L’Italia e il mar Mediterraneo: una navigazione sconnessa

Il Mare Nostrum non lo è più. Da tempo quel mare si è allontanato da casa nostra. Le politiche del nostro paese sono attratte da altro, dall’Europa Orientale soprattutto. Gli italiani faticano ormai a sentirsi veramente mediterranei. Non capendo che oggi Europa Orientale e Mediterraneo sono di fatto la stessa cosa. Altri paesi, invece, ne stanno approfittando eccome. Dalla Turchia alla Cina; dall’Algeria agli Emirati; dalla Francia agli Stati Uniti. Il non comprendere quanto sia fondamentale per il nostro paese giocare un ruolo da protagonista nel Mediterraneo è un errore grave. Anche se storico, rimane incomprensibile. Conversazione con Lorenzo Trombetta, corrispondente per l’Ansa da Beirut. Analista della rivista Limes e di Ispi.


Andrea Avveduto dialoga con Lorenzo Trombetta

7 ottobre 2022

La competenza di chi studia questo mondo da anni, il realismo di chi vive in Medio Oriente e il piglio divulgativo del giornalista: c’è tutto questo nell’analisi di Lorenzo Trombetta, corrispondente per l’Ansa da Beirut e analista di Limes. Recentemente ha pubblicato “Negoziazione e potere in Medio Oriente. Alle radici dei conflitti in Siria e dintorni” (edito da Mondadori Università), un lavoro prezioso che sviscera nella sua complessità la storia del conflitto siriano e le sue radici. Alla luce delle grandi connessioni che uniscono da alcuni mesi i paesi dell’area, lo abbiamo incontrato per comprendere di più proprio su un tema spesso lontano dal dibattito pubblico, e che pure ci riguarda da vicino, perché ne siamo circondati: il mar Mediterraneo.

 

Quali sono i principali cambiamenti che sta vivendo il mar Mediterraneo alla luce della crisi tra Ucraina e Russia?

 

Da un punto di vista della percezione direi che il Mediterraneo si è allontanato da casa nostra. Nel dibattito pubblico, sia dell’uomo comune che sui media e in particolare della tv (la sintesi del dibattito pubblico), l’Italia è stata attratta esclusivamente dall’ambito dell’Europa Orientale. Ho avuto l’impressione, vivendo a Beirut – ma anche da febbraio a oggi in Italia – che ci sia stata un’accelerazione della nostra difficoltà a sentirci veramente mediterranei. Ho fatto fatica a spiegare come le manovre militari in Ucraina abbiano avuto un impatto logistico nel Mediterraneo. Negli ambiti in cui ho avuto modo di parlare, mi si rispondeva che l’emergenza era altrove. Purtroppo spesso è difficile capire che Europa Orientale e Mediterraneo sono di fatto la stessa cosa, uniti dalla Storia e non solo dalla globalizzazione. Il primo aspetto, dunque, riguarda la percezione. Prendiamo ad esempio la guerra siriana, che nell’immaginario di molti è stata una guerra che non ci appartiene, mentre quella in Ucraina – è stato ripetuto fino alla noia – ci appartiene, è a casa nostra. Vista però la storia dell’Italia nel Mediterraneo Orientale, è difficile immaginare che anche la Siria non sia in qualche modo casa nostra.

La percezione però conta tantissimo, e dobbiamo tenerne conto, rilevando che l’opinione pubblica è molto distratta su questo tema.  Certo, si è parlato un po’ della crisi energetica e sul rischio di morire di fame in Medio Oriente. In realtà la morte per fame è un fenomeno piuttosto raro nella regione. Eppure hanno fatto titoli ovunque su questo. Carenza alimentare, certo. Ma anche questa è una tendenza ad allontanare l’opinione pubblica, perché i luoghi nel mondo dove muore di fame sono percepiti come lontanissimi da noi.

Detto questo, una conseguenza oggettiva di questa crisi militare è stata ridare importanza alla geografia e quindi al ruolo della Turchia e degli Stretti, oltre al ruolo del passaggio delle merci via mare. In un contesto di territori frammentati e coinvolti da guerre e confronti armati, il mare è tornato ad avere la rilevanza che merita.

Il Mediterraneo ha anche delle strozzature: lo abbiamo notato tutti quando una nave ha bloccato il canale di Suez per alcuni giorni e il commercio è andato in crisi. Abbiamo visto il ruolo principe della Turchia rispetto a chi entra o non entra nella NATO, ma anche – e direi soprattutto – sulla questione del negoziato tra Russia e Ucraina.

Altro aspetto è la proiezione navale, politica e militare russa nel Mediterraneo.

Ad aprile abbiamo cominciato ad accorgerci che la Russia è una potenza navale nel Mediterraneo. La sua base militare di Tartous in Siria è attiva dalla fine degli anni ‘60 e ha la capacità di sostenere la logistica delle navi che vengono sia dal mar Nero che dal Baltico, o le navi che dal mar Nero si dirigono verso l’oceano indiano. Anche se rimane un mare di negoziazione e non di scontro, è perciò assolutamente legato a quanto succede nell’Europa orientale.

 

“Le lacrime dei nostri sovrani hanno il gusto salato del mare che hanno voluto ignorare”. E’ un motto attribuito al cardinale Richelieu. Leggendolo è difficile non pensare all’Italia che ha una posizione geografica così strategica e tuttavia così poco partecipe alle dinamiche mediterranee. Perché negli anni è venuta a calare l’attenzione dell’Italia verso il mare di casa nostra?

