Le analisi “giuste” e come non muore la pietà

Il nostro pensare e pensare l’altro da sé è il metodo che verifica un modo diverso di vivere il presente.
Oggi, in misura drammatica e traumatica, sembra dominare il potere della violenza e la guerra. Per non cedere alla tentazione di leggere la realtà secondo le opinioni dei professionisti dell’analisi. I soliti sapienti che provano a mettere tutti i pezzi al loro posto.


6 maggio 2022

Violenza e morte. I fatti, l’orrore, la pietà. E i sapienti che fanno i sapienti: disturbatori della realtà. Del dramma della realtà.
Nulla di nuovo sul fronte (anche Occidentale). C’è un qualcosa di guasto nel valzer quotidiano, sfinente, delle analisi, dello sminuzzare, del contrapporre. Rimanerne al di fuori è complicato. Il pensiero dei sapienti attrae.
Loro sono sempre accesi, ma l’uomo si spegne. Sono giorni dove c’è un’aria che manca l’aria, ci aggiornerebbe Gaber; lui più un non so che un impegnato. I sapienti, i disturbatori della realtà li annusava e tentava di starne alla larga.
Una battaglia difficile eppure necessaria. Il problema è che i loro modi di dire così convincenti e tentacolari non sono così distanti da noi.
Spesso sono in noi e non per modo di dire.
Adesso, da quel 24 febbraio 2022, il rischio di finire stritolati dal mestiere di analizzare mettendo a posto ogni cosa è un’insidia che è sconveniente prendere sottogamba. Analizzare la guerra, poi. Diciamocelo: è persino comodo.
Tiene lontano il pericolo del coinvolgersi come persone; la verità di quel che accade in Ucraina con la verità di ciascuno di noi. Allora si sgomita. Si discute.
In superficie. Opinioni a confronto. Opinioni a… sconforto. Informati a distanza dai disturbatori della realtà. I sapienti della guerra.

Ma davanti alla guerra come si sta? Come stiamo? Cosa pensiamo? Come pensiamo? Per davvero, però. Naturalmente. E non perché ci sentiamo tirati da una parte o dall’altra. Interessante quel che scrive Cesare Pavese ne Il Mestiere di vivere (Einaudi): «Com’è grande il pensiero che ogni sforzo è inutile! basta lasciare affiorare il nostro io, accompagnarlo, dargli una mano, come se si trattasse di un altro: avere fiducia che noi siamo più definitivi di quanto noi non sappiamo».
Ma pensare così, trattare il nostro io come fosse altro da noi è un percorso di verifica. Un sacrificio di sé destinato a buon fine.
Così si sta, si pensa, ci si muove con tutto e tutti. Così la violenza della guerra ci tocca. Perché, pensandola nella prova del sacrificio di sé (anche senza fare cose eclatanti), nel verificare se ciò che pensiamo è sensato, appropriato, giusto, scardina (o inizia un po’ a scardinare) processi di assuefazione, riduzione, scorciatoie.
Pensare l’alterità è azione. Ossigena. Costruisce. Aiuta a formulare giudizi. È un lavoro umile, terra terra, che odora di vita. Pregiudizialmente sfavorevole. Ideologicamente ininfluente.
Significa che è un metodo che coglie nel segno. Scrosta via.
Un metodo che ci cambia e cambia. Umanamente e culturalmente incisivo.
Forse che la sapienza fiorisca nella nostra definitività che è ricerca?
Odessa, Ucraina. 1925. La macchina da presa di Sergej Eisenstein in una delle scene più drammatiche, autentiche, commoventi della storia del cinema. La celebre scalinata della città portuale vede fuggire verso il basso il popolo disperato colpito alla schiena dagli uomini in divisa dello zar.
Inquadrature di grande effetto. Montaggio serrato e modernissimo.
I corpi di quei poveri cristi si flettono, si piegano, infine crollano. Anche una madre finisce così e nel precipitare all’indietro, prima di morire, spinge con il corpo ormai fuori controllo la carrozzina con il suo figlioletto. Che è sveglio. Sveglissimo.
Chissà cosa pensa in quei momenti il piccolo?
La carrozzina inizia ad inciampare negli scalini (e noi con lei), prende velocità, mentre i soldati continuano a sparare e ad uccidere. Violenza e morte sulla scalinata di Odessa. È la scena madre (non a caso) della Corazzata Potemkin.
Il film tratta dell’ammutinamento della nave che dà il titolo al film/capolavoro. Durante la rivoluzione del 1905.
Odessa allora. Odessa oggi. La carrozzina di allora, le carrozzine di oggi. I bambini di allora, i bambini di oggi tra colpi di mortaio, fame, lacrime. Ecco. Un barlume di pietà che non muore. Un punto di fuga, perché di pensiero, dalla tv dei sapienti.
Un piccolo atto di libertà per un nuovo inizio. Per un flebile quanto tenace pensiero di pace. Fatto finalmente nostro.