La presenza di Gesù, mistero senza fine bello

La cultura vera ha saputo misurarsi con il mistero dell’incarnazione, con il contenuto dell’annuncio cristiano che coincide con la persona stessa di Cristo. In un presente impegnato per lo più a frantumare certezze, a mettere fuori dalla storia ciò che non corrisponde, resta affascinante la sfida di incontrare nel “qui ed ora” quell’Uomo che ha detto di essere Dio. La straordinaria lezione del regista Theodor Dreyer e la storia di un film su Gesù che mai ha visto la luce.


22 marzo 2024
Editoriale

A sinistra Carl Theodor Dreyer, a destra Daumier Ecce Homo

Certo, parlare oggi del mistero dell’incarnazione come vicenda storica e insieme salvifica appare proprio come un pronunciarsi francamente osé. Accettarne tutto il portato di questi tempi parrebbe come andare nello spazio con un’utilitaria. Eppure, il mistero dell’incarnazione è un fatto che insiste perché ci sono uomini ragionevolmente cocciuti.
La Pasqua è a un passo. La Passione è qui. La morte di quell’incarnato è fra poche ore. Questione interessante per uomini che si lasciano ancora toccare da quell’uomo audacissimo. Dircelo al presente fa sempre un certo effetto. Perché si tratta di riconoscere che il contenuto dell’annuncio cristiano “era la sua persona stessa: Cristo”. Don Luigi Giussani, per dire, ha fatto suo il primo osare, la mossa del Padre divenuta annuncio. Si è lasciato sfidare da quell’annuncio incredibile: Dio nella storia; Dio incarnato: Gesù. La presenza, ecco. Lui, che si è innamorato ogni volta di quella presenza perché teneva al cuore dell’altro, delle altre persone.
Lui che ha reso testimonianza della bellezza di quella presenza che si disponeva come proposta di vita per ciascuno e perciò per tutti.
Una presenza così originale al punto da intercettare equilibri e squilibri dell’umanità.

Il film mancato

La passione, la morte e la resurrezione di Gesù Cristo è una vicenda che non può essere buttata fuori dalla storia una volta per tutti. Tanti insospettabili con Gesù ci hanno fatto i conti. Forse perché in quella presenza hanno avvertito una chance di speranza per l’uomo in un mondo appiattito sull’assenza. Di Pier Paolo Pasolini è noto il suo corpo a corpo quotidiano con Gesù. E il suo “Vangelo secondo Matteo” è infatti molto più di tributo morale. E pensare che quel film mai avrebbe dovuto venire alla luce. Pasolini decise di cimentarsi nell’ardua impresa per via di una celebre rinuncia. Carl Theodor Dreyer, il grande cineasta danese, fin dagli anni trenta aveva pensato a realizzare un film su Gesù. Lavorò praticamente tutta la vita alla sceneggiatura, ci teneva moltissimo, lui che era un cristiano riformato della chiesa luterana pur poco o per nulla frequentante. Come si sa, Dreyer ha portato al cinema quasi esclusivamente temi legati alla fede, alla religiosità. Gli interessava quello, gli premeva indagare su quello.  Federico Fellini ha scritto non a caso: «I film di Dreyer, così rigorosi, casti, austeri, mi sembrano arrivare da una mitica terra lontana e ai miei occhi il loro creatore è una specie di artista – santo». E così dal film mancato di Dreyer (la Rai ne aveva acquisito i diritti nel 1967, ma l’anno dopo il regista morirà) abbiamo avuto l’opera di Pasolini.

Via Crucis di Comunione e Liberazione, Caravaggio

Il corpo ucciso, ma il suo Spirito viveva

Tuttavia qualcosa di corposo della fatica di Dreyer ci ha raggiunti. La casa editrice Iperborea, lo scorso anno, ha pubblicato la sceneggiatura del non film che si sarebbe dovuto intitolare: Gesù. In quelle pagine si rintraccia la vivacità combattuta del grande regista nordico. La scomodità di Gesù, il suo pensare per il bene, mai incline all’atteggiamento ostile. Dreyer ha in mente il popolo ebraico che sta soffrendo sotto il giogo nazista e quindi mai gli attribuisce la responsabilità della condanna a morte di Gesù, facendola piuttosto ricadere sulle spalle dell’occupante romano.
Il libro è una prelibatezza per gli amanti del cinema, per il racconto dettagliato delle scene che l’autore avrebbe immaginato con il ciak, motore, azione. Ma non solo per loro.
È ricchezza poter imbattersi in un testo così fortemente aggrappato alla persona di Gesù Cristo. E scoprire come Dreyer racconta della Passione e della morte. In quel cammino straziante Gesù è quasi da solo.
Come se tutto d’intorno a lui fosse ormai assenza. Un annuncio di salvezza quasi strozzato. Non c’è spazio per la Resurrezione, non viene detta parola di quel mistero. In questo c’è l’evidenza del Dreyer “riformato”.
Ecco come descrive: «La croce di Gesù viene inquadrata da un’altra angolatura. Il centurione e i soldati si avvicinano alla croce. Era compito del centurione assicurarsi che i crocefissi fossero effettivamente morti. Egli ordina a un soldato di trafiggere il costato di Gesù con la lancia: il soldato esegue e “subito ne uscì sangue e acqua”. Questa scena è seguita da un campo lungo. Il centurione è alcuni soldati, ai quali è stato ordinato di restare fino alla morte dei tre condannati, si siedono. I carnefici sono andati via. I soldati aprono i loro sacchi e cominciano a mangiare. Con una dissolvenza, i soldati e le croci dei due rivoluzionari scompaiono lentamente. Resta solo la croce di Gesù. L’ombra della croce si allunga sempre più fino a dividere in due l’immagine. Durante questa scena si sente la voce fuori campo: “Gesù muore, ma con la morte portò a termine l’opera che aveva iniziato in vita. Il suo corpo fu ucciso, ma il suo Spirito viveva (…)».  
Anche Dreyer molto osé. Umanamente e culturalmente osé. La presenza di Gesù è mistero senza fine bello. (Guido Gozzano perdonerà l’estrapolazione).

@Elio Ciol Pier Paolo Pasolini, in occasione dell’annuncio ufficiale del Film “Il Vangelo secondo Matteo” alla Pro Civitate Christiana durante l’OCIC, Assisi, settembre 1963, Dal Folder A PIERPAOLO di ELIO CIOL