Incontri inclusivi: “fare” educazione a scuola

Pensieri di un professore nella quotidianità della vita in classe, nei corridoi, con i colleghi. La “provocazione” dei NeoArrivati in Italia. Che fare?

Non c’è altra possibilità che rischiare qualcosa di proprio. E non è detto che le cose vadano tutte a posto. I ragazzi sono lì. Si aspettano qualcosa anche se non lo dicono a cuor leggero. I piani, scritti a tavolino, sono scarabocchi. I piani sono… non piani. Eccolo il racconto che scompagina. Vero e di fantasia allo stesso modo.

Di fantasia sono i nomi. Vero, vitale è quella vita. Quelle giornate per come vengono. Quegli incidenti di percorso che possono assumere la strada di una diversa esperienza. Con la certezza che i NeoArrivati non sono NAI. Ma solo un acronimo burocratico


di Paolo Covassi

7 ottobre 2022

Garcia Rodriguez Fiorela Laura, 15 anni. Arrivata dal Perù a maggio, dove aveva iniziato a frequentare la seconda liceo. È arrivata in Italia con la madre e la sorella piccola, qui vivono con la zia della madre, l’unica che parla italiano.

Ibrahim Mohamed Ashraf Mahmoud Elmaghre, 16 anni. Arrivato dall’Egitto l’anno scorso. Ha frequentato la prima superiore in un altro istituto ma è stato bocciato. Non si sa molto della famiglia anche perché nessuno parla italiano. Pare che l’anno scorso sia stato bocciato per l’alto numero di assenze, non sappiamo se ha frequentato un corso di italiano. È comunque considerato NAI, NeoArrivati in Italia.

È il giorno prima del primo giorno di scuola. Ho appena finito gli scrutini per i ragazzi che hanno dovuto recuperare i debiti a settembre e sto andando a casa. Non vedo l’ora di andare a casa. Sono appesantito da pensieri cupi, tutti riassumibili in “devo ancora iniziare e sono già stanco”. Non una stanchezza fisica, è ovvio, ma non so darle un nome. In ogni caso, proprio mentre sto uscendo, Sonia, la responsabile della “Commissione stranieri”, mi mette in mano una sorta di pizzino con queste sette righe e il mio nome e la classe scritti a mano. Non faccio in tempo a chiedere cos’è che mentre si allontana (il passo è di chi vuole consegnare tanti pizzini senza doversi fermare a dare spiegazioni) mi dice: “Sono i NAI della tua futura prima”

“Ma io sono già coordinatore in quarta!”

“Ma il coordinatore in prima non c’è ancora, quindi ti tocca”

Avrei da replicare, ma ha già consegnato altri due foglietti ed è inseguita per i corridoi dai relativi colleghi. Resto un attimo con il mio foglietto in mano… ci mancava pure questa. L’unico lato positivo è che appena ci sarà il coordinatore almeno questa menata potrò rifilargliela al volo. Quindi in prima avrò due NAI: NeoArrivati in Italia. Uno dei tanti acronimi della scuola che vuole essere inclusiva, ma alla fine è solo burocratica. Perù, Egitto. Sono le uniche due informazioni che individuo prima di mettere il foglietto nella borsa e uscire, sperando che le ultime ore estive prima della scuola possano togliermi questa strana pesantezza di dosso.

 

Frasi più o meno melense sull’iniziare

 

Primo giorno di scuola. Anche se si insegna da qualche anno non ci si abitua mai. Io, almeno, spero di non abituarmi mai. Alla fine è sempre un’emozione. Però quest’anno… non so. Che fatica. Non ho fatto come quelli bravi che si sono preparati qualcosa per “stupire” gli alunni il primo giorno, o per dar loro il benvenuto. Non ho fatto come quelli sentimentali che mettono nello stato di whatsapp frasi più o meno melense sull’“iniziare”. Non ho fatto neanche come i cinici e i pessimisti che hanno già guardato vacanze e ponti dell’anno… insomma, non ho fatto niente. Non che ne vada fiero, ma è così. Ma (perché per fortuna c’è quasi sempre un “ma”, e a volte anche più di uno) quando entro nell’atrio resto colpito dalla confusione: dopo due anni di didattica a distanza, orari folli e ingressi separati la scuola sembra tornata alla sua rumorosa normalità.

