Cortina di ferro: la verità della Storia, Giussani e quegli incontri possibili

Due belle lezioni. Due belle storie di vita, verità e cultura. In pratica: il valore della responsabilità che abbatte i muri. La vicenda dello storico nato in Russia Michal Reiman. E la vicenda di ventenni italiani, giessini sostenuti da don Giussani durante la crisi di GS che iniziano ad andare ad Est per vedere e capire quel che sta accadendo nei Paesi del socialismo realizzato. Ora, quelle esperienze, vivono in un libro che è limpida testimonianza.


10 marzo 2023
Editoriale

Franciszek Blachnicki a destra, fondatore del movimento polacco Oasi, Karol Wojtyła e dietro Stanislaw Dziwisz poi segretario di Giovanni Paolo II

Per non dimenticare. Che poi non dovrebbe essere un esercizio, ma un metodo fecondo di conoscenza. Ecco, perciò, un’altra occasione. Provocata da due circostanze che aiutano a mantener viva la nostra attenzione ad Est (come ci accade spesso in questo ultimo anno con la guerra). Allora, cosa unisce il ricordo di uno storico di struttura cecoslovacco (seppur nato a Mosca) morto in questi giorni alla testimonianza di chi da giovane è andato proprio nell’Europa orientale per vedere e cercare di capire e che ora rifluisce in un libro ricco di voci e preziosi documenti? Ecco la risposta: quel che succedeva di poco edificante al di là della Cortina di ferro, una porzione di mondo assai vasta costretta a patire l’esperimento del socialismo realizzato.    

Represso, non depresso

Dunque, la storia drammatica e lacerante e l’umano che, sottotraccia, resiste. In questi giorni è morto a Berlino uno storico di rilievo: Michal Reiman. I suoi studi, approfonditi e dunque mai banali, si sono concentrati sull’Unione Sovietica (dove molto ha vissuto e studiato) e, più in generale, sull’influenza imposta che il sistema moscovita ha avuto nei Paesi satelliti dell’Est. Un pensatore serio che, da sinistra, non ha risparmiato dure critiche a un blocco geopolitico umanamente asfissiante. Nato a Mosca il 14 luglio 1930 (sua madre era russa) è poi stato molti anni in Cecoslovacchia dove suo padre ricopriva un ruolo significativo nel Partito comunista. La sua vicenda dice di un uomo, di un intellettuale piuttosto fuori dal coro. Il che, conoscendo come funzionava da quelle parti di gelo assoluto, lo mise in chiara difficoltà. Nel 1968 (già, perché c’è stato un sessantotto “strong” anche ad Est che, per ragioni di ideologia crassa, non viene quasi mai ricordato nei puntuali “do you remember?”) Reiman non lesina un impegno costante ed entusiasta nel processo di democratizzazione di quel Paese: la Primavera di Praga è un fatto che gli penetra dentro. Ne coglie il senso profondo del cambiamento, del recupero della libertà e della bontà dell’affermazione di un pensiero riformista. Questi convincimenti certo non si raffreddano con la pratica della repressione. Anela sempre alla rinascita di quella esperienza così dirompente seppur breve. Una faglia si è comunque aperta in quel sistema dittatoriale. Delle sue riflessioni da storico dà conto in un libro pubblicato meritoriamente in Italia nel 1968 dall’editore Laterza con il titolo Praga 1968: le idee del nuovo corso.

Michal Reiman 1930 – 2023

Il conto inevitabile da pagare

Reiman dopo la “primavera” non arresta il suo cammino di pensatore e storico. Mettendo in conto la possibilità, anzi la certezza, di doverne pagare il conto. Il che puntualmente accade.
Nel 1977 viene accusato dal regime comunista di Praga di ‘attività sommersa allo scopo di screditare il suo Paese’ agli occhi del mondo.
Ma cosa aveva fatto per irritare quel potere lì? Due gesti, soprattutto. Il primo: l’aver scritto un saggio su Rinascita, allora autorevole rivista teorica e cultura del Partito comunista italiano, dove ragiona sugli esiti prodotti dalla Rivoluzione d’Ottobre nel suo sessantesimo anniversario.

Vaclav Havel in 1975 at his country cottage, called Hradecek, in North Bohemia

Un articolo da storico, non certo incline al tono propagandistico.

