I restauratori della speranza

A 101 compiuti Edgar Morin, filosofo, sociologo e saggista, nel suo ultimo lavoro invita l’umanità a svegliarsi. Per accogliere la sfida della straordinaria complessità che stiamo vivendo. Affrontando prima di tutto la crisi del pensiero, che significa crisi dell’uomo. «Ora siamo al cuore della crisi e la crisi è nel cuore dell’umanità».

Dunque, una crisi di natura antropologica che ha un’immediata ricaduta nel deficit culturale. Il sonno continuo non fa per l’uomo. È da irresponsabili. Svegliamoci, allora come sferza Morin. E come, per altri orizzonti, invita a fare il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana


21 ottobre 2022

Edgar Morin, filosofo, sociologo e saggista, è del 1921.

Sì, ha 101 anni compiuti l’8 luglio. Ed ha ancora voglia di pensare e di portare a tutti quel che pensa. Per gusto della vita. Per amore della vita.

Perché l’uomo non può e non deve mettersi da parte. Il suo ultimo pamphlet, uscito in Italia per i tipi di Mimesis, ha per titolo un invito che è quasi un’invocazione: “Svegliamoci!”. Al netto delle sue articolazioni, il grido di allarme che lancia riguarda la crisi più insidiosa, invisibile perché, almeno in apparenza, non la tocchi con mano: la crisi del pensiero.

Per Morin essa precede tutte le altre che pur sono evidenti: quella economico/finanziaria, quella ambientale, quella dello Stato sempre più mercé della burocrazia, quella della democrazia, quella dell’onnipotenza del profitto, quella dei rigurgiti autoritari, quella sanitaria emersa con virulenza inaspettata con la pandemia, quella di un umanesimo impotente al cospetto di violenza e odio che la fanno da padroni. E quella di un capitalismo autoritario come di un capitalismo neoliberista che hanno prodotto il culto della rapacità.

Novità dentro la complessità

Morin non teme la complessità; l’ha sempre studiata. Per lui la complessità è una condizione (forse la condizione) entro la quale possono schiudersi novità. Ma perché ciò possa accadere, la complessità entro la quale siamo oggi immersi va prima di tutto compresa. Ecco l’uomo, allora; ecco il pensiero. Ecco il pensiero umanitario. Il pensiero che apre fessure. Che costruisce ponti come insiste papa Francesco alfiere dello “svegliamoci”. Morin è una personalità profondamente ancorata a una visione laica della vita. Eppure, nel suo pensare, nel suo ipotizzare alternative ragionevoli e dense di positività rispetto ad uno stato delle cose così degradante, introduce elementi di speranza che scuotono, accendono, appunto risvegliano.

Siccome Morin è personalità che pensa, non teme di azzardare tentativi.

Conosce il mondo nel quale vive, lo studia, non trascura ciò che non gli corrisponde, ma prova a coglierne una possibilità diversa. Ad esempio scrive che «dobbiamo abbandonare il sogno prometeico di dominare l’universo per aspirare alla convivialità sulla terra. Allo stesso tempo, pur comprendendo a quali bisogni risponde l’idea di nazione, non dobbiamo più opporre l’universale alla patria ma legare in maniera concentrica le nostre patrie – familiari, regionali, nazionali, europee – e integrarle nell’universo concreto della patria terrestre».

L’autore sgancia da visioni divisive parole come nazione e patria. Propone di pensarle sotto una veste inclusiva e non più oppositiva. L’uomo di questo XXI secolo è chiamato ad adottare un metodo riformatore, un metodo “pensante”, che richiede una rivoluzione paradigmatica. Ancora Morin: «Si tratta di sostituire i principi che generano pensieri semplificatori, unilaterali, parziali, ed evidentemente di parte con principi che permettano al tempo stesso di riconoscere, distinguere e riunire antagonismi complementari».

Incuria di sé è avversione all’altro da sé

Svegliarsi è un compito affascinante. È un’assunzione di responsabilità che nell’amore e nella cura della propria persona parimenti esprime una passione forte per l’alterità, per l’altro che ha sempre una faccia precisa. L’esatto contrario dell’individualismo che spesso si compie in pratiche votate a un pericoloso egoismo. Nei fatti: incuria di sé e avversione sospettosa all’altro da sé.

L’uomo responsabile, scrive Morin, è creativo e imprevedibile. Si tratta dell’io che non smette di vivere il reale perché lo “pensa” il reale. Un uomo vero, non transumanista. «La vera sfida non è cambiare la natura umana ma inibirne il peggio e favorirne il meglio. Il transumanesimo elude la necessità primaria di rigenerare l’umanesimo». E chiosa con una frase ad effetto: «Ora siamo al cuore della crisi e la crisi è nel cuore dell’umanità».

Amore che diviene cultura

 Ma è nel cuore dell’uomo che può avvenire il risveglio. Il sonno antropologico fa della perturbazione una condizione di normalità. Una sorta di meccanicismo degradante. Come se l’uomo fosse divenuto insensibile alla promessa

Per altre vie, ma fisso sul punto cruciale sollevato da Morin, il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, in un’intervista al “Corriere della Sera” ha detto: “Nell’enciclica ‘Fratelli tutti’ papa Francesco parla di amore politico. A questo aggiungerei anche amore che diviene cultura. Ma attenzione, sono azioni che partono sempre da una vita cristiana, da una comunione vera, non virtuale e da una caritativa che unisce ai nostri fratelli più piccoli che sono i poveri! E poi il cattolico deve tradurre la dottrina sociale sempre con la necessaria mediazione e laicità, che poi è la storia comune a tutti”. Per concludere che “la Chiesa non è chiusa nel privato, non è prigioniera dell’individualismo, fa sentire la propria voce perché ama le persone e vive nella storia, con la necessaria laicità”.

Svegliarsi, insomma. Uno svegliarsi plurale. «Coloro che raccoglieranno la sfida verranno da orizzonti diversi, poco importa sotto quale etichetta. Saranno i restauratori della speranza». Un tipo sveglio, Morin!

 

Fotografie
© Diego Loffredo, Napoli 2022 – https://www.istagram.com/diegoloffredo74