La ragion d’essere del Polittico di Sant’Agostino e’ nel Redentore

A Milano, al museo Poldi Pezzoli, fino al 24 giugno, si può vivere l’esperienza unica e irripetibile di incontrare riunita l’opera dipinta da Piero della Francesca per la chiesa degli Eremitani di Sant’Agostino a Borgo San Sepolcro: otto tavole superstiti delle trentuno originali. Un’operazione culturale straordinaria che ha permesso di far ritrovare dopo oltre mezzo millennio i santi Agostino, Michele, Giovanni, Nicola, Monica, Apollonia, Leonardo insieme alla piccola Crocefissione della predella. Il polittico di Sant’Agostino, resta il più innovativo nella concezione rinascimentale dello spazio, privo di fondo oro, sostituito da un cielo aperto tra balaustre classicheggianti. Qui le figure dei santi, monumentali e solenni, stanno come presenze assorte nel ritmo pacato di una polifonia sacra.


12 aprile 2024
Il racconto di Piero della Francesca
di Marina Mojana

Particolare – Piero della Francesca Il polittico riunitoa al-Museo Poldi Pezzoli di Milano photo Marco Beck

Hanno fatto il giro del mondo per potersi ritrovare insieme dopo oltre mezzo millennio: Agostino, Michele, Giovanni, Nicola, Monica, Apollonia, Leonardo, sono i santi che, insieme alla piccola Crocefissione della predella, animavano otto dei presunti 31 scomparti del polittico di Sant’Agostino, dipinto da Piero della Francesca per la chiesa degli Eremitani di Sant’Agostino a Borgo San Sepolcro tra il 1454 e il 1469, smembrato dopo soli 100 anni dalla sua realizzazione.
La “riunione”, unica e irripetibile – visibile al Museo Poldi Pezzoli di Milano fino al 24 giugno – è stata possibile grazie a un’azione internazionale di diplomazia e al dialogo con i musei prestatori. In passato si era già tentata l’impresa: lo stesso Poldi Pezzoli nel 1996, la Frick Collection di New York nel 2013 e il Museo dell’Hermitage di San Pietroburgo nel 2018. Ma, non ottenendo tutti i prestiti necessari, ci si accontentò di offrire al pubblico una ricostruzione soltanto “virtuale” dell’opera.

La nascita del progetto

L’operazione è riuscita oggi alla neo direttrice della casa museo milanese, l’architetto Alessandra Quarto. “L’idea della mostra è nata a New York la primavera scorsa – ricorda la direttrice – la Frick Collection, che possiede quattro degli otto pannelli, trovandosi temporaneamente chiusa da marzo a ottobre per ristrutturazione, su mia richiesta si disse generosamente disponibile al prestito. E grazie a Xavier Salomon, vicedirettore del museo, fu possibile dare avvio a questa emozionante avventura. L’eccezionale prestito ha attivato la corsa al coinvolgimento degli altri musei proprietari delle altre parti superstiti: tutti hanno aderito al progetto!”.
Lo straordinario lavoro di squadra è stato coordinato dai due curatori: Machtelt Brüggen Israëls, docente dell’Università di Amsterdam e Nathaniel Silver, vicedirettore dell’Isabella Stewart Gardner di Boston, studiosi pierfrancescani di livello internazionale, che hanno accettato l’incarico con entusiasmo contribuendo alla redazione del catalogo della mostra (Dario Cimorelli editore).

