Fantascienza ma non troppo: indizi per comprendere il presente

Grandi autori per romanzi che fanno scuola. Domande incalzanti, situazioni che catturano, mondi solo apparentemente lontani. Una narrativa che ha preso sul serio i temi che riguardano l’uomo. Il rapporto con gli altri, il potere, la tecnologia. E naturalmente: Dio. Una narrativa di sostanza. Che pone domande del tipo: se un giorno incontrassimo un pianeta abitato da popolazioni senza il peccato originale, dovremmo gioire o tremare? Quesito fantascientifico…  


9 maggio 2025
Letteratura che sorprende
di Walter Gatti

dal film Fahrenheit 451

Solo una leggerissima sottovalutazione aprioristica può portare a considerare la fantascienza (o sci-fi) come un “prodotto minore” della grande letteratura
Per vastità dei temi, qualità dei suoi autori più stimolanti e capacità di anticipare argomenti e scenari, sicuramente ci si trova di fronte ad uno dei più dinamici e provocanti ambiti della cultura letteraria. Se è vero che Conrad e Melville non fanno ormai più parte della “letteratura di viaggio” e Simenon, Malet e Chandler sono ormai usciti dagli scaffali del puro giallo (o noir) è il caso di rivedere il posizionamento di scrittori come Philip Dick, Ray Bradbury e Isaac Asimov (tanto per citarne alcuni). Altra considerazione che spesso “circola”: la fantascienza si occupa di macchine e di automi. C’è del vero, nel senso che c’è tutto un mondo di sci-fi che si dedica all’ingegnerizzazione coerente di mondi, ma non tutto si esaurisce lì. C’è al contrario un’ampia fetta di narrativa fantascientifica che – anche con l’aiuto del linguaggio cinematografico che l’ha utilizzata a piene mani – ha preso sul serio e narrato i temi dell’uomo che dall’Odissea in poi interrogano scrittori e poeti. E che in un qualche modo riguardano tutti quanti, senza distinzione di genere narrativo e dicono qualcosa sul presente.

L’uomo e l’altro, l’alieno

Chi sono io e chi è l’altro? Nel futuro capiremo tutto questo?
La fantascienza nasce con questo quesito. Certo andremo su Marte, Giove oppure oltre la via Lattea, ma chi sarà l’uomo quando sarà giunto ai confini dell’universo? E chi incontreremo? E cosa accadrà in quell’incontro? Il tema dell’alieno e dell’alterità è un classico, ovviamente. Che poi l’alieno sia fuori di noi (in forme più o meno mostruose da Lovercraft e Wells a oggi) oppure “dentro” di noi, come in La cosa da un altro mondo (scritto nel 1938 da John Campbell e ripreso in La cosa di John Carpenter in uno dei suoi film più belli e spaventosi) e in Alien, geniale prodotto cinematografico di Ridley Scott è tutto da capire. Questa è la domanda ricorrente: il male è dentro o fuori di noi? Come lo riconosco? Cosa mi offre? Come lo combatto? Al centro dell’argomento seminale di tutta la fantascienza c’è questo tema, dalla Guerra dei mondi scritto alla fine del XIX secolo da H.G. Wells, fino a Storie della tua vita, l’antologia di Ted Chiang da cui Denis Villeneuve ha tratto l’insolito ed avvincente Arrival, bel film con Amy Adams.
Il rapporto con l’altro in quest’ultimo lavoro letterario apre ad una visione insolita: arrivano gli alieni ed è una linguista che deve occuparsi di dialogare con loro, fino a scoprire che sono arrivati sulla terra per offrire un dono impossibile: una nuova percezione del tempo. Ma come: l’alieno non dovrebbe essere quello della morte a colpi di raggi x? Sembra di no. Addirittura eccezionale è il ribaltamento dei ruoli che Frederic Brown, maestro delle short stories, compie in Sentinella (due paginette pubblicate nel 1954): qui il nemico, l’alieno, non è il marziano, ma il terrestre. Per finire, non si può evitare il riferimento a Il cacciatore di androidi-Do androids dream of electric sheeps?, il romanzo breve dell’americano Philip Kindred Dick che diventerà sul grande schermo l’impareggiabile Blade Runner. Nel libro e nel film l’androide vive e ricorda con sentimento umano, al punto da aprire il quesito: siamo tutti uomini o per caso siamo tutti replicanti? Siamo liberi oppure no? Cerchiamo o siamo definiti da un destino preordinato? E quindi già il primo grande topos letterario inizia già a riservare sorprese.

