L’ultima campanella, e poi…
La scuola va in vacanza ma si va in vacanza dalla scuola? Per professori e alunni l’estate è il tempo di mettersi alle spalle aule, lezioni, interrogazioni, burocrazia, eccetera, eccetera? Come a dire: un altro anno è andato, quasi fosse una liberazione. Nell’ attesa dell’avvio della solita fatica settembrina. Pensieri di un insegnante che s’interroga sul fatto che comunque “la scuola ci gira intorno”. Che però non può essere una parentesi tra i week end. Come le ferie non sono una parentesi fra un anno scolastico e l’altro. Perché tutto è vita. Perché le vacanze fanno bene alla scuola. E viceversa
18 luglio 2025
Un suono particolare
di Paolo Covassi

L’ultima campanella dell’anno ha un suono particolare.
Vorrei dire che è velato di nostalgia, che ci avvolge la malinconia, che in fondo “già ci mancano” i nostri alunni… ma mentirei.
L’ultima campanella dell’anno è gioia pura, è un po’ liberazione e un po’ “allegria di naufragi” condita da frasi del tipo: “anche quest’anno ce l’abbiamo fatta”, “ogni anno è peggio”, “non so come ho fatto ad arrivare vivo” e altre amenità del genere. Ma ci sta. L’ultima settimana di scuola, poi, è particolarmente schizofrenica: da un lato ci sono quelli che hanno già tutti i voti che servono (e tutti positivi) e sostanzialmente si annoiano, dall’altra chi cerca di salvarsi l’estate o, nei casi estremi, l’anno. Gente interrogata in ogni angolo della scuola in qualunque ora, studenti che hanno dribblato verifiche e interrogazioni per mesi che neanche Ronaldinho e che ora inseguono i prof fino a casa per farsi fare qualche domanda via citofono…

La scuola senza la scuola
L’ultima campanella segna la fine dell’anno, l’inizio della burocrazia più sfrenata, la scuola senza la scuola, perché quando non ci sono i ragazzi il senso di tutto ciò che si fa vien meno, inutile negarlo. Però quelle ultime ore del venerdì che grazie alla “lectio brevis” non vengono svolte vivono di una leggerezza tutta sua. Ci si saluta con più attenzione, si parla di qualcosa che non sono i nostri alunni, si respira aria di vacanza, di letizia quasi.
Ma in un angolo, sui tavoli normalmente utilizzati per i colloqui con i genitori, un collega è seduto con un’espressione che ricorda tanto Natale di Ungaretti (se non fosse che siamo a giugno e nei corridoi dell’istituto il caldo è opprimente): “lasciatemi qui, come una cosa posata in un angolo e dimenticata”. Questo sembra dire la sua espressione e, ancora di più, la sua posa.
Non è un amico, è un collega che insegna in un altro corso e con cui non ho mai avuto occasione di parlare, se non per qualche sporadico scambio di battute in corridoio. Ma la sua espressione è troppo in contrasto con l’aria di traguardo raggiunto che si respira, così mi avvicino: “Ciao, tutto bene? Coraggio – aggiungo ridendo – siamo arrivati all’ultima campanella anche quest’anno!”
Mi guarda come se non avessi capito cosa sta realmente accadendo: “Per me è l’ultima, per davvero”.
Segue un momento di silenzio in cui gli occhi diventano quasi lucidi, poi prosegue: “Non ci avevo mai pensato prima, ma l’estate fino ad ora era solo una parentesi, dove buona parte del tempo era usato per programmare, aggiornarmi, o anche solo per leggere dei libri, guardare film o documentari che poi avrei usato in classe… insomma, la scuola non finiva realmente, era solo… in pausa. Un po’ come questi corridoi vuoti, che hanno senso solo perché sappiamo che a settembre torneranno ad animarsi di studenti. Scusa – prosegue alzandosi – non volevo deprimerti…”
“No, ma va – rispondo imbarazzato – figurati… dai, ci vediamo lunedì alla festa”
Annuisce con la testa, lo sguardo basso e un sorriso poco convinto. Poi, con la sua andatura ciondolante e la corporatura massiccia si avvia verso le porte gialle che delimitano i corridoi della scuola dal resto del mondo e, senza voltarsi, le attraversa.

Prof, ma lei non si stanca a ripetere sempre le stesse cose?
Che contrasto se penso a come le stesse porte sono state attraversate pochi minuti prima non solo dagli studenti, ma anche da colleghi festanti e desiderosi del meritato riposo.
Resto un po’ fermo a guardare il corridoio ormai vuoto e penso a questa “ciclicità”, al fatto che davvero la scuola si mette semplicemente in pausa per poi ripartire l’anno dopo, sempre uguale e sempre diversa. È uno dei “crucci” dei ragazzi di quinta, quando si rendono conto che loro stanno per spiccare il volo dopo tredici (se non più) anni di scuola e tu, invece, a cui tutto sommato vogliono bene, ricomincerai con una prima. “Prof, ma non si stanca a ripetere ogni anno sempre le stesse cose? Quella di inglese ha detto che non ne può più…”
“Sinceramente no, non mi annoio, anche perché le lezioni sono sempre diverse: cambio io e, soprattutto, cambiano le classi”
“Prof, una classe come la nostra non la troverà mai più”
È una delle incrollabili certezze di tutti i ragazzi che arrivano all’ultimo anno e, in fondo, a me non costa nulla lasciarglielo credere.

Non vivere tra parentesi
Ecco, tre diverse ultime campane: quella che segna la pausa, l’inizio dell’estate tanto attesa che alla fine avrà ampi spazi di delusione; la campanella di chi termina il proprio ciclo di studi (sono meravigliose le espressioni che fanno quando faccio notare che quello di maturità sarà, molto probabilmente, l’ultimo tema della loro vita!) e poi quella di chi si troverà ad affrontare uno spazio vuoto che, a seconda dei casi, può scatenare l’entusiasmo o il panico.
Insomma, alla fine scopriamo che la nostra vita gira intorno alla scuola, sia quando è una presenza più o meno ingombrante sia quando è assenza. Provate a mettere vicini due insegnanti e, nella maggior parte dei casi, vedrete che in un attimo, anche se non si conoscono, si troveranno a parlare di scuola e dei “loro” ragazzi. Eh sì, perché alla fine quello che manca, anche solo nei mesi estivi, sono i “nostri” ragazzi… se siamo professori “umani” (come ce ne sono tanti), che sono contenti e contemporaneamente soffrono all’idea di andare in pensione, sappiamo che i ragazzi che incontriamo in qualche modo ci sono dati e il compito terribile e meraviglioso è quello di crescere con loro insegnando la nostra materia. Non si tratta di fare gli “amiconi”, ma di insegnare italiano, fisica o diritto e, contemporaneamente, far vedere che la vita non è una parentesi grigia fra due week end o, peggio, un anno in apnea tra i mesi estivi.
E che sia così è evidente a chi è appena appena onesto con sé stesso, come il mio collega che alla festa per il pensionamento, con gli occhi lucidi, ha detto: “Ho dato molto alla scuola in questi quarant’anni, ma molto di più è quello che ho ricevuto”.
Se la scuola va in vacanza (o in pensione) la vita no, e tanto meno possiamo pensare di essere vivi solo fino al prossimo 12 settembre; se sapessi che anche solo uno dei miei alunni ha capito che l’importante, nella vita, è non vivere tra parentesi (che sia la scuola, la vacanza o la pensione poco importa) saprei di aver fatto qualcosa di buono.