Quindici anni per la realizzazione dell’opera

Ma partiamo dall’inizio, da Borgo San Sepolcro, cittadina di frontiera culturale, tra influenze fiorentine, senesi e apporti umbri, dove nei primi lustri del XV secolo era nato Piero della Francesca. All’epoca Sansepolcro era la quarta città più popolosa della Toscana, dopo Firenze, Pisa, Pistoia e prima di Arezzo.
Gli Eremiti di sant’Agostino, un ordine mendicante riunito sotto la regola agostiniana da papa Alessandro IV, vi giunsero verso la metà del Trecento. Vestivano un saio nero, stretto in vita da una cintura di cuoio. Cento anni dopo erano diventati una comunità fiorente di frati, laici e consacrati, votati al ritiro dalla vita mondana e allo studio (teologia, liturgia, musica, diritto); ricercavano la verità in una dimensione contemplativa ed esercitavano la carità come impegno evangelico nell’educare ed erudire.
Il 4 ottobre 1454 il priore del convento convocò in sagrestia gli altri confratelli, due operai, il benefattore Angelo di Giovanni di Simone – di professione mercante e “asinaro” (cioè mulattiere) – e il pittore Piero della Francesca, gloria più che locale, al quale venne chiesto di dipingere, ornare e dorare un polittico (già esistente nella struttura lignea) per l’altare maggiore della chiesa degli agostiniani.
A quel tempo l’artista, all’incirca quarantenne, stava affrescando il ciclo con la Leggenda della Vera Croce per la chiesa di San Francesco di Arezzo (1452 – 1457), aveva già lavorato per l’Ordine nella chiesa di Sant’Agostino di Ferrara e vantava un cugino agostiniano, frate Angelo di Niccolò, che era stato priore del convento di Borgo. Piero godeva, dunque, di altissima stima e non solo nella sua città natale; pur avendo committenze di primordine presso le principali corti della penisola (Ferrara, Urbino, Rimini) e altre lo attendevano ad Ancona, Pesaro e Bologna, accettò l’incarico.
Gli ci vollero quindici anni per portare a termine il polittico di Sant’Agostino, nel corso dei quali si trasferì a Roma, chiamato da papa Pio II per affrescare il Palazzo Apostolico, realizzò celebri capolavori e scampò alla peste del 1468 rifugiandosi a Bastia Umbra.

Disperso sul mercato antiquariale

Mentre lavorava al polittico della Misericordia (1444-1464 circa) oggi al Museo civico di Sansepolcro e a quello di Sant’Antonio (1460-1470 circa) oggi a Perugia, alla Galleria Nazionale dell’Umbria, portò a termine anche il polittico di Sant’Agostino, che resta il più innovativo nella concezione rinascimentale dello spazio, privo di fondo oro, sostituito da un cielo aperto tra balaustre classicheggianti. Qui le figure dei santi, monumentali e solenni, stanno come presenze assorte nel ritmo pacato di una polifonia sacra.
Purtroppo è anche l’unico polittico ad essere stato smembrato un secolo dopo la sua magistrale esecuzione e poi disperso sul mercato antiquariale. Poterlo ammirare riunito – seppure parzialmente – è merito della storia dell’arte, delle più avanzate indagini diagnostiche messe in campo soprattutto dal Gruppo Bracco, ma anche dell’allestimento a cura di Italo Rota e Carlo Ratti e della direttrice Quarto, che ha ottenuto il ricongiungimento degli scomparti superstiti.
Quello raffigurante il frate agostiniano Nicola da Tolentino si trovava già a Milano dalla metà dell’Ottocento, nella casa-museo del conte Gian Giacomo Poldi Pezzoli, mentre San Michele arcangelo lo ha raggiunto dalla National Gallery di Londra, Sant’Agostino vescovo di Ippona dal Museu Nacional de Arte Antiga di Lisbona, San Giovanni evangelista dalla Frick di New York (con Santa Monica, San Leonardo e la piccola Crocefissione della predella), Sant’Apollonia dalla National Gallery of Art di Washington.

In ginocchio davanti al capolavoro

Sottoposte ai Raggi X, ultravioletti, vicino infrarosso, alle analisi di microscopia e di spettroscopia, le opere hanno rivelato più di un segreto, primo fra tutti che lo scomparto centrale, andato perduto, raffigurava due figure angeliche, dalle ali rosa e blu, scortare la Madonna che si inginocchia ai piedi del Figlio Gesù, per essere da lui incornata regina del paradiso.
Piero dipinse alla fiamminga, cioè a olio, su una carpenteria trecentesca di pioppo, ricavandone un capolavoro. Con velature applicate in modo sottile e ricercato, l’artista creò la prospettiva atmosferica del cielo, gli effetti trasparenti e tridimensionali del cristallo di rocca del pastorale di Sant’Agostino, i bagliori delle pietre preziose luccicanti sulla corazza muscolata di San Michele.
Il racconto di Piero, sospeso tra arte pittorica e scienze matematiche, tra teologia e filosofia, illustra uomini e donne elevati a modello di santità non per la loro esistenza perfetta, ma per la loro grande fede in Cristo morto e risorto.
È infatti il Redentore che si alza dal santo sepolcro – dipinto in miniatura sia nella mitra del vescovo Agostino che nella borchia del suo stolone – la ragione d’essere del polittico agostiniano di Borgo San Sepolcro. Davanti a queste immagini gli Eremiti agostiniani pregavano e si inginocchiavano, anche il popolo partecipava alla sacra liturgia, perché in quel momento il cielo scendeva sulla terra e la Pasqua del Signore dava senso e speranza alla loro vita.