La polizia di Stato del suo Paese lo teneva sotto controllo, e a causa di quell’articolo viene bollato come persona nemica della Cecoslovacchia e dunque assai poco gradita.
Se a questo “affronto” aggiungiamo il fatto che Michal Reiman partecipa attivamente alla Biennale del dissenso a Venezia, la situazione per lui diventa drammatica. Senza dimenticare che egli è tra i firmatari del manifesto conosciuto come Charta 77, il duro documento redatto da Vaclav Havel e altri intellettuali cecoslovacchi nel quale si reclamava il rispetto dei diritti umani, di pensiero, parola.Reiman, per le sue coraggiose e lucide posizioni, viene costretto all’esilio. Si trasferisce in Germania e qui ha modo di insegnare in numerose università. Oltre al citato saggio, l’altra sua opera più conosciuta ha per titolo La Nascita dello stalinismo, uscito in Italia sempre per Laterza, nel 1980. Ben nove anni prima la caduta del Muro di Berlino.

Kroscienko, Polonia, 11 giugno1973 padre Blachnicki, Karol Wojtyla, don Luigi Giussani insieme

1966, giovani che vanno ad Est

Un libro ci porta alla seconda metà degli anni sessanta e pressochè ininterrottamente fino ai primi anni ottanta: Quando c’era la cortina di ferro Storie di un destino ritrovato tra due Europe (Biblion edizioni).
Due di quei giovani – Walter Ottolenghi e Franco Realini e altri giessini– in quegli anni desiderano di toccare con mano la realtà dell’Europa dell’Est, sostenuti in questo slancio dal fondatore di Comunione e liberazione don Luigi Giussani.
Si mettono in viaggio e in cammino insieme ad altri coetanei che, come loro, vivono l’esperienza dello stesso movimento. Mossi da appassionata curiosità e dal desiderio di incontrare volti di quell’umanità oggettivamente sofferente. Il libro è il racconto di come la repressione feroce non riesca a compiere il delitto perfetto. È una bella storia come lo sono anche quelle più drammatiche. Incontri ravvicinati, conquistati, segreti, densi di umanità. Fedeltà. Con personalità, ma non solo.

La copertina del libro di Walter Ottolenghi e franco Realini Quando c’era la cortina di ferro

E’ solo il 1966/67, un ’68 in contromano. Il mondo infatti correva dalla parte opposta idealizzando l’Oltre cortina, mentre anche si sfaldava l’esperienza di Gioventù Studentesca. Questi giovani scovano e incontrano personalità con una vita di assoluta originalità, che comprendono il rischio imminente della perdita della libertà e preparano il cuore e il pensiero a seguire una diversità umana e culturale. Gente coetanea, che segue figure più grandi, una piccola rete che i milanesi collaborano a collegare. Come il giovane Vaclav Havel, padre Franciszek Blachnicki  presbitero polacco fondatore del movimento polacco Oasi, incontrano Karol Wojtyła  che ne era l’assistente (poi vescovo di Cracovia), il teologo Josef Zvěřina amatissimo da don Giussani, autore della “lettera ai Cristiani d’Occidente” (il rinnovato “panta dokimazete to kalon katechete”– vagliate tutto e trattenete il valore) da lui sentita come l’invito più autentico alla fede vissuta e alla cultura, e molti altri.
Il programma di Giussani è semplice ma enorme per quei giovani: “continuate, preoccupatevi solo di una fedeltà all’amicizia con loro, dentro tutto quello che accadrà”.
Un libro dove scorre vita, dove fluisce pensiero. Dove emerge l’importanza vitale del senso di responsabilità personale. Perciò profondamente attuale.
Insomma, due affacci sulla realtà: quella della grande Storia che ha così impregnato la vita di Michal Reiman; e quella, elettrizzante, di un gruppo di giovani che, anziché salire sulle barricate milanesi o parigine, scelgono la pratica di non arrendersi alla logica del muro. Abbattendolo, andando oltre cortina. Beninteso, non la celebre località dolomitica.

Havel and his first wife, Olga, at Hradecek in 1974. Olga, who died in 1996, was a fellow dissident and signatory of the Charter 77 human rights initiative