dal film Blade Runner di Ridley Scott

Potere, libertà, manipolazione

Se si parla di “futuro”, se ci si confronta con un’immagine di quel che verrà, ci si accorge come il tema del potere sia uno dei soggetti più rilevanti, battuti, sviscerati. Nel futuro che forma assumerà il potere? Come si manifesterà? Come governerà?
A che prezzo il comandante del vapore realizzerà una società (si spera) migliore? Quattro titoli sovrastano l’immensa mole di narrativa sci-fi dedicata all’argomento e sono probabilmente 1984 di George Orwell, Il mondo nuovo di Aldous Huxley, Farheneit 451 di Ray Bradbury ed Il padrone del mondo di Robert Hugh Benson. Ovunque regna sovrana la necessità di un controllo delle masse attraverso il governo della storia, dei comportamenti, dei desideri, delle relazioni, del “credo” personale. Al di là della qualità della scrittura e del radicamento in fatti storici (la fantascienza nasce sempre da una reazione a cose che accadono, siano esse legate allo sviluppo tecnologico o alle dittature) la sci-fi mette il punto sul cuore della questione: chi sarà l’uomo e come vivrà tra gli altri uomini? Per cosa varrà la pena vivere, resistere, immolarsi. Laddove Orwell e Huxley pescano a piene mani nel bisogno socio-politico, Benson dà vita ad un universo in cui Dio viene svuotato, anestetizzato e disincarnato, in modo non molto differente da quello già descritto nei Racconti dell’Anticristo di Vladimir Solovev.
Ma il libro più poderoso e influente rimane il Farhenheit 451 di Bradbury che nella descrizione di un mondo appiattito e da purificare (il fuoco è l’arma) punta sulla salvezza della persona e della storia attraverso la conservazione gelosa della sua memoria. Il protagonista della vicenda, Montag, al termine della cavalcata selvaggia nel potere e nell’esplosione atomica, si unisce a coloro che per ricostruire l’umanità imparano a memoria un libro: lui si dedica all’Ecclesiaste, il libro biblico oggi noto come Qoelet. Il testo più efficace sul discernimento del bene e del male. In un qualche modo anche l’apocalittico La strada, memorabile volume di Cormac McCarthy riprende gli stessi temi: siamo alla fine del mondoeppure qualcuno “porta il fuoco”. Cioè il desiderio, la speranza, il futuro. E la memoria.

Ryan Gosling in una scena del nuovo film Blade Runner 2049

La memoria e il tempo

Ecco: il tema della memoria nella fantascienza è strettamente connesso con quello del potere. Chi vuole annichilire distrugge il passato, distruggendo storia, valori, sentimenti. I due libri più coraggiosi e farneticanti in questo ambito sono forse Solaris di Stanislaw Lem e Un oscuro scrutare ancora di Philip Dick.
Prendiamo il secondo titolo: la storia (davvero complessa e lisergica) ruota attorno all’impossibilità di conoscere se stesso e l’altro. Io non so chi sono, e neppure so chi siano gli altri: tra droghe e dispositivi (un geniale mantello che rende “non memorizzabile” e quindi sostanzialmente invisibile chi lo indossa) che impediscono di riconoscere chi ho di fronte, il libro si sviluppa in un’epoca e in un mondo cyberpunk (per dirla con la definizione che poi è stata utilizzata per i libri di Bruce Sterling e William Gibson) dove una cosa è certa: se non so chi sono, tutto è incerto. È l’epoca della definitiva spersonalizzazione. Dove ci si può rifugiare?
Una ipotetica risposta a questa visione la offre Stanislaw Lem, autore polacco del bellissimo e nostalgico Solaris, portato da Sergei Tarkovskij sul grande schermo. Di fronte alla potenza omni-pervasiva della scienza e della tecnologia il protagonista professor Kelvin si trova su un’orbita lontanissima a decidere: tornarsene sulla terra a vivere oppure rimanere sul quel pianeta remoto in compagnia di quelle persone-presenze che per lui erano importanti anche se impalpabili. E la scelta (che ha anche un evidente riferimento socio-politico) di Kelvin ricade sul mantenere viva l’emozione del proprio passato.

