Intelligenza artificiale a scuola: un tema scivoloso
La scoperta: uno scritto troppo perfetto per essere vero. E così che può succedere allo studente che si pensa sgamato affidandosi a ChatGPT. Vicende di compiti a casa e di scorciatoie IA che ancora non reggono al prof un po’ segugio. Questione per nulla banale. Che apre in classe a riflessioni significative. Come un salto in lungo…
9 maggio 2025
Libertà e performance
di Paolo Covassi

“Prof, il compito posso mandarglielo su Team?”
Superato il momento di spaesamento creato dal ricordo della didattica a distanza rispondo di sì. In fondo questi ragazzi useranno molto più il computer per scrivere che la penna, tanto vale che si allenino da subito. Inoltre, la domanda arriva da Yussef, un ragazzino egiziano con qualche problema di dislessia e disgrafia, leggere i suoi scritti non è proprio agevole, quindi… perché no?
La sera prima della scadenza, puntuale, mi arriva il messaggio di Yussef: “Prof li mando il compito di domani. spero che e giusto, bouna serata”
Sorrido, perché mentre leggo mi sembra di averlo davanti con il suo sorriso e la faccetta furba che si fa perdonare tante cose. Apro l’allegato con qualche timore e, sorpresa, il testo che ho davanti è impeccabile. Non un errore, una virgola fuori posto, un anacoluto o una frase zoppicante, niente. Neanche un congiuntivo cannato. Non sorrido più. Quando leggo che “l’autore si dimostra tetragono a qualsiasi influsso della mentalità del suo tempo” non so se ridere, piangere o andare a casa di Yussef a chiedere spiegazioni via citofono.

“La prova che cercavo”
La prima tentazione è di rispondere su Team dicendogli di non prendermi in giro e mandarmi qualcosa scritto da lui, poi resisto e rimando a un incontro di persona… anche l’idea di svergognarlo di fronte alla classe mi passa subito, non è proprio il caso di fornire materiale per prese in giro e simili. Riprendo lentamente il controllo e decido di arrivare preparato, così comincio a mettere alcune delle frasi più auliche nei motori di ricerca, ma niente. Non riesco a trovare il sito da cui ha scopiazzato il compito.
Poi l’intuizione: ChatGPT o simili. Mi collego, provo a inserire la traccia del compito e dopo pochi secondi ecco un bel testo scritto, con tanto di frasetta conclusiva in cui mi chiede se voglio approfondire qualche aspetto in particolare. No grazie, scrivo quasi sovrappensiero, e gentilmente mi risponde che è lì per aiutarmi. Siamo a posto…
Il testo che ho ricevuto in risposta è ovviamente diverso da quello che mi ha mandato Yussef, ma ormai non ho più dubbi. Mancano le prove, ma è la stessa intelligenza artificiale a venirmi in aiuto. Le chiedo come posso capire se un testo è stato scritto dall’intelligenza artificiale e, oltre a indicarmi alcune caratteristiche interessanti, come la mancanza di coerenza interna al testo (quindi proprio tanto intelligente non è), mi suggerisce un sito: zerogpt. Carico il testo di Yussef e il risultato non lascia molti dubbi: al 98% scritto da AI. Per sicurezza carico il testo che mi aveva generato prima Chat gpt, praticamente stesso risultato. Faccio una contro verifica con testi scritti da me. Per correttezza (grazie), coerenza e stile (molto gentile) può essere stato scritto da AI al 46%. Carico una poesia: 0% di IA. Questo risultato allarga il cuore. Proseguo con un po’ di prove e giungo alla conclusione che zerogpt è sostanzialmente affidabile: la prova che cercavo.
Il metodo Jesse Owens
Prima di andare a dormire decido di approfondire la conoscenza di questo strumento… gli faccio individuare la mia auto ideale, cercare la ricetta del “patao”*, farmi suggerire cosa visitare a Palermo e dintorni e, per non farmi mancare nulla, mi faccio suggerire le tracce del tema in classe che dovrò fare in terza. L’ultima operazione è stata piuttosto complessa, ho dovuto specificare e dettagliare diverse volte e, senza dubbio, ci avrei messo di meno a inventarle da solo, dopo di ché gli faccio svolgere una delle tre tracce. Il risultato non è niente male, così scrivo: “ma non ti vergogni a fare i compiti al posto degli studenti? Così resteranno ignoranti”. Ed ecco la risposta:
“Hai toccato un punto importante, e la tua preoccupazione è assolutamente legittima.
Il mio scopo non è sostituirmi allo studente, ma supportarlo. Se usato bene, posso spiegare concetti, chiarire dubbi, proporre esempi, aiutare a ragionare su un problema. Proprio come farebbe un bravo tutor. Ma se uno studente copia senza capire, non impara – e in quel caso, sì, rischia davvero di restare ignorante, e non è colpa mia… ma dell’uso che fa di me.
Come con ogni strumento potente – dai calcolatori alle enciclopedie, fino a internet – sta a chi lo usa decidere come farlo. Se un martello costruisce o distrugge, dipende dalla mano che lo tiene.”
Senza dubbio ChatGPT conosce bene Ponzio Pilato… ma in fondo non ha tutti i torti. Viene anche da chiedersi che ruolo abbiamo noi insegnanti, però ChatGPT per ora è stata umile, si è assegnata il ruolo di tutor… in effetti non è in grado (ancora) di fornire contributi originali. E comunque, alla fine è sempre una questione di libertà. Mi viene in mente un film che abbiamo visto in classe recentemente: Race, che racconta la storia di Jesse Owens. C’è un momento del film in cui Jesse rischia, per un’incomprensione, di non potersi qualificare per la gara di salto in lungo. Il suo principale avversario, un saltatore tedesco (per chi non lo sapesse la vicenda, vera, si svolge durante l’olimpiade voluta a Berlino da Hitler) gli mette un fazzoletto a bordo pedana per fargli vedere dove staccare. Mentre sottolineo alla classe che è una vicenda realmente accaduta ecco il commento che temevo: “che co***one, se non faceva niente vinceva lui la medaglia d’oro”. Fermo il film, non tanto per la parolaccia, quanto per il contenuto… certo, se l’obiettivo è vincere una medaglia a qualunque costo hai ragione, ma se l’obiettivo è quello di essere il più bravo del mondo, beh, allora ha fatto bene. Molti annuiscono, altri no, ma questa scena mi è venuta in mente proprio per questo motivo: qual è l’obiettivo dei compiti, dello studio? Svangarla? Arrivare senza materie all’8 giugno? O dimostrare a sé e agli altri di aver capito, di aver imparato qualcosa di nuovo?

