I martiri d’Algeria: “Hanno offerto la propria vita liberamente, come Massimiliano Kolbe”

Una mostra al Meeting per l’Amicizia fra i popoli (22 – 27 agosto) intitolata Chiamati due volte racconta e approfondisce la straordinaria vicenda delle religiose e dei religiosi ammazzati nel paese del Maghreb dal terrorismo islamico durante il cosiddetto “decennio nero” (1992 – 2002). Il percorso è scandito da commoventi testimonianze di oltre 25 persone raggiunte nei mesi scorsi in Francia, Italia e Algeria. Una storia di innamorati di Cristo che illumina la bellezza di una scelta di libertà. Ovvero: una fedeltà al popolo e alla propria vocazione, un amore, che ha generato negli ultimi 30 anni frutti inaspettati


18 luglio 2025
Al Meeting di Rimini
di Alessandro Banfi

Chiamati due volte – la Mostra di Fondazione Oasis al Meeting di Rimini 2025

C’è un documento battuto a macchina su un foglio ormai ingiallito che fu spedito a tutte le religiose e i religiosi che risiedevano 30 anni fa in Algeria. La domanda spicca, in stampatello, al centro della lettera: partire o restare? È il dilemma che fa dà contesto alla testimonianza dei 19 martiri cristiani uccisi durante il cosiddetto “decennio nero” (1992-2002) del terrorismo islamico in cui, si calcola, furono barbaramente ammazzati 150 mila algerini, fra cui imam, intellettuali e giornalisti. Secondo il domenicano Jean-Jacques Pérennès, biografo del vescovo di Orano Pierre Claverie, l’ultima vittima, è proprio nella libera decisione di rimanere accanto al popolo algerino che sta la giustificazione della beatificazione. Tanti muoiono e purtroppo sono morti. Ma “è il fatto”, dice Pérennès, “di avere offerto la propria vita liberamente, come Massimiliano Kolbe” che li ha portati ad essere riconosciuti martiri dalla Chiesa.

Il giorno della beatificazione dei 19 martiri avvenuta a Orano l 8 dicembre del 2018 in una cerimonia che ha visto la partecipazione anche di numerose autorità musulmane

Storie diverse, carismi diversi

Nel dicembre del 2018, ad Orano, i 19 sono stati beatificati in una cerimonia che ha visto la partecipazione anche di molti algerini e autorità musulmane. Quest’anno il Meeting di Rimini (22-27 agosto) dedica loro una Mostra, dal titolo Chiamati due volte, che racconta e approfondisce questa straordinaria vicenda. Il percorso è allestito attraverso pannelli ma anche video che riportano le testimonianze filmate di più di 25 persone, raggiunte in Francia, Italia e Algeria nei mesi scorsi.
In che senso i 19 sono stati chiamati due volte? Racconta il trappista Thomas Georgeon, postulatore della causa di beatificazione e protagonista anche di un convegno al Meeting sabato 23 agosto alle 12 insieme all’arcivescovo di Algeri, il cardinale Jean Paul Vesco: «Il rischio è andato crescendo man mano. E quindi alcune comunità sono andate via, hanno lasciato il Paese. Altri, religiose e religiosi, sacerdoti, hanno fatto la scelta di rimanere, pochi sono stati presi, cioè i 19, ma tanti sono rimasti e sono ancora oggi in Algeria. È un po’ come il Vangelo di Matteo, cioè alcuni saranno presi, altri no. La loro scelta è stata una scelta di fedeltà. Hanno fatto la scelta di rimanere per abbracciare il destino di queste persone, di questi amici algerini».

Cartello per le visite mediche – Mons Pierre Claverie

Fra di loro storie diverse, carismi diversi. Dalla prima vittima, Paul-Hélène Saint Raymond, delle Piccole Suore dell’Assunzione, quelle fondate da padre Pernet, uccisa nella Biblioteca per i ragazzi della casba di Algeri, fino al Vescovo domenicano Pierre Claverie, ucciso ad Orano insieme al giovane musulmano Mohamed Bouchikhi, che nel giorno dell’attentato gli faceva da autista (storia sulla quale Adrien Candiard ha scritto l’opera teatrale “Pierre e Mohamed”). Passando dalle suore agostiniane (Sant’Agostino è nato in Algeria), alle Piccole Sorelle del Sacro Cuore, che si ispirano a Charles De Foucauld, fino ai Padri Bianchi-Missionari d’Africa, ordine nato proprio in Algeria per iniziativa del cardinal Charles-Martial-Allemand Lavigerie.
Le vittime più note sono i monaci trappisti del Monastero dell’Atlante a Tibhirine, che erano guidati da frère Christian de Chergé, sulla cui vicenda è stato fatto un film quindici anni fa, Uomini di Dio (in francese Des Hommes et de Dieux), che ebbe un inaspettato e travolgente successo mondiale. A Rimini ci sarà il produttore francese Etienne Comar a parlarne, alle 21 di sabato 23 agosto, in occasione della proiezione della pellicola.

