Il martirio in “odium fidei”. L’assassinio di don Giuseppe Rossi ora beato

Un fatto lontano. Un fatto presente. L’omicidio di un giovane sacerdote della Val D’Ossola da parte di squadristi fascisti due mesi prima la liberazione. Papa Francesco ha approvato la pubblicazione del decreto sul suo martirio in odio alla fede. Il 26 maggio il rito di beatificazione. Per non dimenticare. Per non dimenticare i troppi martiri cristiani di questo tempo segnato dalla violenza. Nel silenzio colpevole del mondo.


26 aprile 2024
Editoriale

A destra – Don Giuseppe Rossi parroco a Castiglione Ossola

Indietro nel tempo per capire il presente.

Indietro nel tempo per raccontare di una tragica vicenda. Un martirio. Quello di un giovane e umile sacerdote. I fatti risalgono a due mesi prima la liberazione del 25 aprile. Ma quel misfatto contiene un fatto che apre alla speranza. Papa Franceso il 14 dicembre ha approvato la pubblicazione del decreto sul martirio in odio alla fede di don Giuseppe Rossi, prete della diocesi di Novara che fu assassinato da una squadraccia fascista a Castiglione Ossola, una piccola località della Valle Anzasca (oggi è provincia di Vercelli). Domenica 26 maggio 2024, alle 16, nella cattedrale di Novara verrà celebrato il rito di beatificazione presieduto dal cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero per le Cause dei Santi.

Il prete che non scappa

Sono le circa le 9 del mattino del 26 febbraio 1945 a Castiglione Ossola. La gente, per quanto possibile, è già impegnata nelle cose ordinarie di tutti i giorni. Sveglia da tempo, insomma. Quella è terra di resistenza partigiana. I boschi sono la casa dei resistenti. Calano al paese solo per cercare qualcosa da mettere sotto i denti. Poi, via. Perché il pericolo è una costante. Quella mattina, come ogni mattina, risuona il campanile. Alle 9 ecco il rintocco familiare. Ma quella mattina arriva meno pulito del solito, sporcato. Si sente un motivo fascista cantato da una colonna di Camicie nere. La colonna annovera una sessantina di fascisti: tre camion con staffetta una motocicletta. Arrivano da Pieve Vergonte. La colonna non sa che quella mattina non li attende solo il rintocco della campana, ci sono anche i partigiani della brigata Torino. Di lì a qualche minuto sarà solo crepitare di mitraglia e bombe. È il dramma della guerra civile che la Val Ossola ha conosciuto, pagine assai drammatiche. Alla fine, tra i fascisti, vengono uccisi due uomini e un’altra quindicina i feriti. La rappresaglia delle Camicie nere è immediata. Rastrellano e interrogano. Chi può scappa, specie gli uomini. C’è un uomo che non si dà alla fuga. È un sacerdote, si chiama don Giuseppe Rossi, parroco in quel piccolo paese. Viene prelavato da casa. Arrestato. Minacciato. Insultato. I suoi parrocchiani glielo avevano detto di scappare via, che era in pericolo, già erano avvenuti rastrellamenti dei nazifascisti. Lui niente, ha voluto stare lì. Perché non si abbandona il paesino. Non si abbandona la sua gente.      

Il corpo ritrovato

Don Giuseppe Rossi viene prelevato intorno alle dieci del mattino e condotto in una casa sequestrata dai fascisti che la rendono un loro presidio. Il sacerdote subisce un interrogatorio piuttosto acceso: perché le campane suonavano quando la colonna è entrata a Castiglione Ossola? Nelle omelie parlava di politica? E poi: era un prete favorevole alla Resistenza? Chi lo interroga non ottiene soddisfazione, ma per i fascisti non importa, cercano solo un capro espiatorio. E lo hanno tra le mani. Terminato l’interrogatorio, don Rossi agli altri uomini presi in ostaggio dice di restare tranquilli, di aver fiducia e mantenere la calma. Sono momenti terribili, quelli. Lui sa di essere l’obiettivo della resa dei conti E infatti… Solo qualche ora dopo tornano a prenderlo mentre si trova a casa della sorella. Sulla strada incrocia un manipolo di lavoratori al rientro dalla fabbrica. Quello è l’ultimo momento che viene visto vivo. Il suo corpo verrà ritrovato poco fuori l’abitato sotto la cappella della Madonnina. La scena è straziante: il cranio fracassato, le mani gravemente lesionate e un colpo di arma fuoco alla testa per essere sicuri di aver fatto come si deve il proprio lavoro di assassini. I fascisti danno la colpa dell’omicidio ai partigiani. Ma uno di loro, non ce la fa a convivere con la menzogna, confessato tutto. Alla fine della guerra l’unico a essere condannato – il Pm al Tribunale di Novara allora era Oscar Luigi Scalfaro – fu un certo Badiali, con la sentenza del 7 novembre 1946. Dopo aver chiesto scusa alla famiglia, egli scontò solo qualche anno di carcere.

Il martirio dei cristiani continua

Sono passati molti anni da quell’accadimento. Eppure la testimonianza e il sacrificio fino al martirio di don Giuseppe Rossi è un patrimonio di vita per i parrocchiani e la comunità tutta. Quel prete, con semplicità ha saputo accogliere la profondità dell’abbraccio del Vangelo. Una fedeltà fino all’ultimo respiro. La vita terrena interrotta per mano violenta, per mano offensiva. Nei giorni del suo breve ministero ebbe a dire: «Darò quanto ho, anzi darò tutto me stesso per le anime vostre». Don Giuseppe Rossi è morto dopo appena sei anni di apostolato. A 33 anni. E fra pochissimo sarà un beato tra noi. In un momento della storia dove l’odio verso l’altro è pratica quotidiana. Dove il martirio dei cristiani in diverse parti del mondo è ormai quasi un esercizio di routine. Nel silenzio colpevole del mondo.