James Lee Burke: la letteratura che si scotta con il senso ultimo delle cose  

Uno dei massimi scrittori nordamericani viventi è un autore ancora troppo poco conosciuto in Italia. Eppure, scrive come pochissimi. Per lui reggono paragoni con Faulkner, Flannery O’ Connor, Cormac McCarthy. Le sue pagine hanno una potenza morale che scoperchia e sorprende le tranquillità. Nelle storie che racconta il bisogno di salvezza passa nei sentieri corrotti e corrosivi della vita. Texano antico e molto contemporaneo, cattolico viscerale, si assume la responsabilità artistica di sferzare la realtà facendo uscire il noir dalla cornice di genere.  

      


17 novembre 2023
Il dilemma bene – male
di Walter Gatti

James Lee Burke

La Louisiana e la morte, l’ovvietà del male e la vastità inesausta delle sue radici, l’incomprensibile bisogno di salvezza e la descrizione di una natura tanto bella quanto impassibile di fronte al destino degli innocenti: ogni pagina di James Lee Burke porta con sé la totalità immensa e profonda della vita quotidiana, nel suo rapporto con il passato, con il futuro, con gli incubi, con gli altri e con l’Altro. Già, Burke: chi è costui?

Copertina Iberia Blues di James Lee Burke – Copertina libro italiano di James Lee Burke

Un piede nella pietà e uno nella violenza

Per chi non lo avesse mai frequentato, James Lee Burke è uno dei massimi scrittori nordamericani viventi, ascritto per semplicità nella categoria del “noir”, ma che è da tempo fuoriuscito dalla cornice del genere per via di una potenza morale che reinterpreta l’epica di Dostoevskij e Melville, e riprende lo stile di William Faulkner e Flannery O’Connor (caposaldi della letteratura del Sud degli States).
Nato a Houston nel 1936, James Lee è un autore da oltre quaranta titoli in una carriera iniziata nel 1965 e continuata inarrestabile soprattutto dopo aver avviato a metà degli anni ‘80 la saga di Dave Robicheaux, detective della Louisiana. Investigatore con un piede nella pietà e uno nella violenza, circondato da ogni sfumatura (anche le peggiori) dell’umanità contemporanea, Robicheaux è un ex poliziotto francofono di New Iberia (quaranta miglia ad ovest di New Orleans), credente cattolico in un mondo di stupratori, spacciatori, depravati e innocenti mandati al massacro a causa della loro povertà o debolezza.

Copertina libro Gesù dell’uragano e altre storie – ed Jimenez – James Lee Burke

Vicende al limite del sopportabile

In Italia, dove Burke non gode di fama e vendite decenti, è Jimenez editore che sta riproponendo da un paio di anni la sua opera, dopo anni di silenzio editoriale (era nei Gialli Mondadori, poi in Meridiano Zero, poi Baldini e Castoldi e Fanucci, poi il nulla). Il nuovo editore ha meritoriamente cominciato con la raccolta di racconti Gesù nell’uragano, una carrellata mozzafiato di vicende brevi che si conclude con una visione apocalittica e salvifica che Tarkovskij avrebbe sicuramente preso in considerazione per uno dei suoi capolavori: due mezzi sbandati che si salvano nell’onda dell’uragano Katrina (che ha distrutto Florida e New Orleans nel 2005) aggrappati ad un crocifisso di legno che galleggia inconsapevole (o forse no) sulle onde della risacca.
Ora sono usciti anche in Italia due suoi eccezionali romanzi, Robicheaux e New Iberia Blues, che hanno sempre il detective della Louisiana come protagonista principale. Nel primo il dilemma bene-male si esprime nel terrore del poliziotto che, mentre cerca di assicurare giustizia, scopre di poter essere lui stesso il colpevole-vendicatore di fatti di dolore brutale e morte.
Nel secondo le antiche amicizie tra Robicheaux e gente della sua terra, emergono in tutta la loro ambiguità e incertezza morale, introducendo quegli elementi di dubbio oscuro sulla fratellanza e sull’omertà che solo una luce esterna può illuminare e dissipare (non prima di aver seppellito donne sacrificate sull’altare di un razzismo inestirpabile). Figlio di un cattolicesimo americano radicato nelle povertà sociali e nelle figure povere ed ecumeniche (in primis Giovanni XXIII e Dorothy Day, come mi ha dichiarato lo stesso Burke in un’intervista che ho avuto la fortuna di realizzare con lui nel 2008) lo scrittore di Houston confeziona sempre vicende al limite del sopportabile, governando il brivido con una poetica descrittiva cinematografica, in cui la pennellata per delineare il romanticismo dei tramonti sulle bouganville della Louisiana lascia spazio all’odore da obitorio, rivoltante quanto un interrogativo irrisolto.

James Lee Burke

Inarrivabile narratore esistenziale ed etico

Personalmente credo che nessuno, tra quelli in circolazione, abbia oggi la qualità e densità di scrittura, associata alla forza di riflessione sulla persona e sulla sua ansia di senso di Cormac McCarthy (Il passeggero e Stella Maris lo confermano, anche se forse non raggiungono l’intensità di Non è un paese per vecchi, La strada e di Meridiano di sangue, pur superandola in complessità), di Jon Fosse (fresco premio Nobel grazie ad una narrazione rocciosa dalla densità beckettiana), di Michel Houellebecq (con il suo nichilismo che gronda necessità di speranza fin nelle pieghe dell’ultimo Annientare) e – appunto di James Lee Burke.
Quest’ultimo a ogni uscita si conferma come inarrivabile narratore esistenziale ed etico, dove il “Sud”, è un riferimento simbolico, terra che miscela senza tregua bontà viscerale e sangue rinsecchito, modello di ogni terra e di ogni tempo, un Eden in cui la bellezza s’è inacidita per colpa di assassini e peccati, in cui virtù e vizio continuano a confrontarsi senza tregua. Non a caso il suo ultimo romanzo, Flags on the bajou (inedito in Italia per ora), è ambientato in Louisiana nei giorni tristi della guerra di secessione, dove sudisti e nordisti si affrontano (coinvolgendo donne, bambini, malfattori, soldati ignari, ufficiali dementi e gente rispettabile) in nome di cause più o meno nobili, e dove non è la vittoria in battaglia, bensì la nobiltà d’animo a fare la differenza.
Uno sguardo sulla Secessione (una robetta da circa 800mila morti) di rara potenza e compassione, da cui emergono integre solo le persone – non importa se bianchi, neri, confederati o unionisti – che sanno guardare l’altro senza violenza, con pietà e rispetto, e con un senso della vita e del mistero in cui tutti siamo avvolti.
Uno sguardo che Burke estende su tutti i suoi lavori, tra violenza mafiosa e presenze magiche, evocazioni di sciamani pellerossa, poliziotti corrotti e pianure di indimenticabile bellezza, aiutandoci a scoprire una letteratura che ancora oggi ha la forza di porre questioni che riguardano il senso ultimo, doloroso, definitivo, spiazzante, delle cose.