 

Fatta la doverosa premessa che non sono uno storico dell’Italia e del Mediterraneo, dal mio punto di osservazione posso azzardare nel dire che questo calo di attenzione non è una novità.

Nonostante alcuni picchi di interesse nella prima Repubblica – tra gli altri citiamo solo quelli di Moro, Craxi e Andreotti – se guardiamo alla storia di lungo periodo, dal 1860 l’Italia non ha dimostrato una grande presenza e capacità di sfruttare la sua posizione geografica. Se consideriamo una serie di autorità che poi hanno formato l’Italia, ad esempio le repubbliche marinare, allora abbiamo tante stellette sulle divise, ma non era l’Italia. E non scopriamo nulla dicendo non riusciamo a proiettarci nel Mediterraneo, a parte qualche episodio eccezionale.

Da diversi anni invece Erdogan spinge per espandere l’influenza turca nel Mediterraneo Orientale e negli ultimi cinque o sei anni in modo ancora più lampante, dalla crisi Ucraina fino a entrare a piedi uniti nella questione libica e a Cipro. Sostanzialmente, se c’è da una parte una tendenza continua di Roma ad ignorare il mare di casa nostra, dall’altra una continuità della Turchia a essere sempre più presente.

 

Come sta cambiando la geopolitica del Mediterraneo?

 

Dobbiamo distinguere tra un confronto globale e uno locale. Come italiani dobbiamo evidenziare l’Algeria che prova a crescere a beneficiare del corteggiamento energetico per espandere la propria zona d’influenza.

A livello globale dobbiamo sottolineare il controllo che cerca di avere ad esempio la Cina, e il relativo confronto con gli Stati Uniti che va a sminuire altri confronti più locali della zona. Rimanendo su una scala intermedia, vediamo un’ascesa evidente di attori non mediterranei, come gli Emirati, che stanno portando avanti da almeno tre anni una politica piuttosto aggressiva a livello commerciale.

Comprano infrastrutture e territori dove possono costruire a loro spese dei porti per espandere la propria influenza culturale e politica. Hanno stretto accordi con Israele e si sono garantiti una presenza nel Mediterraneo Orientale, senza dimenticare il loro rapporto con l’Egitto, che è fondamentale.

Anche gli Stati Uniti e la Francia (Parigi con la sua presenza storica più sulla sponda nord africana), rimangono estremamente potenti nell’area. L’Italia, come dicevo, fa fatica a proiettarsi in questa dimensione….

 

Eppure vanta una flotta navale che non è affatto banale

 

Senza dubbio. A livello di armamenti e professionalità penso sia uno dei primi paesi. Eppure queste capacità devono essere tradotte, vanno sapute esprimere.  Allora perché alla luce di questa potenzialità siamo decisamente in seconda fascia quando bisogna prendere delle decisioni? Dal secondo dopoguerra l’Italia risponde a una serie di richieste ed esigenze all’interno di un’alleanza più ampia con gli Stati Uniti. Siamo una potenza di appoggio.

L’Italia ha perso influenza? Forse non l’ha mai avuta… Anche quando all’epoca aveva messo piede in Libia, tradurre poi questa presenza in una forza politica è un’altra cosa. Pensiamo anche poi alle politiche di decisione sulle politiche dei migranti, a tutte le questioni sensibili…

Come ha anche detto papa Francesco, il Mediterraneo è il più grande cimitero d’Europa e l’Italia è dentro questo grande cimitero.

 

Un ultimo sguardo, doveroso, verso casa tua.

Il Libano è un paese che si affaccia sul Mediterraneo, attraversato da una crisi profonda. Potrà un giorno giocare un ruolo all’interno dei vari equilibri che si stanno ridefinendo? Quali sono le vie di uscita?

 

A mio avviso, le uniche prospettive sono quelle di sostenere una società civile trasversale, che superi – prima di fare una rivoluzione nei palazzi istituzionali – le divisioni nei dibattiti pre-elettorali, il localismo per cui Nabatieh non sta contro Sidone e Sidone non sta contro Tiro.

Bisogna superare il sistema distributivo che tende a dividere in categorie secondo cui ciascun signore della guerra compra il proprio territorio e distribuisce servizi alla gente come se fossero privilegi. Se il localismo continua a essere il sistema pervasivo di un paese piccolo come l’Abruzzo non c’è nessuna prospettiva.

Creare ponti trasversali tra le varie società civili e locali è l’unica via di uscita. Ci vuole tempo, ci vuole sostegno da parte della società, un aiuto concreto da parte delle organizzazioni della società civile e degli amministratori locali. È un lavoro quotidiano, che deve venire innanzitutto da parte dei libanesi, per cui servirà del tempo. Ma è l’unica via.


Immagini:

– Il porto di Beirut e i Silos coinvolti nella esplosione
– Scatto della Raccolta Idissey di ©Stefano De Luigi
– Pescatori nel Mediterraneo
– Il porto di Orano, Algeria
– La nave EverGiven blocca il porto di Suez, 24 marzo 2021
– Sbarchi di migranti nel Mediterraneo
– Le Scuole cristiane a Tunisi