a lui dedicato: “Essenza. Vite di Claudio Rocchi” (Caissa Italia editore). Pagine che ce lo fanno incontrare; pagine che fanno capire le ragioni per cui è stato velocemente dimenticato dalla cultura ufficiale. Che, in verità, neppure in vita lo ha granché accreditato. Ma da non allineato, il milanese Rocchi (solo di nascita) non se n’è mai fatto cruccio.  

Pensieri e parole (non parole d’ordine)

In esergo al volume Gatti colloca una strofa di un brano di Rocchi che dice molto, se non tutto, di quelle “vite” da intendersi tutto il contrario di esperienze separate. Un punto di chiarezza, di desiderio, a lui necessario:

Più che un mestiere nella vita io voglio fare l’uomo

(“La rana” Il miele dei pianeti, le isole le api,1974)

Il suo “voglio tutto” è, in fondo, solo questo: pensarsi uomo, “farsi” uomo. La canzone è del 1974, nell’epoca della ridondanza di altre parole, di altre parole d’ordine. Anni affollati di idiomi, di taluni cantautori troppo militanti, di strofe masticate, sideralmente distanti da “La Rana”. Così, per esplicitare l’aria che tirava, cantava Pino Masi nel 1971, un duro interprete di quel senso unico della barricata e della lotta:

Tutto il mondo sta esplodendo dall’Angola alla Palestina,
l’America Latina sta combattendo,
la lotta armata vince in Indocina;
in tutto il mondo i popoli acquistano coscienza
e nelle piazze scendono con la giusta violenza. 

E quindi: cosa vuoi di più, compagno, per capire 
che è suonata l’ora del fucile?

(“L’ora del fucile”, 1971)

Gatti racconta che Claudio Rocchi è già da un’altra parte quando inizia a scrivere canzoni. Quando fa della sua mansarda di viale Campagna, a Milano, sopra l’appartamento dei genitori, famiglia benestante, un luogo del sorgere di legami fra giovani musicisti che, nel tempo, diverranno nomi della musica italiana: Eugenio Finardi, Alberto Camerini. Demetrio Stratos, Mauro Pagani, Paolo Tofani degli Area, un fratello che con lui condividerà l’esperienza negli Hare Krishna e un disco assai bello: “Un gusto superiore”. Che contiene la non banale “O sei parte del problema o sei parte della soluzione non c’è modo di mettersi in un’altra posizione”. 

Claudio Rocchi – Foto di ©Renzo Chiesa

Il muro da rompere

Il primo album di Rocchi è del 1970, si intitola “Viaggio”. Lui ha vent’anni appena. Testi che desiderano assaporare la vita prendendola con impeto. Anche la musica non è solo un appoggio, un tappeto sonoro e basta. Si coglie talento e freschezza, piccoli germi di future e anche ardite sperimentazioni, come accadrà al suo caro amico Franco Battiato. Ecco la parte finale della canzone più nota del disco che si intitola “La tua prima luna”:

Hai pochi soldi sai bene domani
Nessuno ti aiuta se hai voglia di chiedere aiuto
Ma in quella prigione dove ti hanno insegnato
Ad amare poche persone alla volta non vuoi ritornare
Vuoi amare più gente vuoi vivere in mezzo alla gente
E mentre tu dormi su un prato sentendo un po’ freddo
Con dentro una voglia di piangere forte
Tu vedi passare una macchina verde della polizia
Non ti vedono neanche
Li senti andar via e capisci di colpo
Che il loro discorso è diverso dal tuo

(“La tua prima luna”, Viaggio, 1970)

Qui, nella prima luna, vi è sì una lotta, ma di segno diverso. Vi è il desiderio di rompere con un mondo, anche quello familiare recalcitrante a capire, ostinatamente in disaccordo con presente, quel presente lì insomma. Rocchi punta la luna, altri guardano il dito, continuano a guardare il dito e non vedono più. L’ideologia familiare fa il paio con l’ideologia della lotta continua senza la vita dentro.

