Il Sol dell’avvenire
La repressione cinese a Hong Kong non può nulla contro la memoria
Quest’anno il pugno di ferro del regime comunista ha impedito qualsiasi iniziativa a ricordo delle vittime di Tienanmen. Neppure le campane delle chiese cattoliche hanno potuto suonare per richiamare l’attenzione su quella tragedia. Questo dimostra come tra comunismo e memoria non corra buon sangue. Altre vicende storiche lo hanno posto all’evidenza. Ma quando le dittature si mettono in testa di annullare la memoria del popolo quello è l’inizio della loro sconfitta
di Enzo Manes
17 giugno 2022
Quest’anno a Hong Kong è stata impedita qualsiasi iniziativa pubblica per ricordare quel che accadde il 4 giungo 1989 nella Repubblica popolare cinese con la repressione e il massacro di studenti, militanti e intellettuali sulla piazza Tienanmen ad opera dell’esercito “popolare”.
A venticinque anni dal trasferimento di sovranità di Hong Kong alla Cina in modo inesorabile si è via via avvertita la stretta del regime di Pechino.In nome della sicurezza nazionale (è stata creata una legge ad hoc) qualsiasi forma di dissenso non è stata più tollerata nella più occidentale (anche visivamente e per stile di vita) delle province dell’impero. A Pechino neanche a parlarne.
Per i regimi la memoria che non dimentica misfatti compiuti o appartenenze e affetti che possano rimandare a qualcosa di estraneo e ostile all’architrave ideologica (pensiamo solo alla tradizione che è sale della vita di un popolo, qualsiasi popolo) è un problema che va risolto una volta per tutte. Un intralcio da rimuovere. Con il rumore dei cingolati, ad esempio. La sicurezza nei regimi si impone così ma anche con divieti e minacce. Sempre in nome di qualcosa, naturalmente. La parola d’ordine è raggiungere l’obiettivo. Normalizzare. E annullare la memoria. E lì comincia la sconfitta delle dittature.
Una stagnante minaccia
Tra comunismo e memoria non corre buon sangue.
Il professor Antonio (Toni) Negri, ideologo conclamato, prima in Potere operaio (esplicativo un passaggio dell’inno dell’organizzazione: “Agnelli, Pirelli, Restivo, Colombo non più parole ma pioggia di piombo…”) poi di una delle aree più arcigne dell’Autonomia operaia, non mancò di scrivere con tigna sull’argomento. Egli avvertiva il pericolo della presenza incombente della memoria come lugubre e stagnante minaccia; nemica per evidenza del progetto rivoluzionario: nessuna ombra deve oscurare il sole dell’avvenire quale processo evolutivo e innovativo dovuto all’ingresso sulla scena del soggetto operaio finalmente in netto rifiuto della pratica del lavoro. Solo un passaggio tratto dal suo “Fabbriche del soggetto”, (1981, ed. XXI secolo) per dare un’idea: «Alla caduta della memoria corrisponde l’apparire storico, la consistenza dell’istituzionalità proletaria. Non insistiamo tanto sulla separatezza: essa è indice e codice dello spessore materiale dell’istituzionalità proletaria, del suo processo evolutivo. Ma non la mistica della separatezza, bensì la logica dell’istituzionalità segnala la mancanza di memoria. Mancanza di memoria è libertà: non solo da un passato, ma da un futuro che non sia autonomamente determinato. Transizione comunista è mancanza di memoria». Senza cedere alla tentazione di mischiare i piani – il che è sempre un errore di metodo – corre tuttavia l’obbligo di ricordare come nella
Cambogia del comunismo realizzato il dittatore Pol Pot non esitò ad attuare il terrore, per impedire che nemici del popolo e traditori dello spirito rivoluzionario facessero velo al suo progetto, in quanto prigionieri della memoria che per lui, faceva rima, con tradizione. Il nuovo corso doveva partire da una sorta di anno zero. Ecco dunque la salvifica pratica dell’annientamento.
Donne e uomini liberi
È opportuno ricordare che qui in Occidente vi fu un’infatuazione per quel regime (1975-1979). Si chiusero entrambi gli occhi sul massacro teorizzato. A farne le spese, contadini, famiglie, intellettuali, presunti traditori. Insomma, chiunque fosse motivo di intralcio perché “memorato”.Due milioni di morti, un quarto della popolazione.
Istruttiva, per quanto amara, la lettura del libro di Peter Fröberg Idling “Il sorriso di Pol Pot” (Iperborea, 2010).
Per tranquillizzare dittatori e affini va detto che la memoria non si può cancellare. Perché l’uomo non si può cancellare. Lo dice la storia di Tienanmen, quel che è successo in Cambogia con la sconfitta di quegli aguzzini, la testimonianza del cardinale Van Thuan (tredici anni nelle carceri comuniste del Vietnam, lui che dietro le sbarre ha fatto memoria tutti i giorni) e si potrebbe proseguire.
Il silenzio assordante delle campane
Quest’anno a Hong Kong non hanno potuto neppure suonare le campane delle chiese cattoliche a ricordo delle violenze a Pechino.
Ma è molto probabile che la popolazione si sia domandata per quale ragione non siano sentite. E così hanno ricordato. E così hanno potuto fare di nuovo memoria di quell’accadimento. E della sopraggiunta impossibilità a dire e a compiere gesti in libertà.
La sicurezza imposta dal regime dimostra una profonda e radicale insicurezza. Perché le dittature non si fidano del popolo. Altro che sol dell’avvenire. L’avanti popolo è sprofondato in uno stato di eclissi totale. E col buio pesto il popolo non lo vedi più.
Immagini:
Hong Kong
Inaugurazione del monumento in memoria di Piazza Tienanmen
I giorni di piazza Tienanmen
Khmer rossi, così erano denominati i rivoluzionar della Cambogia
Cambogia, genocidio