Il presepe è sempre vivente (anche con le belle statuine)

La tradizione del presepe vivente è giunta a noi grazie a san Francesco che a Betlemme, proprio la vigilia di Natale, vede la sacra rappresentazione della nascita di Gesù bambino allestita da quel popolo. Come atto di fede e gratitudine. Ne esce così colpito che al suo ritorno informa subito il papa per ottenere l’autorizzazione a diffondere quel gesto così carico di significato. Vi riesce. Ed è così che il primo presepe vivente nasce in un bellissimo borgo dell’Italia centrale, in provincia di Rieti: a Greccio. Padre Enzo Fortunato, frate minore della comunità di Assisi, ha scritto un libro assai documentato sulla storia del presepe di Greccio, dal titolo “Una gioia mai provata. San Francesco e l’invenzione del presepe”. Una gioia che continua in Italia e nel mondo. Come gesto di memoria. Come notizia sempre viva.  


16 dicembre 2022
di Enzo Manes

Scena del Presepio di Greccio Foto ©Massimo Rinaldi Rieti

Tornare al significato del presepe è cosa buona e giusta. Il presepe è memoria viva del Natale, di quella nascita. Di quel Bambino. Di Gesù bambino. Papa Francesco lo ha ricordato nella Lettera “Admirabile signum”: «Che non venga mai meno la bella tradizione del presepe». Il non venir meno alla tradizione vuol dire farla vivere. Farla nascere. In ogni dove. Il presepe è vita. Non è roba da belle statuine. Il presepe è sempre vivente anche con le belle statuine.

A Greccio, il 24 dicembre 1223

Un richiamo generoso quanto opportuno al presepe e, in particolare, all’origine del presepe vivente viene da un libro uscito da poco, scritto da padre Enzo Fortunato, frate minore conventuale della comunità di Assisi, intitolato: “Una gioia mai provata. San Francesco e l’invenzione del presepe” edito dalla casa editrice San Paolo.
La puntuale ricostruzione del frate, un religioso assai efficace nel comunicare con i popoli certo attingendo alla pluralità degli strumenti digitali, consente di fare un viaggio affascinante per incontrare la grande intuizione di san Francesco: portare qui quel che aveva veduto e ammirato a Betlemme dove il popolo aveva animato una sacra rappresentazione in occasione del Natale.
Volle rendere partecipe del suo desiderio papa Onorio per ottenerne l’approvazione. Cosa non semplice, se si tiene conto che a quel tempo la Chiesa non amava la drammatizzazione pubblica di episodi sacri legati al Vangelo. Ma la capacità di persuasione di Francesco incrinò un divieto consolidato. Il Santo Padre gli diede l’autorizzazione a dar vita a un presepe vivente con una raccomandazione, però: il gesto doveva compiersi solo all’interno di una grotta naturale.
Fu così che il 24 dicembre del 1223 ( tre anni prima della morte del frate di Assisi) in quella grotta venne rappresentata la novità della nascita di Gesù Bambino. Con il bue e l’asinello. Mentre il frate di Assisi non volle nessuno nei panni di Maria e Giuseppe perché temeva si facesse spettacolo distraendo dal nucleo forte di quell’evento di speranza. Quel primo presepe vivente prese corpo a Greccio, un piccolo e suggestivo borgo situato nel cuore del territorio reatino. Che, naturalmente, è tappa fondamentale del Cammino di Francesco. Da allora, ogni anno, si rinnova quella gioia tra quadri viventi, costumi medievali, partecipazione commossa di un popolo fedele.