Rocchi ci mette l’anima in quel che scrive, coltiva l’anima, perché non trascura il corpo. Un’interiorità carnale. I suoi pensieri fioriscono su quel terreno sapido. I suoi primi cinque dischi, oltre al l’appena ricordato “Viaggio”, sono fondamentali: in particolare,“Volo magico numero 1” ed “Essenza” sono pietre miliari per conoscerne l’avventura umana e artistica. Per entrare in contatto con il suo mondo non slegato dal mondo. Poi, solo per restare alla musica, ha fatto molto altro. Spesso di valore. In azione appassionata fino a pochi giorni prima di abbandonare questa terra. Consapevole che nulla è stato per nulla: ha amato stare dalla parte della soluzione E che l’ultimo abbandono è solo l’inizio di un nuovo abbandonarsi in altro luogo, in altri luoghi, con altre forme.

Claudio Rocchi e Gianno Maroccolo un CD per la rinascita

Monaco induista

La cultura orientale e, in specie, la sua antica religiosità, conquista da giovane il cuore e la mente di Rocchi. Fino al gesto radicale, farsi monaco induista, devoto Hare Krishna per tre lustri. Il pellegrinaggio e la sosta in India, tanta preghiera e molta meditazione, il silenzio che parla e significa; la guida di una comunità nel cuore della magnifica Toscana, l’avvio e la direzione di un’emittente radiofonica: Radio Krishna centrale. La passione per la radio è un filo conduttore delle sue esperienze creative: nel 1970 ha uno spazio per far circolare le sue passioni musicali tra folksinger e cantautori Usa e suoni della più coraggiosa e fertile psichedelia, in una fortunata trasmissione di Radiodue “Per voi giovani”; e molti anni dopo apre una radio in Nepal, a Katmandu.

Il libro di Walter Gatti Essenze. Vite di Claudio Rocchi

Incompreso a destra e a sinistra

Uno di tale fatta sfugge alla logica delle semplicistiche e stucchevoli catalogazioni. In quei settanta preferisce la sponda libertaria della rivista underground “Re Nudo” di Andrea Valcarenghi (senza mai affiliarsi, però) ai gruppi organizzati della sinistra extraparlamentare con annessi fogli. Partecipa ai festival e pure lì poche volte viene compreso. I fischi e più di una malaparola sono ritornelli che sporcano le sue session: al Festival del Proletariato giovanile al Parco Lambro, a Milano, la sua esibizione dura solo un minuto e mezzo, interrotta da lanci di uova che mandano in tilt il prezioso registratore a bobine che gli serve per diffondere i suoi suoni. Dura comprenderlo se le domande sulla vita sono ritenute deviazioni intimiste. Rocchi non piace a quella sinistra. Come viene osteggiato dalla destra che ha le sue fisse. Lui, la prende con filosofia, letteralmente: “Io punto in alto”. E guarda all’insù, alzando l’indice, quando lo dice. Nel mondo ci sta così, felicemente disallineato. D’altronde, non è proprio da cortei e slogan, un testo come questo, che estraiamo dal memorabile “Volo magico numero 1”, uno dei dischi cult della musica italiana e proprio dalla suite della facciata A che dà il titolo all’album:

Mente, cuore, mani, occhi, braccia, bocca, gambe, nome
C’è sempre tempo per cantare, il cielo, l’acqua, un corpo, tutti.
Poi puoi andare dove vuoi, poi puoi essere come vuoi,
Poi puoi stare con chi vuoi, poi puoi prendere o lasciare,
poi puoi scegliere di dare.
(Volo magico numero 1, 1971)

Claudio Rocchi live al Festival della Filosofia a Carpi

L’amore per uomini e donne accese

Il libro di Walter Gatti è un viaggio, un volo magico, un’essenza per tornare un poco del tanto che ha lasciato Rocchi: ne mette a fuoco la vita, le opere, gli incontri, le fratture e le ricomposizioni, gli slanci e le soste che non si sono mai fermate. È un procedere ordinato, pieno di cose; con opportuni rimandi ai contesti storici e alle mille testimonianze che non hanno il tratto abitudinario del tributo verso chi non è più qui. Avendolo letto si intuisce il duro e lungo lavoro che ha coinvolto per oltre due anni l’autore: «Questo lavoro è iniziato oltre due anni fa. Anzi: è iniziato nel 1973, quando ho visto e ascoltato per la prima volta Claudio Rocchi nell’Aula magna del Liceo scientifico Gandini di Lodi. Poi ci siamo visti altre volte. E quindi, dovendo ringraziare qualcuno, inizio con il ringraziare lui».

