Il reddito lo crea il popolo

16 marzo 2018 – Giorgio Vittadini

I corpi intermedi devono tornare a essere un soggetto della vita pubblica fondamentale. Per evitare assistenzialismo sociale e creare più sviluppo economico.

LaPresse

Ricominciare dalle comunità di persone, dall’associazionismo, dai corpi intermedi, si è scritto più volte su queste pagine. Non solo perché storicamente hanno garantito uno sviluppo stabile e il contenimento della disuguaglianza nel nostro Paese. E nemmeno soltanto per far sì che il singolo cittadino sia, non solo virtualmente, in un contesto sociale che lo sostenga e lo aiuti ad esprimersi. E ancora, neanche solo per creare ambiti protettivi-paternalistici per chi è in difficoltà e deluso dalle istituzioni.

I corpi intermedi dovranno tornare a essere un soggetto della vita pubblica fondamentale, semplicemente perché in una società complessa come è quella moderna non se ne può fare a meno. Soprattutto sul piano sociale e su quello economico, i due ambiti ai quali mi riferirò con gli esempi che seguono.

Un esempio che rientra nell’ambito della protezione delle persone più in difficoltà riguarda tutte quelle forme di tutela e sostegno del reddito, qualunque forma o nome si sceglierà: reddito minimo garantito, di inclusione, di cittadinanza, di dignità… E’ evidente che non potrà trattarsi di un semplice trasferimento di soldi, non solo perché i denari pubblici scarseggiano ed è quindi quanto mai urgente produrre ricchezza per poterla distribuire, ma anche perché il lavoro è una dimensione importante per la dignità umana.

Il sostegno a chi è disoccupato sarà, quindi, inevitabilmente legato a comportamenti virtuosi, come la ricerca attiva del lavoro e la riqualificazione professionale. Perché ciò avvenga, ci sarà bisogno di soggetti intermedi tra il singolo e lo Stato con cui le persone bisognose dovranno interfacciarsi. Ed è ragionevole che si cominci da ciò che già esiste sui territori, che siano i sindacati, che sia l’associazionismo di impresa, che sia il welfare del Terzo settore. Solo da un soggetto sociale che entra in diretto contatto con le persone ci si può aspettare, oltre che un sostegno, uno stimolo all’azione.

Per chi mettesse in dubbio che in epoca di grande difficoltà un approccio assistenzialista puro, di trasferimento di fondi senza condizioni, possa funzionare, c’è un esempio storico importante che può aiutare a chiarire: il welfare dei democratici americani degli anni Sessanta (Kennedy e Johnson), i quali seguirono un pensiero sociologico che proponeva l’erogazione diretta di sussidi, saltando qualunque appartenenza. I sussidi non portarono a una diminuzione della precarietà e attirarono per giunta nelle grandi città altri precari con conseguente disgregazione delle famiglie, delle reti affettive e di relazione, creando nuovi problemi di lavoro e di welfare. In seguito, gli stessi sociologi americani abbandonarono questo tipo di approccio, tornando a interventi realizzati attraverso soggetti sociali.

I corpi intermedi stanno attraversando in questi anni una crisi d’identità, in un processo di cosiddetta disintermediazione, dovuto in parte a una loro perdita di efficacia nel ruolo di rappresentanza e in parte anche per la fiducia – spesso acritica – nei confronti delle piattaforme che gestiscono la rete internet.

Come se non bastasse, alcuni scandali hanno dato l’immagine di queste realtà come fautrici di mediazione clientelare, mettendo fra parentesi il loro ruolo essenziale, non solo in ambito sociale, ma anche economico.

Anche in termini di sviluppo, infatti, i corpi intermedi dovranno svolgere un ruolo sempre più significativo. Pensiamo al compito imprescindibile dei sindacati e delle associazioni d’impresa. Ma pensiamo anche ai distretti e alle reti d’impresa in un Paese come il nostro, il cui tessuto economico è costituito per la stragrande maggioranza di piccole e medie imprese. Pensiamo, poi, a quanto, in determinate forme, possano potenziare le imprese di minori dimensioni, compensandone alcune debolezze strutturali.

In un mondo globalizzato sarà sempre più strategico per il nostro Paese avere ambiti in cui creare valore dalle collaborazioni tra imprese. Rapporti e accordi che sono di diverso tipo, per durata, forma legale e per oggetto e vanno dai tradizionali rapporti contrattuali di fornitura, licenza e vendita, a forme più evolute e meno standardizzate quali gli accordi di co-design, di sviluppo prodotti, di ricerca pre-competitiva e di formazione del personale. Inoltre, iniziative promosse da soggetti di rappresentanza, grazie a iniziative quali gli innovation hub e i campus industriali o gli spazi di smart co-working, potranno permettere anche a piccole imprese di sviluppare e condividere conoscenze tecnologiche, di prodotto e di mercato.

In una parola, vale un’intuizione di Pier Paolo Pasolini: “La mia indipendenza, che è la mia forza, implica la solitudine che è la mia debolezza”.