Lenin e la “mummificazione” del potere

Nel 2024 si è consumato il centenario della morte del leader riconosciuto della rivoluzione bolscevica. Una figura tragica, un dittatore senza mezze figure che però ha affascinato molti, morto prematuramente, a 53 anni. Ma il regime impersonato da Stalin, in nome di un’ideologia che non poteva in alcun modo decomporsi, ne ha imposto l’imbalsamazione del corpo. Ezio Mauro, già direttore di Repubblica e de La Stampa, per molti anni corrispondente da Mosca, nel libro La mummia di Lenin (Feltrinelli) racconta gli ultimi anni di vita del fondatore dell’Urss e le ragioni di fondo che hanno portato ad imbalsamarne il corpo che si trova nel mausoleo collocato sulla piazza Rossa. E quel corpo, come descrive l’autore, continua a interrogare la Russia di oggi. La Russia dello zar Putin, la Russia delle ideologie vecchie e nuove.


23 maggio 2025
Russia imbalsamata
di Enzo Manes

Nel 2024 – il 21 gennaio all’età di 53 anni – sono trascorsi cento anni dalla morte di Vladimir Il’ič Ul’janov, nel mondo conosciuto e non poco ammirato con il nome di Lenin. Ezio Mauro, già direttore di Repubblica e de La Stampa e per molti anni corrispondente da Mosca, per la storica occasione si è occupato di scrivere in più puntate sul quotidiano con sede a Roma, della controversa figura del dittatore sovietico, soffermandosi in particolare sul periodo terminale della sua vita scandito dalla malattia e dalle terribili lotte intestine al Partito con la progressiva ascesa al Cremlino del georgiano Stalin. Ma, soprattutto, sulle ragioni che lo hanno convinto ad imporre alla nomenclatura del regime comunista il progetto di imbalsamare il corpo di Lenin allo scopo di impedirne la decomposizione, rendendolo eterno perché eterna deve essere la rivoluzione comunista. Un’icona che avrebbe dovuto attraversare le epoche e non solo il Novecento; una presenza perenne depositata nella fissità del mausoleo fatto erigere sulla piazza Rossa. Non semplicemente un sepolcro, ma un cuore pulsante, immagine visiva e vivida di una continua ricomposizione di un potere autoproclamatosi salvifico. Adesso, in modo organico, quelle stesure particolarmente attrattive per via di una capacità di ricostruzione storica originale appoggiate su una brillante familiarità con la scrittura, tornano nella forma del libro con un titolo affascinante ed inquietante insieme: La mummia di Lenin (Feltrinelli).

In ode del Fondatore

Lenin, il Fondatore, è stato il superbo dittatore che ha dirottato il corso del Novecento. Suscitando vasti moti di passione, anche in personalità dal grande talento artistico. Come la poetessa Anna Achmatova che, a proposito del travolgente “dirottamento” di Lenin ebbe ad ammettere: «Come un fiume in piena io fui deviata, mi deviò la mia era poderosa». E in esergo al libro Mauro riporta due versi emblematici di una stupefacente infatuazione del poeta Vladimir Majakovskij:

“Noi seppelliamo quest’oggi
l’uomo più terrestre
che sulla terra abbia camminato,
un uomo che ha visto il segreto del mondo
e ciò che il tempo nasconde”
“Come vecchi si fecero seri i bambini
E come bambini piansero i vecchi dalle barbe d’argento”

Una morte destinata a sopravvivere alla sua epoca. In quel mausoleo, lo scrigno politico del potere sovietico (lo descrive così l’autore del libro) si manifestava quale codice perpetuo della rivoluzione d’ottobre trasformatosi in Stato e potenza imperiale. Quella la missione che doveva emanare il sepolcro più idolatrato del Novecento; il sepolcro che contiene il corpo imbalsamato del fondatore di uno dei due totalitarismi che hanno segnato tragicamente il secolo scorso. Ma quello sovietico, a differenza dei proclami solo deliranti del nazionalsocialismo, ancora più doloroso proprio perché eretto sulla promessa utopica della fine delle ingiustizie, delle disuguaglianze e della libertà per i popoli oppressi.

Una rinnovata ambizione imperiale

Tuttavia la vicenda storica del mausoleo di Lenin ha vissuto inesorabilmente i travagli e i rivolgimenti di quell’enorme Sistema Paese. Mauro fotografa così: «Nella fase di transizione dall’Urss alla Russia il mausoleo è apparso incongruo, sciolto dal contesto bolscevico scomparso, privato della sua ragion politica, appoggiato a un Cremlino che nel 1991 aveva ammainato la bandiera rossa con la falce e martello. Improvvisamente, da pegno dello Stato e della nazione si rivelava semplicemente un’incompiuta, l’esibizione di una morte senza sepoltura, sacralizzata da una fede che si era intanto smarrita e dispersa, sostituita da una profana superstizione. Poco dopo, il nuovo sovranismo nazionalistico di Vladimir Putin ha restaurato la dimensione imperiale dell’anima russa, che non era evidentemente una sovrastruttura del sovietismo, bensì qualcosa che esisteva autonomamente prima dell’età bolscevica, e che sopravvive anche dopo, adesso. Di nuovo come per un incanto russo, la tomba di Lenin torna ad acquistare un significato, a trovare un senso nel contemporaneo come simbolo di un potere comunque indiscusso e di una rinnovata ambizione imperiale, varcando ere diverse e ideologie contrapposte. È il mistero di Lenin». Descritte così congruenze e incongruenze si arriva dritti all’oggi, ai motivi che hanno portato Putin a muovere le truppe russe all’invasione dell’Ucraina. Come se il mistero di Lenin, inteso come esaltazione di un potere che non può esaurirsi perché impossibilitato a essere oggetto di decomposizione, continui ad animare e rianimare i progetti di grandezza della nuova Russia ancorata ugualmente alla Russia della restaurazione.