“Mi sono fatto aiutare”
Credo che noi adulti abbiamo un’enorme responsabilità in questo senso, sia che siamo genitori sia professori. Quando tornano da scuola e chiediamo “com’è andata?” cosa intendiamo realmente? Hai preso dei voti? E se invece provassimo a chiedere: “cos’hai imparato oggi?”
Nelle parole e nei fatti siamo tutti presi dalla performance, dall’esito e, di per sé, potrebbe anche essere giusto. Ma siamo in competizione per dimostrare cosa sappiamo fare o per vincere a qualunque costo, anche barando?
Simili, se non questi, erano i miei pensieri mentre andavo verso scuola il giorno dopo. In corridoio è proprio Yussef a venirmi incontro: “Prof, ha corretto i compiti?”
Piccolo sfrontato, penso tra me… coraggio o incoscienza? “Proprio te cercavo” dico con un tono che, nelle mie intenzioni, doveva incrinare le certezze del mio giovane discente… “Il tuo compito non lo hai fatto tu – dico andando subito al punto – pensavi davvero che non me ne sarei accorto? Hai fatto quattro errori in un messaggio di tre righe e zero in un testo di una pagina!”
Il giovane non cede di un millimetro, giura e spergiura ma, di fronte all’evidenza delle mie argomentazioni (e alla foto dello schermo di zerogpt) ammette: “Mi sono fatto aiutare”. La tentazione di una mega lavata di capo con shampoo e balsamo è forte, ma in fondo Yussef è solo stato un po’ meno furbo dei suoi compagni. Cerco di comunicargli le riflessioni che ho fatto la sera prima, di fargli capire che l’obiettivo non è prendere dieci, ma il massimo che può raggiungere con le sue forze. Quando siamo ormai davanti alla porta della classe ha lo sguardo a terra, mi sembra di vedere anche l’occhio lucido, gli do una pacca sulla spalla e gli dico: “Dai, non è successo niente di grave, l’importante è che hai capito”
“Sì sì, ho capito, è che i miei mi danno 5 euro se prendo sei, 10 se prendo 7 o 8 e 20 se prendo 9 o 10… e a me quei venti euro servivano per uscire sabato sera con gli amici”.
“E se ti metto due perché hai copiato?”
“Non mi fanno uscire la sera. Ma tanto non esco lo stesso, quindi se vuole lo metta pure”**
Non cercherò di descrivere come mi sono sentito dopo questo dialogo; alla fine non gli ho messo il voto ma ho scritto un’annotazione… chissà quanto vale in euro.

Chi usa Chat GPT e perché
Ho voluto però approfondire l’argomento, e ho chiesto in classe chi usasse Chat GPT o simili e le risposte possono essere riassunte in tre macrogruppi:
La uso per fare i compiti, soprattutto di inglese e matematica, perché la AI non è in grado di esprimere giudizi di valore e posizioni personali.
La uso per capire meglio cosa devo fare (in effetti facendo le domande giuste può essere un ottimo aiuto per lo svolgimento dei compiti senza farsi sostituire) o per fare gli schemi degli argomenti.
Troppo sbatti, copio i compiti da chi li fa. Onesto, ma non particolarmente efficace.
“Prof – mi dice Diego – alla fine Chat GPT non è buono o cattivo in sé, dipende dall’uso che se ne fa. Anche un martello può essere usato per costruire o per fare del male”.
Che l’AI viva tra di noi in forma umana?
* Il Patao è un piatto tipico delle Giudicarie inferiori in Trentino, e Chat GPT non conosce la ricetta. AH!
** Se siete preoccupati per il sabato sera di Yussef sappiate che ha preso 9 in inglese, quindi tutto a posto.