I classici in classe: sai la novità?

Omero, Manzoni, Dante e compagnia bella. A scuola sono di casa ma quanto e come possono diventare familiari ai ragazzi?
La domanda si pone. E non da oggi. Un prof dalla prima linea racconta le sue mosse per provare a interessare i suoi studenti ai “Promessi Sposi” e alla “Divina Commedia”. Un rischio quotidiano, e non di poco conto.
Il rischio assai meno convincente e forse più facile e quello di rispondere alla domanda scivolando nel cinismo. La prima mossa? Incominciare ad andare “all’inferno” con i suoi allievi, anche con quelli che appaiono dormienti. Così, magari, qualcosa succede, ci si scalda portando nel presente quel che i protagonisti di cantiche e capitoli hanno vissuto. Perché le questioni della vita sono sempre quelle. Vere come l’amore di Paolo e Francesca.


18 novembre 2022
di Paolo Covassi

Dipartimento di materia. Per chi non è del “settore scuola” indica l’insieme dei docenti che all’interno di un istituto si occupano della medesima materia. In teoria offre la possibilità ai docenti di confrontarsi, trovare delle strategie comuni, condividere metodi di insegnamento e, non ultimo, la possibilità di uniformare programmi e criteri di valutazione degli studenti. In pratica sono due riunioni nel corso dell’anno in cui le frasi più ricorrenti sono “manteniamo quello dello scorso anno” o “continuiamo come sempre” e “confermiamo i soliti”.
Di per sé non ci sarebbe niente di male, se non fosse che io (e altri come me) gli anni scorsi non eravamo qui, quindi cerchiamo affannosamente di capire e correre dietro ai punti dell’ordine del giorno finché “la riunione è terminata” e tutti defluiscono nel corridoio che i nostri alunni quando suona la campanella al confronto sono dei bradipi…

L’anfora di Achille e Aiace che giocano a dadi

Solo et pensoso…

Inseguo uno dei colleghi perché ho alcuni dubbi: “Scusa, io ho una seconda e una terza cat (geometri n.d.a.) non dovrei inserire nel programma i Promessi Sposi e la Commedia in terza?”
“Vedi tu, qui ognuno fa un po’ come c…o gli pare” poi forse si rende conto che la risposta è troppo cinica anche per uno prossimo alla pensione e aggiunge “Io qualcosa faccio, in teoria sì, sarebbe da fare, ma sai… i nostri ragazzi… con l’utenza di questa scuola… insomma, se hai una classe che pensi ti possa venir dietro prova”.
E con questa illuminante e incoraggiante risposta mi incammino verso la macchina… mentre “Solo et pensoso i più deserti campi / vo mesurando a passi tardi et lenti” penso alle mie classi: sono ragazzi che conosco da poco, non so se mi potranno “venir dietro” o meno e, in fondo, non credo neanche che sia realmente questo il problema. Mi siedo in macchina e scrivo su Google: “perché leggere i classici”.
Mi escono diverse pagine che riprendono dottamente un testo di Calvino: I classici sono quei libri di cui si sente dire di solito: “Sto rileggendo…” e mai “Sto leggendo…”
Sì, vabbè, ciaone proprio come direbbero i miei alunni.
Seduto in macchina e lievemente demoralizzato mi guardo intorno: le luci calano, le auto si allontanano… sui muri scrostati tra insulti ai poliziotti e richieste di “benza” alla mamma mi colpisce una scritta particolarmente curata: se non ora quando?
A parte la mancanza di virgola tra ora e quando (deformazione professionale) penso che in effetti per poter “rileggere” un testo occorre prima averlo letto, e se la scuola, anzi, se io non offro questa possibilità ai miei alunni chi lo farà mai?
Forse è necessario “odiare” i Promessi Sposi a scuola per poterli poi rileggere quando si è più grandi… ringalluzzito da questa idea metto in moto e parto, pensando che […] “io sol uno / m’apparecchiava a sostener la guerra / sì del cammino e sì de la pietate, / che ritrarrà la mente che non erra.”

