La nebbia umana può diradarsi

L’ultimo romanzo di Roberto Perrone, morto solo qualche mese fa, è un’incursione nelle cose vere della vita attraverso il racconto di un incontro, non certo voluto, tra una giornalista in carriera e un monsignore grande studioso del volto di Cristo nell’arte. Il libro, appena uscito, si intitola “La vita che non voglio” (HarpersCollins). Un romanzo commovente, che scalda. Di speranza concreta. Un invito a desiderare e scegliere finalmente quel che vogliamo per davvero.


7 Luglio 2023
Editoriale

Foto ©Saul Leiter Street photography

Lei: si chiama Maddalena, poco più di trent’anni, ma per tutti (quasi) è solo Lena, milanese, una robusta famiglia borghese, fa la giornalista in un importante quotidiano, «dopo l’afa, le code e il pesce in carpione, odia i proverbi»; lui: si chiama Patrick Kessler, tedesco, è un monsignore, vescovo a Mainz (Magonza) assai prossimo alla pensione, teologo, studioso di fama internazionale di immagini sacre, reliquie, volti di Cristo in specie il Volto Santo che si trova a Manoppello, santuario nel cuore dell’Abruzzo, provincia di Pescara, «sovrapponibile in modo quasi perfetto a quello della più famosa Sindone, conservata a Torino».
I due non si conoscono affatto. Niente condividono nei valori, così sembrerebbe. Una circostanza li costringe a incontrarsi: Lena e monsignor Patrick hanno un’amica in comune, non sapendolo: Ani. La donna, vedova, ha un’accogliente casa in quel di Trapani. Ed è lì che saranno costretti a conoscersi quella giornalista e quel prete. Lena ha chiesto ospitalità all’amica perché è in fuga da un presente che la inquieta, la manda in confusione; padre Kessler si è rivolto ad Ani perché anche lui è in ambasce, in fuga da una situazione che lo ha messo con le spalle al muro per scarsa confidenza con le cose concrete. Due vite zoppicanti che chiederebbero riparo, qualche giorno per provare a mettere un po’ d’ordine ai propri pensieri che certo lo meritano.

Foto ©Saul Leiter, street-photography

Due racconti lunghi tutta una notte

Succede che Ani viene ricoverata d’urgenza per appendicite finita in peritonite. E così, la giornalista e il prete sono obbligati a condividere lo stesso tetto senza la padrona di casa. Due persone diverse, due esistenze segnate, due volti impegnati per forza di cose a scrutarsi, prendere le misure. L’alternativa è fuggire anche da Trapani, ma come si fa con la cara Ani in ospedale? Così accettano di rimanere, più lei convintasi a fatica a quella convivenza. In una lunga notte accadrà l’inatteso, o forse atteso in quei due cuori feriti. Decidono di raccontarsi la propria vita.
Sinceri fino in fondo accettando di rispondere a tutte le domande che ora lei e ora lui si fanno per comprendere meglio, per non trascurare nulla, per arrivare al punto. Al punto che spieghi la ragione delle rispettive fughe.
In quel dirsi tutto è come se i loro volti prendessero una forma più autentica, domandassero una responsabilità sulla vita piena, vitale, finalmente serena. Si sorprendono della sintonia umana.
Quel dialogo notturno così fecondo offrirà loro una novità, impegnativa, vera, com’è la vita quando si decide di non fuggirla. Tuttavia, come viene dimostrato, le rispettive fughe li hanno portato lì, senza quel distacco, anche doloroso, l’incontro trapanese non sarebbe accaduto. Quelle fughe contengono domande, la ricerca di una compiutezza dettata da scelte responsabili. Un desiderio che trova soddisfazione nella verità della vita.

Foto ©Saul Leiter, Street-photography

Il gusto per la vita

Questa storia che commuove è l’ultimo dono di Roberto Perrone, lo scrittore, il giornalista, l’amico, morto qualche mese fa, nel gennaio del 2023. Il romanzo si intitola “La vita che non voglio” (HarperCollins), ultimato nella prima stesura ma senza che abbia avuto il tempo di rivederlo, riguardarlo. Ma «grazie alla preziosa collaborazione di sua moglie Emanuela Carbone, abbiamo però potuto condurre una revisione del testo, cercando di intervenire il meno possibile, per non alterare la voce, inconfondibile, di Perrone», spiega l’editore nella nota iniziale.
È un libro di nebbia umana, di solitudini che porterebbero alla conclusione che tutto è fermo, bloccato. E, invece, come canta Luciano Ligabue «la tua ruota girerà. Sopra il giorno di dolore che uno ha».
I volti che nel romanzo si parlano mettono in crisi la vittoria della solitudine, i volti che si vedono bene indicano quanto sia stretta la via quando prevale l’incapacità di allontanarsi da ciò che non vogliamo. Che non fa il nostro bene.
Perrone, con questo dono, racconta che la nebbia umana c’è ma può anche diradarsi. Una speranza molto concreta. Come è il gusto per la vita.