La rivoluzione di Maïti: il volto del perdono

In un libro, una piccola grande storia di misericordia. Una giovane donna che ha conosciuto il male. In Francia, durante l’occupazione tedesca. Lei, nel 1944 viene arrestata dalla Gestapo perché aderente alla Resistenza; patisce l’esperienza della tortura nelle mani di un medico al soldo dei famigerati occupanti. Sono torture che le lasciano il segno. Una vicenda drammatica. Ma non la fine di una vita, della speranza spezzata, affogata nella vendetta, nell’odio. Grazie alla fede dei semplici qualcosa accade. Di sorprendente. Che rivela un’altra possibilità. Un fatto che scalfisce i muri che innalziamo. Una possibilità concreta che vale per l’oggi. Per sempre.   


di Giorgio Paolucci

23 settembre 2022

Qui sparano. Ci vediamo in paradiso. Stanno incendiando la casa. (…) Se il buon Dio me ne darà la grazia, vedrò di proteggervi da là. Ho perdonato chi eventualmente mi ucciderà. Fatelo pure voi”. Suonano come un testamento i messaggi inviati su WhatsApp agli amici da don Loris Vignadel, il sacerdote italiano coinvolto nel raid di un commando islamista legato al Daesh contro la missione cattolica di Chipene (Mozambico) in cui pochi giorni fa è stata uccisa Maria De Coppi, suora comboniana di 83 anni, rea -secondo quanto scritto nella rivendicazione- di essere “impegnata eccessivamente nella diffusione del cristianesimo”.

Don Loris è poi uscito incolume dall’attacco, ma le sue parole brillano nel buio di un’epoca dove la logica della violenza continua a guadagnare terreno. E suonano come qualcosa di scandaloso e persino incomprensibile perché il perdono, in un mondo secolarizzato, viene considerato un assurdo.

Eppure c’è chi ne dà testimonianza, non in forza di un eroismo che potrebbe sembrare perfino disumano, ma come il frutto di una posizione che può scaturire solo dal riconoscimento di un Amore generativo di nuova umanità. Come racconta Maïti Girtanner nelle pagine del libro “Resistenza e perdono”, scritto insieme al giornalista Guillaume Tabard e pubblicato in Italia da Itaca.

 

Come posso riparare il male commesso?

 

Questa giovane donna viene arrestata nel 1944 dai tedeschi per la sua collaborazione alla Resistenza francese e durante la detenzione rimane vittima di indicibili violenze orchestrate da Léo, un medico al soldo della Gestapo che aveva messo a punto una serie di “trattamenti” per fiaccare la resistenza dei prigionieri e indurli a confessare. Nel 1984, quarant’anni dopo quei terribili giorni che l’avevano resa gravemente disabile, Léo bussa alla porta della donna: il cancro gli concede pochi mesi di vita, vuole riparare il male commesso, riconciliarsi con il passato, e non ha dimenticato la serenità con cui Maïti parlava di Dio e della vita eterna ai compagni di prigionia che vedevano avvicinarsi la morte. “Crede che ci sarà posto per persone come me in Paradiso?”. “C’è posto per tutti quelli che, qualsiasi sia il peso del loro peccato, accettano di accogliere la misericordia di Dio– risponde la donna -. È per questo che Cristo ha donato la sua vita per noi”. Con gli occhi lucidi e le mani tremanti, Léo chiede il perdono alla sua vittima, lei prende il suo viso tra le mani e lo bacia sulla fronte. “Cosa posso fare adesso? Come posso riparare il male commesso?”. “Con l’amore – risponde lei -. La sola risposta al male è l’amore. Non potrà mai riparare o correggere il male che ha fatto agli altri durante la guerra. Utilizzi i mesi che le restano per fare del bene intorno a lei, per amare coloro che la circondano”. E’ quello che l’uomo farà: gli ultimi sei mesi di vita diventano un’offerta di sé agli altri. E quando la morte bussa alla porta e la moglie gli propone l’assistenza di un pastore o di un sacerdote, il medico risponde: “E’ Maïti che voglio al mio fianco”: la donna che gli aveva fatto incontrare il volto misericordioso del Mistero.

