La carità si rallegra della verità e non gode dell’ingiustizia

La missione di sette suore in un convento della periferia di Roma città aperta: nascondere 12 ebrei donne, uomini e piccoli. Ma con i nazisti, all’improvviso, ospiti indesiderati. Si intitola “Il secondo piano” (Ponte alle Grazie) il nuovo romanzo di Ritanna Armeni, giornalista e scrittrice. Una storia vera, avvincente, sconosciuta. Un inno alla carità in un tempo dove la violenza calpesta tutto. Un inno alla carità che salva grazie all’impegno gratuito di religiose che amano il Signore, la Chiesa e i tutti i fratelli. Una storia vera. Che testimonia un fatto: oltre quattromila ebrei vengono nascosti in monasteri e conventi durante l’occupazione nazista della città eterna. E salvati. Un libro da leggere nel Giorno della Memoria.   


27 gennaio 2023
di Enzo Manes

La giornalista e scrittrice Ritanna Armeni

«Tutto si osa quando si ama Dio e il prossimo in Dio». In un piccolo convento di monache, poco lontano dalla via Salaria, arteria consolare che va verso l’Adriatico, germoglia quel pensiero così semplice, affilato, caritatevole nel silenzio di un giardino profumato e sempre ben curato. Suor Ignazia è la madre superiora che guida la piccola comunità di sei sorelle nel convento delle Francescane della Misericordia. Lei, che non spende mai una parola più del dovuto, quell’osare per amore del Signore e dei fratelli, lo dona a sé e alle altre religiose per un richiamo vicendevole alla radice della dura e pericolosa prova che accettano di vivere.

Copertina del libro “Il secondo piano”

Monache invisibili

Siamo nella periferia di Roma nell’ottobre del 1943 con la città eterna occupata dalle truppe naziste. Le suore hanno da poco deciso di ospitare sette ebrei in fuga dal Ghetto dopo il rastrellamento che ne porta 1293 alla cattura e alla deportazione. In quei mesi, altri conventi della Capitale ospitano ebrei impauriti e quasi increduli della tragedia che li riguarda. Hanno aperto i cancelli a sorelle e fratelli che subiscono l’onta della persecuzione. Sono per lo più suore e monache che durante l’occupazione tedesca salvano tra i quattromila e i cinquemila ebrei. Li nascondono, li sfamano, li proteggono a proprio rischio e pericolo. Storie poco conosciute, poco reclamizzate. Ritanna Armeni, giornalista e scrittrice (ha lavorato a Rinascita, Il manifesto, l’Unità, Liberazione e poi capo ufficio stampa di Fausto Bertinotti) ha intercettato la storia che si consuma nel piccolo convento delle Francescane della Misericordia facendone un romanzo che appassiona e commuove. Sette monache invisibili che provano a tener viva la luce della speranza quando a Roma parrebbe spegnersi, ottenebrata dalla furia degli occupanti.

In principio sono sette ebrei, se ne aggiungeranno altri cinque. Donne, uomini, bambini. Le monache li sistemano al secondo piano. Loro al primo piano dove, oltre alle stanze per il riposo, vi è la cappella per la preghiera. A piano terra la cucina, il locale adibito a scuola per i figli delle famiglie di quella periferia. Ma i tedeschi le obbligano a fornire spazi da adibire alla propria infermeria. E così il convento si ritrova con al piano terra i nazisti e al secondo piano gli ebrei. Loro, le monache, in mezzo. Una situazione terribile. Ogni istante potrebbe rivelarsi quello della fine. La storia è avvincente. Le monache sono l’espressione della messa in pratica della carità secondo l’intuizione di san Paolo nella Prima lettera ai Corinzi: «Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità: ma di tutte più grande è la carità».

Ebrei a Roma, rastrellamenti, 1944

Sempre con i perseguitati

Man mano le religiose conosciamo meglio. Ne cogliamo le paure, i patemi, la decisione, la prudenza: in ogni momento del giorno e della notte può succedere di tutto. Le suore è come se fossero sempre al secondo piano con i fratelli maggiori. Anche quando costrette a servire i nazisti il loro cuore, la loro intelligenza sono con i perseguitati. Armeni ha una scrittura sicura e avvolgente. Fa vivere quel che descrive. Si avverte tutta la sua simpatia per quelle religiose così coraggiose. Così eversive nel loro opporre un ordine al disordine prodotto dall’ideologia che punta ad annientare la diversità.

