Gramsci incarcerato (di nuovo)

Vige il pericolo del monopolio di un pensiero unico. Lo ha detto in modo esplicito il presidente Mattarella.
La zuffa fra destra e sinistra per poltrone più o meno prestigiose dice di un tentativo dei partiti di assecondare la nefasta pratica dell’egemonia culturale. Pessimi programmi perché sorretti dall’ideologia. Le vittime? Tutti. E in particolare quei pensatori che si vedono trattati come oggetti di proprietà. Per obiettivi mortificanti.
Il caso deprimente dell’intellettuale e politico sardo. Fatto nuovamente prigioniero dai fautori indefessi del senso unico


26 gennaio 2024
Editoriale
di Enzo Manes

©Fred Herzog

Tira un’aria che non fa bene. Il presidente Mattarella ammonisce: la cultura non sopporta “restrizioni o confini” e respinge “la pretesa sia di pubblici poteri o di grandi corporazioni, di indirizzare le sensibilità verso il monopolio di un pensiero unico”. Vien da dire: chi si chiama fuori è un problema. E non solo per lui. Già De André metteva in guardia da chi si ritiene a posto con la propria coscienza: “Anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti”.

Maldestra e “malsinistra”

In questi giorni si assiste a uno spettacolo alquanto indecoroso: destra e sinistra che si azzuffano per questione di poltrone culturali. Con gli intellettuali di riferimento – veri o presunti tali – che animano una contesa che reca solo danni evidenti. Sono le solite baruffe per affermare un’egemonia culturale, che permetta di controllare e dirigere tutto secondo i propri programmi ideologici. La sinistra si straccia le vesti gridando allo scandalo per una destra che tutto intende occupare.
La destra parla di vento di libertà dopo anni e anni di controllo della sinistra sulla cultura. Non si ragiona più. Così la cultura finisce male, tirata per la giacchetta in nome di logiche prevaricatrici. In nome del monopolio di un pensiero unico chiamato in causa da Mattarella.

©Fred Herzog

La cultura non è proprietà privata

Che sia un teatrino deprimente va da sé, tuttavia il problema è grande così.
Dovrebbe fare orrore il tentativo di schierare dalla propria parte pensatori, intellettuali, creativi. Quell’accaparrarsi figure di spicco per ragioni di bottega è un malcostume tipico di una concezione fallace della cultura. La pratica dell’egemonia culturale ormai non risparmia nessuno.
Quell’autore è mio, quel poeta è certamente uno di noi, quel regista appartiene alla mia razza. Le etichette si sprecano e così tutto si riduce a “restrizioni o confini”: questo pensatore va bene, quest’altro è un nemico. E così si occupano poltrone culturali per tenerseli ancor più stretti.
Nel tritacarne della gazzarra per l’egemonia culturale ci finiscono purtroppo i migliori. Quelli che pensano con la propria testa. Che non si sentono proprietà di orizzonti culturali più o meno nobili. Gaber, non per stare fuori dalla mischia ma per rimarcare una salutare distanza critica, precisava di “essere di sinistra ma non della sinistra”. In questa frase passa tutta la differenza del mondo. La cultura non può essere di proprietà di alcuno. In specie dei partiti.
La cultura è un’esperienza di vita che riguarda tutti, è l’espressione di un pensiero plurale. Altro che monopolio, altro che pensiero unico.

Murales di Orgosolo, Sardegna

Nessuna appropriazione

Da qualche tempo a questa parte nel pentolone dell’idiozia c’è finito pure Antonio Gramsci.
La sinistra insorge e parla di lesa maestà perché la destra sta scoprendo aspetti del suo pensiero che ritiene di sicuro interesse, meritevoli di essere approfonditi. Il ministro Sangiuliano ha proposto di mettere una targa in ricordo del fondatore dell’Unità all’ingresso della clinica Quisisana di Roma perché è lì che Gramsci morì dopo anni di carcere nelle prigioni fasciste.
A sinistra, giù riprovazioni per l’intemerata, strali verso un pericoloso tentativo manipolatorio.
Il sinistrissimo Giuseppe Vacca, per anni direttore dell’Istituto Gramsci e oggi coordinatore dell’edizione nazionale delle opere dell’intellettuale e politico sardo in corso di stampa presso la Treccani, in un’intervista al quotidiano “Libero” ha spiegato di non condividere il giudizio di certa sinistra che definisce quella della destra un’appropriazione indebita dell’intellettuale comunista: “Chi lo decide se una appropriazione è debita o non? E confrontarsi coi classici non è proprio un’appropriarsene. La differenza, ripeto, è nella serietà con cui lo si fa”.
Insomma, spiega Vacca, il pensiero di Gramsci riguarda tutti. Criticamente tutti.
Senza che si debba censurare alcunché. Anche per lui vale l’acuta frase di Gaber: di sinistra, non della sinistra. Altrimenti, sinistramente, assecondando il metodo perverso del pensiero unico, la triste storia finisce con lui in carcere per la seconda volta.