Periferie-laboratori-cultura

Il mio piano di attacco

E così è deciso: Promessi Sposi in seconda, Divina Commedia in terza.
Le antologie in “dotazione” con i libri di testo non vanno quasi mai bene, non perché siano fatte male, ma perché scegliere è sempre un gesto molto personale, soggettivo, e se per il romanzo di Manzoni si possono selezionare dei singoli brani con la Commedia è piuttosto difficile.
In ogni caso preparo un “piano di attacco” che pensa possa funzionare. Il mio entusiasmo devo ammettere che subisce una battuta d’arresto appena comunico alle due classi l’intenzione di leggere insieme queste opere. I nostri autori hanno una fama che li precede… e non gioca a loro favore.
Per fortuna non siamo ancora costretti ad avere il permesso degli studenti per poter decidere cosa fare a lezione e quindi parto proprio da quello che pensano di sapere per cercare di coinvolgerli. Alla fine della lezione mi trovo a dire, quasi con mia stessa sorpresa: “comunque continuate a chiedervi perché leggiamo queste opere e quando pensate di aver trovato una risposta ne parliamo insieme… e anche se non la trovate!”
Nelle settimane successive le lezioni arrancano un po’. Mi piacerebbe essere come quei docenti che riescono a fare cose mirabolanti in classe, tipo leggere tutta l’Iliade, far imparare a memoria i canti della Commedia o cose simili… io quando apro Manzoni o Dante assisto a una serie di mancamenti, soprattutto nelle ultime file le teste tramontano lentamente dietro montagne di zaini e preferisco non sapere… anche perché quando li chiamo stranamente rispondono (quasi sempre) che stanno ascoltando. Sarà.
Con mia sorpresa riscuote più successo l’inferno di Dante dei Promessi Sposi… in terza non sono certo dei fini letterati eppure seguono, portano il libro, a volte perfino chiedono. Resta il fatto che si fa comunque fatica, e la domanda “perché” comincio a farmela sempre più insistentemente, e presto si trasforma in un “chi me lo ha fatto fare?!?”. E siccome il “chi” sono io il passo successivo, inevitabile, è: “ma io, perché leggo e penso sia importante far leggere questi classici?”.
Così mi rendo conto che il “sugo della storia” è che quando mi trovo a essere in crisi, cioè a dover scegliere, vengo sorretto da Renzo, Fra Cristoforo o Virgilio (ma anche da Montale, Ungaretti…) e perfino i miei pensieri prendono la forma delle loro espressioni.
Così alla lettura in classe affianco alcune domande: “ma se voi foste nella situazione di Renzo, di fronte a un sopruso come il suo, cosa fareste?”. Ed è interessante come siamo tutti Renzo! Perché il primo proposito è quasi sempre di vendetta, proprio come il protagonista innamorato di Lucia! Piano piano ci si coinvolge, si fa il tifo, si giudica… “ma perché segue la folla per le vie di Milano? Si capiva che finiva male! Io sarei tornato al convento” “no, ha fatto bene, anzi, doveva approfittare e guidare la rivolta!” per tacere invece i commenti sulla monaca di Monza, che a “la sventurata rispose” sono seguiti pareri non proprio cordiali.
Ma è l’esito dell’immedesimazione, quindi va bene così.