Nella Roma città aperta del 43 – 44 monache e suore introducono la vivacità sorprendente di un pensiero femminile rigoglioso, entusiasta e caritatevole nell’affidarsi fedele all’evento sempre rigenerantesi del sepolcro vuoto. La presenza del mistero che abbraccia all’interno del convento si fa compagnia che trasforma, fortifica, infonde coraggio, accende l’astuzia, accresce la verità del sentirsi madri. Quell’unità scompagina il corso derelitto delle cose. Ricentra, affina, sussulta, agisce. E poi c’è il papa, Pio XII, che sa quel che nei conventi, monasteri, chiese avviene. Senza la sua approvazione e benedizione è impensabile che possa succedere quel concorso così diffuso di carità. Quella silenziosa protezione verso gli ebrei impauriti che paiono udire lo sferragliare dei treni che portano i più sventurati al supplizio dei campi di sterminio. Madre Ignazia manda indietro obiezioni e sospetti circa la pavidità del Santo Padre. No, quel mal pensare non fa per lei. Non ha tempo da perdere: «Devo fare un atto di umiltà, devo avere fiducia. C’è chi sa più di me, c’è il Santo Padre che ci guida, io ho una missione da portare a termine. Con l’aiuto della Vergine devo proteggere le sorelle e i nostri ospiti. A lei affido i miei pensieri e i miei timori».

La preoccupazione del Vaticano

Nel romanzo partecipiamo soprattutto della vicenda della piccola Roma dentro quel preciso convento ma, ciò che avviene fuori, in città, è parte integrante della storia. E anche le suore sanno. Sono tenute informate dal sacerdote che va a celebrare la Santa Messa. Per Armeni non vi è separazione, perché non può esserci. Ecco allora descritte le azioni della lotta partigiana, la Roma dell’eccidio delle Fosse Ardeatine susseguente l’attentato in via Rasella; vi è l’eco delle angherie e delle torture nel carcere in via Tasso come le voci che si rincorrono fra la popolazione stanca e affamata a proposito della lenta avanzata degli alleati che faticano, forse troppo, a superare la linea Gustav. Vi è la preoccupazione del Vaticano e il suo continuo attivare diplomatico. Come vi sono le violenze quotidiane dei nazisti che abbattono portoni e cancelli di luoghi religiosi per scovare ebrei, oppositori politici e varia umanità in pericolo. I fatti storici più eclatanti che feriscono Roma nell’arco temporale che abbraccia la storia, ovvero da ottobre del ’43 a giugno del ’44 quando la città viene liberata dall’invasore, l’autrice li pone in risalto ricorrendo a corsivi che in sintesi, e qui quasi nella forma giornalistica e dunque ridotta all’ essenziale quasi da dispaccio stampa, offrono un esauriente quadro della drammaticità di quel presente, di quella strategia dell’orrore e del terrore.

Pio XII durante la sua visita agli abitanti del quartiere di San Lorenzo a Roma distrutto dai bombardamenti nel luglio del 1943 – Ansa

Donne innamorate di Cristo: francescana gratuità

Quel che sorprende, passo passo che la lettura avanza, è la profonda tenerezza e quasi lo stupore che dimostra Armeni verso quel piccolo manipolo di religiose piene di vita. Non le racconta come fossero eroine. Le racconta e le fa vivere per quello che sono nella realtà: donne innamorate di Cristo e della Chiesa. Donne libere, audaci, al servizio della verità. Per loro la messa in atto della carità è qualcosa di differente da un mettersi semplicemente in azione. La carità è virtù che mette i brividi talmente vera, talmente ambiziosa nel suo intrufolarsi nell’animo umano. Continuamente alimentata dallo scandire armonico della preghiera. Madre Ignazia, suor Emilia, suor Elisabetta, suor Benedetta, suor Grazia, suor Maria Rita, la novizia suor Lina non puntano certo ad ottenere una ricompensa secondo i canoni che, più o meno, ci è dato di conoscere. Però puntano a vincere la sfida, quella difficilissima prova. La carità, ci pare di cogliere, nelle dinamiche religiose si attua in tutto; si sono date la responsabilità di occupare la prima linea, di “combattere” nella loro linea gotica. Con la massima concentrazione per evitare di commettere errori che potrebbero rivelarsi fatali. Madre Ignazia nel suo diario fotografa così: «I tedeschi al piano terra, gli ebrei al secondo piano. Due rampe di scale, pochi metri. In mezzo ci siamo noi. Dio ci aiuti».

“Il secondo piano” è un testo che concede pochissime soste. Che certo non cerchiamo. Ogni pagina è una corsa ragionata, palpitante, pensante. Un romanzo di storia minima in pieno e totale sincrono con la Giornata della Memoria. Un ritratto partecipato di francescana gratuità disegnato da sette invisibili monache che si rallegrano della verità e non godono dell’ingiustizia.