 

Accogliere il proprio cammino

 

È lunga e tormentata la strada che ha portato Maïti a perdonare il suo carnefice, costellata di sacrifici e rinunce a cui viene costretta da un fisico minato dai maltrattamenti subiti. Per quarant’anni si misura con un destino assai diverso da quello immaginato, deve abbandonare il ruolo di leader che aveva interpretato a scuola, poi nella sua famiglia e nella Resistenza, deve abbandonare il sogno di diventare pianista coltivato in anni di studio. Fare i conti con la realtà è la condizione per dare un senso alle nuove circostanze della sua esistenza: “Un giorno decisi che non avrei più rimpianto ciò che ero stata o che sarei potuta diventare, ma avrei amato ciò che ero e cercato ciò che avrei dovuto essere. È stato un lungo viaggio, ma questa è la condizione per una vera redenzione e allo stesso tempo il luogo di ogni battaglia”. Scopre la vita come vocazione: quello che conta “non è prevedere ciò che arriverà, quanto essere allaltezza delle circostanze che si presentano in ogni istante, senza preoccuparsi di ciò che potrebbe venire dopo. Non avevo da scegliere il mio cammino, ma da accoglierlo”.

 

La fede spezza le catene dell’odio

 

La vicenda di Maïti evoca -pur nella differenza dei contesti e delle modalità -quella di altre persone vittime del male e indotte a misurarsi con i loro carnefici, anch’esse protagoniste di pagine che lasciano una traccia indelebile in quanti le hanno lette, come è capitato a chi scrive.

Pensiamo al vescovo Van Thuan rinchiuso per 13 anni (di cui 9 in isolamento) nelle prigioni del regime comunista al potere in Vietnam: la testimonianza di amore a Gesù e il perdono ai suoi aguzzini scava una breccia nel cuore degli agenti di custodia, che pure vengono periodicamente sostituiti per evitare pericolose “contaminazioni”. Alcuni di loro chiedono il Battesimo, molte le conversioni di detenuti che incontrano stupiti il suo volto gioioso. “La prigione che è luogo di vendetta, di tristezza, di odio era diventato luogo di amicizia e di riconciliazione -scriverà dopo la liberazione -. La presenza di Gesù è irresistibile”.

Pensiamo a Gemma Calabresi Milite, che nel libro “La crepa e la luce” evoca il lungo cammino che l’ha portata a perdonare gli assassini del marito, il commissario Luigi Calabresi: un’umanità cambiata dalla fede che spezza la catena dell’odio e diventa esempio civile.

Cosa dicono le loro storie a un’epoca in cui i muri si alzano e le fratture si allargano, dove l’unica strada per porre fine ai conflitti sembra essere l’annullamento dell’avversario, dove “l’altro” appare irriducibilmente estraneo al nostro destino e il male è concepito come qualcosa di insanabile? Da loro possiamo imparare che senza porre quel male nelle mani di Qualcuno che può sanarlo, prenderlo su di sé e stabilire una giustizia che cammini insieme alla misericordia, il perdono è destinato a rimanere qualcosa di umanamente irraggiungibile. Come scrive il vescovo Erik Varden nella prefazione alla storia di Maïti, “il perdono non è naturale (…). Ma quanto sono necessari allora i racconti che parlano con autorità del significato e del potenziale trasformante del perdono”, che può arrivare a cambiare il cuore dell’uomo e a generare nuovi paradigmi per costruire una convivenza non più succube delle logiche di prevaricazione.

Abbiamo molto da imparare e molto da costruire facendo tesoro di queste testimonianze. Senza temere di essere minoranza in un mondo che obbedisce ad altre logiche, ma che -anche quando non lo sa- ha bisogno di nutrirsi a queste fonti se vuole cambiare rotta. Come è accaduto duemila anni fa quando un uomo ha accettato di salire sulla croce, simbolo di maledizione e di fragilità, e ha compiuto una rivoluzione che ha cambiato la storia del mondo.


Immagini:

– Maiti Girtanner
– Maiti Girtanner
– Il Cardinale François-Xavier Nguyễn Văn Thuận con Giovanni Paolo II
– Gemma Calabresi all’incontro al Centro Culturale di Milano per il libro La crepa e la luce – 3 marzo 2022
– Suor Maria De Coppi, Comboniana, era da 59 anni in Mozambico, che aveva raggiunto per la prima volta nel 1963