I monaci del Monastero di Tibhirine

Il testamento del priore di Tibhirine

In quel film il dilemma e il discernimento conseguente sul restare in Algeria o abbondare il monastero dell’Atlante è raccontato con grande slancio poetico. Quei monaci trappisti sapevano di essere nel mirino degli islamisti. Perché esporsi ad un fallimento? Ha senso cercare il dialogo col popolo algerino, sapendo che puoi essere ucciso? Il priore di Thibirine Christian de Chergé, ben prima di essere rapito e poi ucciso insieme ai suoi confratelli, ha riflettuto a lungo su queste domande e ha lasciato un Testamento, considerato uno dei più grandi testi, anche letterari, del Novecento, in cui prende di petto la questione. Scrive infatti frère Christian: «La mia morte sembrerà evidentemente dare ragione a quelli che mi hanno frettolosamente trattato da ingenuo o da idealista: “Dica adesso cosa ne pensa!”. Ma costoro devono sapere che sarà finalmente liberata la mia più lancinante curiosità. Ecco che potrò, se piace a Dio, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con Lui i suoi figli dell’islam così come Lui li vede, totalmente illuminati dalla gloria di Cristo, frutti della Sua passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre stabilire la comunione e ristabilire la somiglianza giocando con le differenze».
Il cardinal Angelo Scola, che ha fatto nascere vent’anni fa la Fondazione Oasis, ha scritto recentemente in un suo libro sulla vecchiaia (Nell’attesa di un nuovo inizio, edizioni LEV), commentando questo Testamento:

ASCOLTA IL PODCAST DEL CARDINALE ANGELO SCOLA ALL’INCONTRO DEL CMC SUI BEATI MARTIRI ALGERINI INSIEME A THOMAS GEORGEON POSTULATORE DELLA CAUSA 

«Ho letto e riletto più volte questo testo straordinario con grande emozione perché esprime, con delicati toni poetici e con profonda sensibilità teologica, un interesse nei confronti dell’islam che ho sempre avuto e che ho coltivato soprattutto nell’ultima parte della mia vita con l’istituzione della Fondazione Oasis. Anche a me è capitato spesso, senza ovviamente toccare i vertici della riflessione di padre de Chergé, di chiedermi per quale misterioso disegno di Dio oltre un miliardo di uomini e donne sono fedeli all’islam. E ho cominciato a intravvedere e a capire che il Signore ci dona la grazia di avere una stima di tutte le religioni e ci offre la possibilità di lasciarci trasformare da esse in una misura che non avremmo mai immaginato quando nella Chiesa si è iniziato a parlare di dialogo interreligioso».

Archivio CMC – Cardianle Angelo Scola e padre Thomas Georgeon incontro sui Beatri Martiri di Algeria 12 novembre 2018

È la carne, l’incarnazione la loro grande testimonianza

Se la testimonianza dei martiri d’Algeria (“martiri del dialogo” sono stati chiamati) fa riflettere, e molto, sulle relazioni islamo-cristiane, c’è però anche un aspetto proprio del cattolicesimo, o meglio dire del realismo cristiano, in quello che questi 19 hanno compiuto, che stupisce ancora. Lo coglie benissimo, in una delle interviste video che saranno proposte a Rimini, il regista del film Uomini di Dio, Xavier Beauvois.
Lui lo chiama l’incarnazione. Dice Beauvois: «I monaci hanno fatto, e ci hanno lasciato, cose concrete, cose visibili. Frère Luc curava le persone in un dispensario medico, che negli anni ha guarito migliaia di algerini, altri monaci si occupavano di aiutare gli abitanti del villaggio a sbrigare gli obblighi burocratici, coltivavano la terra coinvolgendo lavoratori del luogo, hanno insegnato ai contadini della zona a fare il miele… cose concrete, semplici. Il fatto è che facevano tutti questi atti di amicizia e di solidarietà, per la fede che avevano. È la carne, l’incarnazione la loro grande testimonianza».
Una fedeltà al popolo e alla propria vocazione, un amore, che ha generato negli ultimi 30 anni frutti inaspettati. Anselme Taparga è oggi l’Assistente generale dei Padri Bianchi-Missionari d’Africa, l’ordine nato in Algeria nell’Ottocento, di cui facevano parte i 4 uccisi a Tizi Ouzou, ad Est di Algeri il 27 dicembre del 1994.
Padre Anselme è nato in Burkina Faso e spiega che oggi la parrocchia dove furono uccisi i martiri è molto viva grazie alla presenza di tanti nuovi fedeli cattolici, che vengono dall’Africa subsahariana. Dice: «Ora aspettiamo il miracolo dei 19 martiri. 30 anni dopo non dobbiamo dimenticarli e dobbiamo chiedere loro la grazia che li porterà alla canonizzazione». Al Meeting saranno esposti alcuni oggetti dei monaci di Tibhirine, dei Padri Bianchi e del Vescovo Claverie, per rinnovare anche fisicamente la memoria di quella vicenda. La visita alla Mostra è prenotabile, sul sito e sulla app del Meeting di Rimini 2025, dal 4 agosto.