La questione sociale è una questione dimenticata.
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I cortei si sprecano ma non per le emergenze legate alla povertà, alle disuguaglianze e più in generale al welfare. I temi sociali non sembrano avere diritto di cittadinanza. Nella stagione della grande abbuffata dei diritti. Tale deficit non fa che avvantaggiare i massimalismi in versione riveduta e corrette. Si chiamano populismi e sovranismi. Un dramma globale e non solo del Sud del mondo. Non siamo più al tempo di “Vincenzina e la fabbrica” ma la questione della dignità della persona che il film di Monicelli pone rimane il punto di partenza di qualsiasi buona politica


8 luglio 2022

«Essere affrancati dalla miseria, garantire in maniera più sicura la propria sussistenza, la salute, una occupazione stabile; una partecipazione più piena alle responsabilità, al di fuori da ogni oppressione, al riparo da situazioni che offendono la loro dignità di uomini; godere di una maggiore istruzione; in una parola, fare conoscere e avere di più, per essere di più: ecco l’aspirazione degli uomini di oggi, mentre un gran numero d’essi è condannato a vivere in condizioni che rendono illusorio tale legittimo desiderio.
D’altra parte, i popoli da poco approdati all’indipendenza nazionale sperimentano la necessità di far seguire a questa libertà politica una crescita autonoma e degna, sociale non meno che economica, onde assicurare ai propri cittadini la loro piena espansione umana, e prendere il posto che loro spetta nel concerto delle nazioni».
In ogni agenda politica che si rispetti, queste parole dovrebbero essere in cima agli impegni. Ma oggi la questione sociale non pare essere questione centrale: non ha granché diritto nell’epoca della grande abbuffata dei diritti.
Ecco perché questo pensiero, di un Paolo VI “pre sessantottino” che ritroviamo nell’enciclica Populorum Progressio (26 marzo 1967), inquieta non poco.

Insoddisfazione e sfiducia

Porre la questione sociale – anche se non è più il tempo di “Vincenzina e la fabbrica” (ma non è superata la domanda che il film di Monicelli pone) – in termini di realistica preoccupazione non significa necessariamente far proprie interpretazioni della storia in chiave di massimalismi. Che, nelle forme assunte nel nostro tempo, mostrano la postura ideologica dei populismi. A sinistra come a destra.
In Occidente ma anche nel cosiddetto sud del mondo. Le culture tradizionali, per intenderci, il pensiero liberale e quello socialdemocratico, hanno scelto di trascurare le domande di un maggiore equilibrio sociale.
Che si sono tradotte in un evidente grado di insoddisfazione.
La crisi della democrazia è la risposta popolare a questa insoddisfazione.
Una sfiducia generalizzata verso una politica inadempiente. Come lucidamente aveva previsto lo scrittore francese Houellebecq nei suoi ultimi scritti. La politica tradizionale ha scelto di flirtare con le élite economiche anziché cogliere il malessere sempre più diffuso. I corpi intermedi hanno perso il proprio radicamento.
E, a fronte del colpevole disinteresse, hanno provato a fare la loro parte esperienze aggregative “dal basso” secondo una formula aggiornata di sussidiarietà.

La fotografia della globalizzazione declinante mostra un avanzamento della povertà economica, un accesso all’educazione e all’istruzione sempre più precario -oltre che il loro sviluppo-, un welfare sanitario problematico che non può non far riflettere, fenomeni migratori dovuti in molti casi proprio ad emergenze sociali tutt’altro che in attenuazione.
Possiamo dire con papa Francesco (conviene tornare all’enciclica “Fratelli Tutti”) e con il professor Piketty che ci troviamo a vivere in un’epoca nella quale è evidente la disparità nel benessere degli individui sia all’interno delle società industriali avanzate e sia tra il Nord e il Sud del Mondo.  

Tuttavia, la riflessione sulla sopraggiunta trascuratezza dei decisori pubblici verso la questione sociale, non deve impedirci di riconoscere alcuni risultati raggiunti negli ultimi duecento anni.

L’aspettativa di vita è aumentata da 26 a 72 anni. Tra il 1910 e il 1980 le società occidentali hanno costruito solidi stati sociali, hanno investito molto nell’istruzione e in altri beni pubblici. E il divario nelle opportunità è venuto a ridursi. Questo è un lato della medaglia (importante, certo) poi vi è l’altro: il mondo è più vasto dell’Occidente. E il XXI secolo certifica l’esplosione di conflitti epocali.
La ricetta imposta dal neoliberismo con un elogio ipertrofico per il mercato, favorito dalla debolezza delle culture tradizionali incapaci di avviare percorsi di pensiero riformatori, ha prodotto una faglia pericolosa sul terreno delle dinamiche sociali. Quel modello è entrato in crisi segnando il tramonto della globalizzazione fin qui Intesa.

Il discrimine è la salvaguardia della persona

L’oggi è un grande punto interrogativo. Come se non bastasse abbiamo la guerra nel cuore dell’Europa che non potrà che acuire le emergenze sociali, pensiamo solo alla carestia. E c’è il rischio, poi non così peregrino, che il Sud del mondo venga sempre più ad impattare con il nostro Nord. E noi Sud di altri. Ecco perché la politica riformatrice, pur dovendo agire in contesti divenuti complicati se non addirittura ostili, ha l’opportunità di ripartire (diremmo l’obbligo, ma non osiamo…), facendo di nuovo i conti con la questione sociale dimenticata.
Questione che deve tornare ad avere diritto di cittadinanza. Il progresso dei popoli passa di qui. La sfida dell’uguaglianza riguarda tutti. Le parole di Paolo VI sono “socialmente” utili a comprendere come la salvaguardia della dignità della persona è il discrimine su cui costruire un’autentica e pacificata convivenza.


Immagini (in ordine di apparizione):
Papa Paolo VI
Gay Pride Milano 2022
© Bruno Barbey / Parigi May, 1968 – 13th Arrondissement
Fotografia di Diego Loffredo – Instagram (@diegoloffredo749)