I ragazzi si salutano, parlano, si spingono, si baciano… insomma, fanno i ragazzi. Mentre avanzo verso i corridoi del mio istituto mi viene incontro un gruppetto: ci metto un attimo a riconoscerli, sono i miei ex alunni di seconda! (Peccato “perderli” al triennio…) Un po’ per il fatto che non li ho mai visti senza mascherina (sigh!) un po’ perché sono cresciuti e cambiati resto un attimo smarrito, ma loro mi travolgono con un entusiasmo e un affetto che non merito e che mi rende felice. Ecco cosa mancava! Quel peso… era la scuola senza ragazzi, senza studenti: nessuno escluso, anche quello che avresti strozzato con il sorriso sulle labbra o l’altro che dormiva durante le ore di storia (e non per modo di dire). Hanno qualcosa, comunicano qualcosa, un modo, che non può che rendere felici.

Con il cuore reso leggero e con un animo inaspettato grazie a questo incontro entro nelle mie classi e sono contento di non aver preparato niente, perché è come se così potessi guardarli meglio, come se potessi nutrirmi della loro curiosità, delle loro domande.

Pensiamo sempre a trovare le risposte giuste, quando a volte dovremmo solo ascoltare davvero le domande. All’ultima ora mi aspetta la prima. Entro e si alzano tutti in piedi, so che perderanno col tempo questa bella e semplice forma di saluto e rispetto, ma intanto fa piacere.

 

La campanella salva: da cosa?

 

Mi siedo sulla cattedra, sorrido, li guardo. Loro guardano me, non capisco se sono più spaventati o curiosi (spero la seconda, anche se il desiderio segreto di ogni docente è di fare paura… almeno un po’). Prendo l’elenco degli alunni e mi ricordo del foglietto che ho sbrigativamente messo in borsa il giorno prima. Non so niente dei NAI. In realtà non so niente di nessuno! Allora via con le presentazioni. Inizio io.

Sono rigidi, intimiditi, non sanno cosa dire, ma bene o male tutti intervengono. Anche i NAI. Mohamed si avvale della traduzione di un altro Mohamed (in tutto in classe sono tre, già io faccio confusioni con i nomi… la vedo dura) mentre con Lucia è più difficile; io qualche parola di spagnolo la capisco, un paio di compagni lo hanno studiato alle medie, un po’ con intuito un po’ a gesti però alla fine ci capiamo. In realtà ci sono anche Karim e Denis che hanno bisogno di aiuto per parlare di sé ai compagni. La campanella salva l’ultima dell’elenco dal dover mettere alla prova la sua timidezza e tutti a casa.

Prima però cerco Sonia, voglio capire come mai sono quattro e non due che non parlano italiano… In tutto in classe ci sono 21 alunni, nove stranieri (almeno di origine) e quattro hanno grossi problemi a esprimersi in italiano. In una prima superiore non è esattamente il massimo.

Alla fine, scopro che Denis, un ragazzo rumeno, è arrivato in Italia due anni fa, ha frequentato due volte la terza media e quindi non può essere considerato NAI… quindi in teoria andrebbe “trattato” come se fosse sempre vissuto qui. Karim è nato in Italia… dopo un po’ di ricerche scopriamo che però ha frequentato le scuole in Egitto fino al 2020… ha fatto due anni a distanza e ora eccolo qui. Fantastico.

 

Lezione ed intervallo. Senza intervalli

 

Secondo giorno di scuola. (Tutti in piedi a salutare) Laura è seduta nel primo banco vicino alle finestre, da sola. Denis non mi sembra abbia problemi a comunicare, almeno con i compagni, mentre Mohamed è seduto in fondo con gli altri ragazzi egiziani. Cominciamo a conoscerci, il clima è un pochino più disteso di ieri e per cominciare leggiamo “Il Colombre” di Buzzati. Il protagonista passa tutta la vita a sfuggire il suo destino, la discussione che segue è interessante anche se intervengono sempre i soliti tre o quattro.

 

I giorni passano: i gruppetti si mischiano, i posti cambiano, all’intervallo i ragazzi parlano e giocano fra loro… è una bella classe, tranquilla, per ora non mi sembra ci si possa lamentare.

Nei giorni successivi i ragazzi si sciolgono sempre più, viene fuori il carattere di ognuno, non c’è più il timore dei primi giorni (ma si alzano ancora in piedi quando entro!) e si comincia a lavorare bene. Laura un po’ mi preoccupa. È sempre seduta da sola, spesso la vedo che si perde nel foglio in cui disegna o guardando fuori dalla finestra. Quanto è “colpa” della lingua e quanto è dovuto ad altro? Qualcuno ha detto che un adolescente che viene da un altro paese è straniero due volte. Credo sia proprio vero… difficile da capire se non lo si vive.