Quel che ne è uscito è un libro che mancava, scritto benissimo, sostenuto da una ricerca ardita (in coda al libro vengono indicate le copiose fonti). Un atto di gratitudine per un grande artista colpevolmente e velocemente dimenticato. Nel decennale della morte di Rocchi, non si poteva chiedere di più per avvicinarne di nuovo l’arte, riandare ai suoi dischi che, in non pochi momenti, conservano l’impeto umano che non inaridisce:

Io amo gli uomini e le donne accese
Che insieme stanno uscendo dagli schemi
Che sanno fare a pezzi porte chiuse
Soltanto per trovarsi più vicini

Che è solo la paura di soffrire
A trasformare in pianto i paradisi
Il suono che si perde nel rumore
E non siamo più capaci di sorrisi
E intanto viaggeremo senza scampo
Puntando solo a ciò che non finisce
E gireremo in lungo e in largo il tempo
In cerca dell’abbraccio che ci unisce
È questo che ci spinge da più vite
Ad essere completi e definiti
È questo che inseguiamo dall’inizio
Nel sogno di momenti illimitati
Ora mi sembra più chiaro:
Saranno corse i nostri passi
Seguendo i riflessi dell’anima

(“L’umana nostalgia”, (Tutto passa) Volo magico numero 3, 1994)

Ma quale posto ha Claudio Rocchi e la sua umana nostalgia nella storia della musica italiana? Nel libro, Gatti, fa rispondere a Franco Fabbri, musicologo e compositore della storica band degli Stormy Six e suo primo compagno di viaggio; e Gianni Maroccolo, bassista e produttore, che ha fatto parte, per alcuni tratti di strada dei Litfiba e dei CCCP – fedeli alla linea con l’evoluzione nei Csi. Con Rocchi ha realizzato un disco autoprodotto, si tratta di una suite musicale, testi assai profondi, di quasi ottanta minuti divisa tra psichedelia ed elettronica ambientale che prende il nome di “Vdb23/Nulla è andato perso”. Spiega Fabbri: «Ascoltando i dischi di Rocchi emerge una personalità chiara e irriducibile al mondo dei cantautori dello stesso periodo. In effetti Claudio non si vedeva come un cantautore, ma come musicista. Era autore e interprete di canzoni che si ponevano in rapporto con una tradizione internazionale e non solo italiana. Il suo è quindi un posto distintivo e inconfondibile». E aggiunge Maroccolo: «Il suo posto è quello di un uomo speciale. E di un artista unico. Irripetibile».
Un artista che ancora pochi giorni prima del saluto alla vita terrena, pur nella condizione della malattia divorante, avanza con il pensiero. Crea con il pensiero nella ormai accertata immobilità. Pensa e sorride alla vita. In una canzone di oltre quarant’anni fa già riflette sulla questione della vita e della morte perché la questione non gli sfuggiva, non la metteva in un angolo.
Prendila bene, cambi vestito, entri nel nuovo:
Morte sì, ma solo di quello che è usato
Prendila bene, sai, tutto muta, pensaci adesso:
Muore uno col tuo nome e tu cambi vita
Muore uno col tuo nome e tu cambi vita
La morte è la porta che guida all’uscita
L’entrata è la vita
La morte è la porta che guida all’uscita
L’entrata è la vita
La morte è la porta che guida all’uscita
L’entrata è la vita
Entrata e uscita
Entrata e uscita
La morte è la porta che guida all’uscita
L’entrata è la vita

La morte è la porta che guida all’uscita
L’entrata è la vita
La morte è la porta che guida all’uscita
L’entrata è la vita
(“La morte, La porta” Rocchi, 1975)