Elogio della violenza rivoluzionaria

Insomma, nel racconto intorno alla storia della mummificazione del corpo di Lenin, non si può non rintracciare aspetti drammatici che spiegano il presente della Russia di Putin. Lui, cioè Putin, più incline a richiamare al proscenio Stalin ma non per questo oggettivamente distante dall’uomo che ha costruito quella tragica esperienza. Stalin senza Lenin non si spiega. Lenin senza Stalin neppure. Chi opera distinguo sostanziali rimane ancora imprigionato nel flusso fluviale descritto dalle parole di Anna Achmatova. L’uomo venuto dall’esilio per mandare a gambe all’aria l’impero zarista attraverso precisi e dirompenti passaggi storici (per nulla indolori) ha fin da subito parole nettissime sulla necessità di ricorrere alla violenza rivoluzionaria. Ecco come la motiva (nel libro siamo a pagina 51): «Immaginarsi il socialismo su un vassoio ben preparato non è possibile, non avverrà. Non una sola questione della lotta di classe è mai stata risolta nella storia se non con la violenza. Quando avviene da parte dei lavoratori, delle masse, ecco, noi siamo per questa violenza. E a tutti quelli che ci rimproverano e ci accusano di terrorismo, di dittatura, di scatenare la guerra civile, noi diciamo di sì, noi abbiamo cominciato la guerra contro gli sfruttatori». Mauro racconta nei particolari come questi presupposti mai verranno abbandonati. Anzi. L’Urss di Lenin e Stalin vivrà proprio di questi metodi liquidatori. Conviene ricordarselo.

Riempire di significato il sacrario sulla piazza Rossa

Quella tra Lenin e Stalin è una lotta per il potere che non si consuma alla pari. La malattia di Lenin entra drammaticamente sulla scena. E la prospettiva di morte del leader fin lì riconosciuto è la grande alleata di Stalin. Lui lo sa bene. E agisce di conseguenze. Il libro dedica diverso spazio a quei mesi, alla strategia del georgiano, a come gli riesca di costruire un ferreo cordone sanitario per tenere lontani quelli che considera insidiosi rivali, primo fra gli altri Lev Trockij. Stalin è un duro, un cinico. E quando Lenin muore è conscio che non può fare a meno di Lenin. O meglio del suo corpo. Il corpo del suo rivale deve permanere perché lui possa detenere il potere e portare avanti la strategia del Terrore. Il corpo di Lenin è un alleato perfetto. Allora chiama scienziati di vaglia che si occupino dell’imbalsamazione di quel corpo che è fondamentale che resista nel tempo al processo di naturale decomposizione. La causa lo richiede. Il popolo lo reclama. Lui lo pretende. Ovviamente gli scienziati riluttanti non dispongono di vie di fuga e sono consapevoli che in caso di fallimento il loro destino risulterebbe segnato. Si impegnano giorno e notte per trovare le soluzioni migliori. Sperimentano. Non rallentano mai hanno tempi strettissimi per arrivare a dama. E vi arrivano. Nel giugno del 1924, vale a dire cinque mesi dopo la morte di Lenin, sua moglie Nadežda ne vedrà il corpo imbalsamato.
Il lavoro voluto da Stalin era andato a buon fine, secondo i propri fini. Dunque: Lenin è strappato alla sepoltura e perciò restituito al popolo e al partito. Lenin non viene lasciato in pace dopo la morte. La perennità della rivoluzione non lo consente. I progetti devastanti di Stalin ne hanno un gran bisogno; lui che nel frattempo ha provveduto ad eliminare cinque dei sei candidati indicati da Lenin alla sua successione. Sterminati dal sesto. Il corpo di Lenin, imbalsamato dalla scienza e dall’ideologia, è chiamato a proseguire nella sua missione che evidentemente non poteva certo interrompersi con la sua morte. Il corpo di Lenin doveva continuare a fare la sua parte, avere un ruolo politico, «senza dissolversi ma riempiendo di significato il sacrario sulla piazza Rossa».     
Quel sacrario, quel mausoleo dove il potere prova ancora nella Russia di Putin a ritrovare la sua forza. «Sotto gli occhi ormai di ferro di Vladimir Il’ič Ul’janov detto Lenin».