Intanto Sonia mi continua a mandare schede da compilare, test da sottoporre e cose simili perché dobbiamo produrre un pdp (piano didattico personalizzato), organizzare i corsi aggiuntivi di italiano e così via.

Poi una mattina entro in classe: Laura non c’è. Ah no! Quando si siedono mi accorgo che non è al solito posto! È assente una compagna (sono solo cinque ragazze in classe) e lei si è seduta di fianco a Valentina. Inizio la lezione e vedo che Laura e Valentina parlano sotto voce, Laura sorride; non mi sembra vero, infatti non le richiamo neppure. Ogni tanto lancio un’occhiata giusto per evitare che esagerino, ma in fondo sono contento. Quando spunta un cellulare, però, mi tocca richiamarle. A fine lezione Valentina viene alla cattedra seguita da Laura. Si scusa per il telefono, lo sa che non si può usare in classe, ma stava cercando di tradurre a Laura alcune cose e voleva usare il traduttore del telefono.

“Perché non me lo avete chiesto? Ma le stavi traducendo la lezione?”

Si guardano, ho la netta sensazione che Laura abbia capito benissimo e con gli occhi sembra chiedere a Valentina qualcosa, come di non tradirla. Percepisco l’imbarazzo…

“Va bene dai, non ti preoccupare – dico subito – comunque sono contento che abbiate fatto amicizia”.

Sorridono, anche se quello di Laura ha un’ombra che continuo a non capire.

 

A forza di corsi

 

E poi, ineluttabile, arriva: il giorno dei consigli di classe dedicati ai pdp, sia per i Bes (bisogni educativi speciali) sia per i Nai.

Intanto partiamo dagli esclusi: Denis e Karim sfuggono, loro malgrado, alle definizioni di legge e quindi niente. Con un po’ di insistenza alla fine concordiamo che possano comunque frequentare il corso di italiano e di avere un occhio di riguardo sulle valutazioni. Tutti d’accordo tranne la collega di inglese.

Leggiamo le diagnosi, i resoconti degli incontri con le famiglie, le pagelle e i giudizi degli anni precedenti, ma quello che risulta evidente è che di questi ragazzi, in realtà, sappiamo ben poco… e alcuni li considerano più un fastidio che altro. Io sollevo i miei dubbi, alcuni colleghi condividono le loro perplessità, non diverse dalle mie, soprattutto quando si parla di Laura. Mi chiedo cosa nasconda dietro i suoi silenzi. Qualcuno propone l’incontro con lo psicologo della scuola. A parte il piccolo dettaglio che lo psicologo non c’è, semplicemente perché ogni anno bisogna rifare la gara per assegnare il progetto e all’inizio dell’anno c’è ben altro a cui pensare, mi sembra un modo adulto ed elegante per spostare il problema senza affrontarlo.

Come sempre si conclude con un niente di fatto. Laura seguirà il suo bel corso integrativo di italiano, sarà dispensata dalle valutazioni e tante cose utili (lo penso davvero, senza ironia stavolta) ma è come se avessimo “sistemato”, incasellato il problema senza affrontarlo davvero. Magari sono solo paturnie, mi ripeto mentre torno a casa col solito senso di vuoto che ormai mi prende tutte le volte che sono a scuola senza gli studenti.

 

Se all’inizio della scuola sembra che i giorni durino settimane, novembre e dicembre sembra che durino giorni, così eccoci prossimi alle vacanze di Natale. Mohamed continua a parlare in arabo con i suoi amici e non c’è verso di fargli capire che non mi può salutare con “Ciao prof” tutte le volte che mi incrocia nei corridoi, ma è talmente simpatico che alla fine gli si perdona anche questo. Sarebbe interessante capire cosa passa davvero nella vita di un ragazzo egiziano di sedici anni che vive in Italia da poco… una schizofrenia mostruosa che Mohamed ogni tanto mi lascia intravedere nei suoi racconti e tra le righe disordinate dei suoi temi… ma alla fine il suo sorriso sembra poter comprendere tutto.

Laura ha fatto grandi passi avanti in italiano e in storia, è il vantaggio di chi proviene da paesi neolatini. Però Valentina è rimasta l’unica compagna con cui ha legato, so che si trovano anche fuori da scuola ma continuo a percepire qualcosa che non va.

