Come la guerra entra in classe: le risposte e le non risposte degli alunni

Cosa pensano i miei ventuno studenti di quel che sta succedendo in Terra Santa?

I loro sguardi prima delle loro parole dicono molto e smontano sul nascere il mio approccio che di solito funziona. L’impasse brucia. Allora chiedo: ma voi vi state informando e come sulla guerra, su quel che succede nel mondo? Le risposte, le poche che arrivano, sono già stanche e questo dovrebbe farmi riflettere. E non liquidare la questione con un’alzata di spalle o peggio un giudizio definitivo sull’accertata loro apatia. Forse il loro disinteresse denuncia il possibile interesse per un altro modo entrare in rapporto con i grandi temi e le tragedie enormi di questo tempo. Forse conviene partire dalle piccole cose per interessarsi alle grandi. E questo riguarda anche me, il prof.

      


17 novembre 2023
Non solo indifferenza
di Paolo Covassi

@ ANSA

Guerra? Quale guerra? Questo è quello che sembrano voler comunicare i ventun sguardi assenti della mia classe. Non mi piacciono gli stereotipi, peggio ancora i pregiudizi… mi piace smentire il “sentire comune” sui cosiddetti “giovani d’oggi” (come se non fossero in fondo uguali a quelli di ieri) interpellando i miei alunni. E di solito funziona. Non stavolta.

I giornali esistono ancora?

Erano un po’ di giorni che volevo capire cosa pensassero i miei ragazzi della guerra scoppiata in maniera così violenta tra israeliani e palestinesi, quindi ho preso al balzo la battuta di un ragazzo che, per altro, non fa sentire spesso la sua voce. La sua domanda volutamente provocatoria era più o meno questa: “esistono ancora i giornali?”
“Certo – risponde un compagno – servono per non sporcare quando imbianchi casa”. “Io li uso per la carta pesta” Ragazzi, ma voi come vi informate? Della guerra, eccetera…
E via così su questo tenore. Riportato un minimo di silenzio ne approfitto per chiedere: “Ma voi come vi informate sulle cose che accadono nel mondo?” Alcuni sguardi con la vitalità del pesce sul banco del mercato mi rimandano la domanda “perché dovrei informarmi?” Altri accennano delle risposte, qualcuno parla di social media, a questo punto uno su tutti interviene: “No prof, ma Tik-Tok no!” dando voce a un luogo comune che stavolta riguarda me e la mia generazione, cioè che i ragazzi diano più importanza a quanto detto da uno sconosciuto su Tik-Tok che alle pagine di un giornale o un servizio al Tg.
“L’avete citato voi Tik-Tok”, mi difendo. E provocatoriamente dico che in fondo quello che conta è che la fonte sia autorevole, quantomeno credibile, anche se passa da Tik-Tok. Ma non c’è verso: ammettono di informarsi tramite i social, ma non Tik-Tok. Mah… sono perplesso, così rilancio: “cosa dite della guerra che è in corso? Come fate ad avere le informazioni necessarie per avere una vostra idea, per capire cosa c’è alla base di un evento così tragico?”
Qualcuno accenna ai telegiornali senza crederci troppo, altri si rifanno al parere dei genitori, ma la discussione non decolla, anzi, si spegne sempre più. Guardo nell’angolo in fondo a sinistra, due alunni egiziani parlano tra loro, dalle poche sillabe che mi arrivano capisco che stanno parlando tra loro in arabo. Chiedo anche a loro di intervenire, ma l’argomento guerra viene solo sfiorato: “I giornali italiani non sono attendibili, dicono notizie false”. L’italiano non è il massimo ma il concetto è chiarissimo. Mi aspettavo una presa di posizione più netta, invece niente. L’argomento si affloscia come un palloncino sgonfio, inoltre si avvicina il momento dell’intervallo e risulta subito molto chiaro quale sia la priorità.

Una mancanza di interesse

Finisce l’ora e mi sento un po’ stordito, quasi svuotato io stesso da questa apatia, da questa mancanza di interesse per cose che capitano non distante da noi. In fondo con la guerra in Ucraina è stato più o meno lo stesso e, sinceramente, non mi vengono in mente eventi o situazioni che hanno suscitato chissà quali domande… mi sforzo di ricordare quando io ero alle superiori: lettura di giornali praticamente nulla, telegiornali noiosi, interesse per ciò che accadeva nel mondo piuttosto limitato. Almeno fino a un certo punto è stato così, perché stupirsi allora?
Ci diciamo spesso (o meglio, ci lamentiamo) che questi ragazzi sono così diversi da noi… ma siamo sicuri che sia vero?

Forse incontrare il proprio compagno di banco…

Eppure… eppure, come dicevo, a un certo punto è accaduto qualcosa, a un certo punto tutto ha cominciato a interessarmi, sia quello che accadeva vicino a me sia quello che accadeva lontano. Mi sforzo di ricordare, affondo indietro nel tempo e mi vengono in mente i racconti di un ragazzo (di cui non ricordo il nome) che ci aveva parlato dei suoi viaggi “oltrecortina”, nei paesi dell’allora blocco sovietico, con tutte le difficoltà e i pericoli che questo comportava. E mi viene in mente un’amica prof a cui ho fatto per breve tempo da prestanome per i suoi scambi epistolari con amici dell’allora Unione Sovietica. Forse per questo il primo grande evento che ricordo di aver seguito con attenzione e partecipazione è stato il crollo del muro di Berlino.
Forse quello di cui anche i miei ragazzi hanno bisogno è, semplicemente, poter incontrare qualcuno che sta vivendo da vicino ciò che sta succedendo in questi paesi: non per fare un’analisi storica o socio-politica, non per giudicare o indicare chi ha ragione, tanto meno per schierarsi, ma per far vedere loro che quelli che soffrono, che muoiono, da qualunque parte della barricata si trovino, sono persone vere… ma forse bisogna uscire anche da questa retorica e partire da chi abbiamo di fronte, dal proprio compagno di banco, capire che chi abbiamo di fianco è, prima di tutto, un’opportunità… e se non è chiaro forse, prima di giudicare la loro indifferenza, dovrei capire se non è solo il riflesso della mia.

Capitan America legge fumetti