Presepe di Greccio – Giotto Affreschi delel storie di S. Francesco Basilica superiore di Assisi

L’ineffabile gioia
Il vescovo, monsignor Domenico Pompili, così interviene nella partecipata prefazione, per riaffermare il segno inequivocabile del presepe così strettamente legato al mistero dell’incarnazione: «Nel volume che state per leggere, padre Enzo tratteggia molto efficacemente la scia luminosa lasciata nella storia e nel cristianesimo da quella provocatoria intuizione francescana. Il segno del presepe, incisivo e visibile a tutti proprio come la coda cangiante della cometa, solca cieli ed epoche, attraversa le generazioni e segna le arti. Influenza non solo i ricordi familiari legati soprattutto alla nostra infanzia, ma anche la storia dell’arte di ogni epoca e la cultura musicale di ciascun continente. Perché quella notte, la notte in cui ‘terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia’, non sarebbe tale se non fosse stata accompagnata dalla dolcezza di canti antichi, arrivati quasi intatti fino a noi. Una certezza, quella del presepe, rimasta intatta nei secoli, che ci lascia intuire qualcosa di grande: l’incarnazione del Figlio di Dio. Chi avrebbe mai pensato che l’evento inaudito dell’incarnazione potesse darsi in quel modo così normale, come accade per la nascita di qualsiasi bambino, addirittura attraverso una scena così pura da sembrare quasi inverosimile: una svolta spirituale e teologica tanto semplice quanto geniale. All’epoca della giovinezza di Francesco, l’invito più solerte rivolto ai credenti era quello di espiare i propri peccati attraverso la sofferenza, per placare l’ira di Dio che incombe su tutti gli uomini. Un’immagine sfalzata che il Poverello ha certamente avvertito, per poi essere guidato dallo Spirito nella concezione che se Dio si è incarnato è stato per amore, che se siamo stati “redenti” è per l’amore del Cristo per noi peccatori. Perché Dio è amore, gratuità e prossimità a tutte le vittime del male. E proprio come Gesù di Nazareth, più che guardare al peccato, Francesco si concentra sulle vittime del male e mette a fuoco il volto autentico di Dio, traspone il suo amore e la sua pienezza in un segnale contrastante con quello della sua epoca».

Sacra rappresentazione a Varese, chiesa di San Vittore

La luce della pace
Quell’invenzione di Francesco ha rappresentato un vero punto di svolta. Il presepe vivente è divenuto compagnia, gesto costruttivo, di presenza, di affidamento, di ringraziamento. Un gesto umile come umile è quella grotta. Da Greccio è nata una storia che arriva ai nostri giorni, a questi giorni. Ciascuno può dire, raccontare, di aver vissuto e vivere l’esperienza del “proprio” presepe vivente.
In Italia è feconda la pratica di quella sacra rappresentazione. Nel mondo uguale. La Buona Novella rimane sempre la buona notizia. E c’è sempre un popolo che ne testimonia il senso, la bellezza, la speranza. Padre Fortunato, qualche anno fa in un’intervista, anticipava i contenuti del suo libro sulla storia del presepe di Greccio e su quel che ha lasciato: «San Franceso mette in scena per la prima volta il presepe perché l’uomo, in qualsiasi condizione si trovi, possa vedere e possa commuoversi. C’è poi la dimensione esistenziale. Il presepe ci dice che ogni notte buia dell’uomo, la solitudine o la disperazione, la crisi o le difficoltà, la povertà o l’indigenza può essere illuminata e abitata dalla luce della pace. E ancora, la stella cometa che ha guidato i Re Magi può rappresentare per ogni uomo smarrito una bussola, una stella polare per riprendere il cammino».

Reggio Emilia, il Presepe vivente

Facendo propria questa prospettiva, qualsiasi presepe racconta la meraviglia e la commozione di quella Nascita. Ogni statuina, ogni bella statuina è carne viva, è manu – fatto vivente. Ogni casa che dà vita al presepe costruisce un pezzetto di storia di quella Grande Storia. Un pezzetto di speranza di quella Grande Speranza. Un gesto semplice, sensato, popolare. Quest’anno, con il Natale che giunge con la guerra nel cuore dell’Europa, il presepe è ancor di più la vita che non muore. La Nascita che riscalda. La Nascita che è

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