La tecnologia visionaria

Si parlava, inizialmente, di tecnologia. La fantascienza non è tutta tecnologica, o comunque non lo è in modo uniforme. Questo dipende anche dagli interessi e dal background dei suoi autori. L’appena citato Lem era un autore iper-scientifico. Arthur Clarke (l’uomo che con Stanley Kubrick ha scritto 2001 Odissea nello spazio) era laureato in fisica e matematica al King College di Londra. Boris Strugatskij (che con il fratello Arkadij rappresenta una delle più importanti “coppie” di autori russi) era laureato in astronomia. Isaac Asimov era professore di biochimica. È proprio quest’ultimo a mettere a punto nel 1950 le Tre leggi della robotica, i comandamenti del mondo degli automi: “Uno: un robot non può recare danno a un essere umano né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno; Due: un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non vadano in contrasto alla Prima Legge; Tre: un robot deve proteggere la propria esistenza, purché la salvaguardia di essa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge”.
Chiaro che tutto questo, che un tempo poteva sembrare un puro vezzo letterario, è divenuto un punto di riferimento anche per chi la tecnologia la realizza davvero a scopi scientifico-sociali: la visionarietà letteraria è divenuta addirittura ambito di confronto per la scienza ufficiale. Ma qui si finisce ancora a citare Frederic Brown, che nel 1954 scrive un altro racconto breve, La risposta. L’ipotesi è come sempre immensamente anticipatoria: i migliori scienziati realizzano il computer più potente di sempre. Fissiamo l’attenzione sulle date: Brown scrive nel 1954, e rendiamoci conto che si parla di “macchine elettroniche” dalla Seconda guerra mondiale, con i primi semiconduttori sviluppati a cavallo tra gli anni ‘40 e ‘50. Ecco: il buon Brown in quel momento di esordio tecnologico si immagina già la storia di qualche decennio successivo. Ma ecco il punto: quando il supercomputer è finalmente realizzato e funzionante la comunità scientifica gli pone la domanda che è sintesi di tutte le domande: esiste Dio? E la risposta è sublime e spiazzante: “adesso sì”!

dal Film Solaris di Andrej Tarkovsky

Il divino e il futuro

Ebbene sì: c’è molto fantascienza “teologica”. Ci si può inserire la fantateologia di Morris West che Nei panni di Pietro nel ‘63 immaginava un papa ucraino. E poi anche la Trilogia di Valis di Philip Dick, folle e psichedelica, ma che riesce anche a situare l’enigma dell’incarnazione in un futuro di alieni e di ecatombi nucleari. In un qualche modo ci ricade anche Il codice di Perelà, di Aldo Palazzeschi, che si colloca nell’ambito del futurismo distopico, tocca temi cristologici e vicini alla necessità di salvezza evangelica. Bizzarro, forse anche inconcludente ma anche geniale, Guerra al grande nulla, pubblicato da James Blish nel 1958, si pone un dilemma etico e letterario da brividi: se un giorno incontrassimo un pianeta abitato da popolazioni senza il peccato originale, dovremmo gioire o tremare?
Laddove non c’è il peccato non è neppure necessaria la grazia e quindi – dice il protagonista, il biologo-gesuita Ramon Ruiz Sanchez (anche Nei panni di Pietro c’è un gesuita protagonista, chissà se sarà un caso…) – potremmo trovarci di fronte ad un pianeta creato e voluto dal Male in quanto tale. E così, tra viaggi spaziali e ritrovati cibernetici, la fantascienza si trova anche a riflettere sull’esistenza di un Dio e sull’eterna lotta bene-male. Una lotta che per altro è al centro della “trilogia spaziale” di Clive Staples Lewis (Lontano dal pianeta silenzioso, Perelandra, Quell’orribile forza), tre lavori scritti tra il 1935 ed il 1940 in cui il protagonista professor Elwin Ransom attraversa lo spazio e si incontra con rappresentanti del bene e del male, e rivive i momenti dell’Eden e del Golgota. Si potrebbero poi citare Un cantico per Leibowitz di Walter Miller, Straniero in terra straniera di Robert A. Heinlein, L’alba della notte di Peter Hamilton.
Ma nessuno, forse, riuscirà a raggiungere l’intensità di Bradbury in L’uomo, racconto inserito nella raccolta L’uomo illustrato. La storia di queste quindici pagine scritte nel 1951 è illuminante: il capitano Hart ed il suo vice, Martin, sbarcano durante un viaggio galattico su un pianeta che – guarda il caso inusitato – è appena stato visitato da Gesù Cristo. Ne consegue che gli abitanti del pianeta sono poco interessati all’arrivo dei terrestri: vuoi mettere l’emozione se hai appena accolto l’arrivo del figlio di Dio? Non si anticipa qui quel che accade nello sviluppo del racconto, ma il fatto è che Bradbury (che già in Cronache marziane, uscito l’anno precedente, aveva ipotizzato un mondo di relazioni insolite con la divinità) disegna per Hart e Martin due reazioni differenti: il primo ha la cocciutaggine idiota di chi insegue violentemente un sogno, il secondo – inferiore in grado, ma più intuitivo – riconosce i fatti da pochi indizi. Gli stessi indizi che abbiamo cercato qui di seminare per suggerire un approccio differente, forse più interessante, alla fantascienza, ambito letterario che riserva sorprese piacevoli a chi è disposto a cercarle anche in luoghi insoliti.