Milano, piazza san Fedele, la statua di Alessandro Manzoni

La querelle del canto V

Dante, invece, ha saputo catturare l’attenzione e si arriva abbastanza tranquillamente al canto V, dove ci aspettano Paolo e Francesca.
Amore, passione, tradimento, dolore, pietà… facile coinvolgersi e condividere (anche se “prof, questo però sviene sempre!” … tutti coraggiosi con l’inferno degli altri).
E non poteva che giungere da una delle poche fanciulle la domanda: “ma se questi si amano e se Dante è così… così… dalla loro parte, perché li mette all’inferno?” con grande stupore di tutti la risposta arriva dal fondo della classe, dove uno degli svenuti si erge dalla cintola in su da dietro lo zaino e con terminologia da fine teologo spiega: “Mih quello si è fatto la cognata!” e il dibattito si accende: “erano innamorati, hanno fatto bene” “eh, appunto, e allora perché sono all’inferno?” “perché lei era sposata col fratello no?!?” “si vede che ne valeva la pena! Io me la farei” “sì a te basta che respiri!” “perché tu ragioni con il c…” “RAGAZZI! Ragazzi, per piacere… va bene che stiamo attraversando l’inferno con Dante, ma teniamo un linguaggio almeno da Purgatorio”.
Non capiscono il mio intervento finale ma almeno si placano un po’… cerco di riportare la discussione sulla domanda: “Dante è talmente coinvolto dalla vicenda che sviene, avrebbe potuto perdonarli in nome del loro amore, invece sono all’inferno.
Eppure per Dante l’amore è fondamentale, anzi, la stessa Commedia di fatto la scrive per amore di Beatrice… perché non li salva? Perché sviene?”
Si accavallano frasi che riprendono quanto già detto prima, poi si sente un “poteva esserci lui”. “Esatto! L’amore può essere qualcosa che salva (Beatrice implora Virgilio di salvare Dante in nome dell’amore) ma anche qualcosa che condanna quando ti fa perdere la testa
Dante stesso si smarrisce nella selva e si salva letteralmente per miracolo! Quando vede Paolo e Francesca è come se pensasse: potevo essere io.” “Ok, ma perché li mette all’inferno? Secondo me non è giusto”. “In questo canto – riprendo – incontriamo coloro ‘che la ragion sommettono al talento’: Dante non li incolpa per l’amore che provano, ma per aver lasciato che la passione prendesse il sopravvento sulla ragione.
Immaginate di essere insieme con una ragazza o un ragazzo bellissimi, perfetti per voi. Poi a una festa, dove lui o lei non c’è incontrate un’altra persona, ci state insieme tutta la sera e alla fine tradite il vostro fidanzato o fidanzata (si dice ancora fidanzata? No vero? Vabbè comunque avete capito).
Lei lo viene a sapere e vi lascia. Che peccato. Capite? Che peccato! Il peccato per Dante non è una regola che viene infranta, ma è scegliere per qualcosa che ci fa essere meno di come siamo. Vi state preparando il vostro piatto preferito, ma siccome siete distratti dalla serie tv che state seguendo sul telefono, mettete lo zucchero al posto del sale.
Quando assaggiate… che schifo, esatto, che peccato!
Scusate gli esempi stupidi, ma è per capirci… Dante mette Paolo e Francesca all’inferno perché di fronte al loro amore, rovinato dalla passione, dice: che peccato. L’amore per Beatrice e il dolore per la sua perdita potevano essere per Dante una condanna, e stava succedendo proprio così, invece non sottomette la ragione al talento e diventa motivo di salvezza”

Immagine dal film L’attimo fuggente

Tutta un’altra lettura

Segue un lungo silenzio, non so se e quanto li ho convinti ma suona la campanella e tutti si alzano. In corridoio mi raggiunge il ragazzo che dormiva in fondo… “Prof, io non avevo mai capito perché non dovevo tradire la mia tipa. E infatti l’ho fatto, però sono stato bravo a non farmi beccare – aggiunge ridendo – e non sono sicuro che se mi capita l’occasione non lo rifarei” “E dopo, dopo averla tradita intendo, eri più contento?” “Beh, all’inizio sì, però in effetti poi no. Insomma, capisce cosa intendo?” “Sì certo, e quindi?” “Quindi… che peccato!” Ride, non troppo convinto, e se ne va. Quando è in fondo al corridoio si gira e urla “Hei prof, ho capito, leggiamo ‘sti libri per non tradire la tipa!” e senza aspettare una risposta si volta, ride, e corre in cortile per sbirciare nella classe del liceo dove la sua “tipa” sta facendo lezione.
In qualche modo la risposta è arrivata…
Perché Dante, Petrarca, Leopardi o Manzoni hanno sentito la necessità di scrivere? Perché avevano qualcosa da dire… e noi perché abbiamo l’esigenza (l’abbiamo?) di leggerli? Per trovare delle risposte? Sì, forse, anche per quello, ma ancora di più per scoprire le domande, che le nostre domande non sono nostre, non solo nostre.
Non siamo soli sul cuor della terra. Possiamo capire che le cose che capitano non sono per forza una “rottura”, una sfiga o un caso, che non è lo stesso se una cosa capita, oppure no.
I nostri ragazzi vivono immersi in questo pensiero: che in fondo tutto è uguale, che è lo stesso… si chiama relativismo, ma è un concetto. Quando invece gli mostri che la vita cambia se “la tipa che ti piace” risponde al tuo saluto è tutta un’altra cosa!
E se non lo fa non è lo stesso, cambia il giorno, cambia una vita, cambi tu.

Milano La Repubblica – Progetto I ragazzini delle periferie diventano fotografi