 

Non siamo il tuo Colombre

 

Il rientro a gennaio dopo le vacanze è un momento drammatico e festoso allo stesso tempo. Noto subito che Valentina e Laura non siedono più vicine, anzi, non si parlano proprio. “Cose da ragazze”, penso, ma non basta come risposta. Come se non bastasse i compiti a casa non li ha svolti (e in questo è in numerosa compagnia) e le ultime prove prima degli scrutini stati un disastro. Lo scrutinio del primo quadrimestre è tremendo. Sono diversi i ragazzi con parecchie insufficienze e Laura è tra questi. Io dico che in fondo bisogna capire, che la ragazza fa fatica, racconto di come l’ho vista cambiata in peggio dopo le vacanze e che forse c’è qualcosa che non va… Apriti cielo! Io ho dei bravi colleghi, preparati, con esperienza, ma è come se non sapessero andare oltre all’esito, al voto. Alla fine Laura viene descritta come pigra, maleducata, svogliata e che se ne approfitta per la sua condizione di straniera neo giunta. Per fortuna alla fine della riunione un paio di colleghi mi raggiungono per dirmi che anche loro hanno notato un cambiamento, che condividono le mie preoccupazioni.

 

Laura è tornata da sola nel suo banco vicino alle finestre e non c’è verso di strapparle più di qualche monosillabo.

“Vale, mi accompagni in quinta? Vorrei chiederti una cosa”

Mentre ci avviamo insieme lungo il corridoio schivando i ritardatari che tornano nelle varie classi le chiedo: “Senti, magari non sono fatti miei, ma cosa è successo con Laura? Mi spiace…”

“Ho promesso di non dire niente a nessuno!” mi dice interrompendomi e fissandomi con gli occhi lucidi.

“Ok, non ti chiedo di raccontarmi i dettagli ma mi spiace che abbiate litigato, la tua amicizia le faceva più bene di tutti i nostri corsi e progetti messi insieme”

“Prof, lei non ha idea di cosa ha vissuto Laura, della sua storia. Io le ho detto che deve raccontare a qualcuno… farsi aiutare… ma lei ha detto che allora non poteva fidarsi di me e non mi ha più voluto parlare”.

Mentre provo a pensare cosa dire ecco che da dietro l’angolo compare proprio Laura. Le faccio segno di raggiungerci e insieme ci sediamo a uno dei tavoli che di solito ospitano i colloqui con i genitori.

“Tanto ho ora buca” dico mentre ci sediamo.

“Ma non doveva andare in quinta?”

 

Il rischio che vale

 

“Una piccola bugia. Volevo sapere cosa succede” e mi giro verso Laura. “Valentina non mi ha detto niente, tranquilla, ma si vede che c’è qualcosa che non va e io vorrei capire…”

“Cosa le interessa? Io studio italiano e storia…”

“Sì, è vero, ma a me interessi tu, non solo quello che sai”

“Non dovrebe” dice con la sua pronuncia spagnoleggiante.

“Perché no?”

Unirse alle persone è peligroso. Fa male. Io per esempio non voglio stare qui. Voglio tornare a casa. In Perù. Ma non posso. Mia mamma è scappata… ma non voglio dire”

“Va bene, se non vuoi raccontare non c’è problema, ma non puoi continuare a scappare, continuare a pensare che altrove staresti meglio. Capisco che tu possa avere nostalgia, far fatica, ma la tua vita ora è qua. Dovresti fidarti”

Es un riesgo

“Un riesgo… è vero, hai ragione. Ma un bel rischio”.

“La gente tradisce. Scappa”

“Non tutti. Io e Valentina siamo qui, con te”

“E non siamo il tuo Colombre – aggiunge Valentina con un sorriso – giusto prof?”

Sì, non siamo degli orrendi mostri marini… ma magari anche noi abbiamo una perla da offrirti… rischiare è l’unico modo per scoprirlo. Ma non significa chiudere gli occhi e tuffarsi, anzi! Significa avere occhi e orecchi spalancati e stare con chi ci aiuta, con chi ci ricorda che quello che vogliamo, alla fin fine, è essere felici. Intiendes?”

Adesso è Laura a ridere per il mio spagnolo approssimativo. Mi dicono che devono tornare in classe se no rischiano la nota. Decido di accompagnarle per spiegare al collega che erano con me, quindi chiudo la porta della classe e me ne vado. Non so cosa accadrà, non so cosa portino nel cuore Laura, Valentina e gli altri ragazzi, ma so che non c’è nulla di più ragionevole che affrontare questo bel rischio insieme.

 


Immagini:

– (1) ©Lucia Laura Esposto
– (3) ©Marina Lo Russo Astino
– (4) Ragazzi ©Marina Lo Russo
– (5) Milano ballo in Metropolitana ©Corriere Web Milano