Masaccio: a tu per tu con la Crocefissione

Semplicità e potenza

Al Museo Diocesano di Milano Carlo Maria Martini, fino al 7 maggio, è possibile vedere un capolavoro dell’arte: La crocefissione del grande pittore realizzata con tempera su tavola nel 1426. Si tratta di un’opera che restituisce tutta la drammaticità e il mistero della più grande ingiustizia. «Un allestimento suggestivo, che la colloca ad altezza d’occhi, in un incontro a tu per tu con l’arte e con la storia». Un’esperienza da vivere con umiltà di cuore.


24 marzo 2023
di Marina Mojana

Bisognava guardare la crocefissione di Gesù stando in basso e alzare gli occhi verso la cuspide del polittico (la cimasa) dove l’aveva dipinta Masaccio, ponendola a cinque metri d’altezza. Bisognava essere umili.
Per fare entrare l’osservatore nella sacra rappresentazione, rendendola il più verosimile possibile, l’artista aveva abbandonato preziosismi tardo gotici ed eleganze cortesi e aveva scorciato in modo prospettico il corpo del suo Signore, incassandogli la testa nel torace.

Ad altezza occhi

Aveva 25 anni quando consegnò al committente, il notaio sir Giuliano degli Scarsi, la pala d’altare dipinta a tempera per la Cappella di San Giuliano, nella chiesa pisana del Carmine. Era composta da 19 pannelli di legno, concepiti in stile rigoroso e severo, senza ornato – una novità per l’epoca – ma resa preziosa dall’oro zecchino del fondo, che legava tra loro tutte le tavole con figure di santi e di apostoli e dall’azzurro oltremarino usato per il mantello della Vergine Maria, seduta in trono con il bambino Gesù, al centro della composizione.
Aveva impiegato dieci mesi di lavoro per realizzarla (da 19 febbraio al 26 dicembre del 1426) e aveva ricavato in tutto 80 fiorini con i quali avrebbe pagato i suoi tre aiutanti – tra cui il fratello minore Giovanni detto lo Scheggia – il carpentiere Ambrogio di Biagio e i costosi materiali utilizzati.
Il capolavoro di Masaccio – apprezzato dagli scultori più innovativi del tempo come Donatello (che era suo amico) e Michelozzo – rimase in loco per poco più di un secolo; poi nel 1579, in seguito ai lavori di ristrutturazione della Cappella per adempiere i dettami della Controriforma in materia di arte sacra, il polittico fu spostato e quindi smembrato. Oggi sopravvivono soltanto 11 tavole, sparse nei musei di mezzo mondo, da Berlino a Los Angeles. La cimasa con la Crocefissione finì a Napoli, acquistata dal Museo Archeologico Nazionale nel 1901 per 800 lire (pari a 3.500 euro di oggi) e nel 1957 entrò al Museo e Real Bosco di Capodimonte.
Fino al 7 maggio, però, la si può ammirare al Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano, in un allestimento suggestivo, che la colloca ad altezza d’occhi, in un incontro a tu per tu con l’arte e con la storia.

La croce piantata nella terra

«Era circa mezzogiorno e un quarto – narra la mistica Anna Katharina Emmerick nelle sue visioni della Passione del Signore, trascritte dal poeta Charles Brentano e pubblicate nel 1833 – quando la croce fu innalzata con Gesù crocefisso. Era stata lasciata cadere – con il Cristo appeso – nella buca scavata sul Golgota e tremò tutta per il contraccolpo. Il legno della morte oscillò tra gli insulti di carnefici, farisei e marmaglia. Gesù levò un profondo gemito di dolore, le sue ferite si allargarono, il sangue ne sgorgò più copioso e le sue ossa slogate si urtarono. La testa, cinta dalla corona di spine, sanguinò violentemente.
Nello stesso momento si udirono le trombe del Tempio di Gerusalemme che annunciavano il sacrificio dell’agnello pasquale e i belati degli agnellini sgozzati coprivano i gemiti sommessi di Gesù. Di fronte alla croce molti cuori pentiti compresero le parole di Giovanni Battista: Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati dal mondo».
La Emmerick vide le anime dei defunti sospirare di gioia, perché quella croce piantata nella terra apriva le porte della loro redenzione. «I piedi di Gesù si trovavano a un’altezza tale che i suoi amici potevano venerarli. Giovanni, sotto la croce, glieli asciugava con un sudario. Maria Maddalena era come uscita di senno, distrutta dal dolore si graffiava il volto per sentire meno male e si appoggiava alla croce.

La Vergine madre – sostenuta dalla nipote Maria, figlia di Cleofa (fratello di san Giuseppe) e da Salomè – si manteneva in piedi fra la croce di Gesù e quella del buon ladrone e pregava interiormente il Figlio di permetterle di morire con lui. Il Salvatore comprese quella preghiera e la guardò con ineffabile tenerezza, poi rivolse lo sguardo a Giovanni e disse a sua madre:Donna, ecco tuo figlio. Egli ti sarà tale più che se tu lo avessi generato! Quindi disse a Giovanni: Ecco tua madre!’».
«Verso l’ora nona (le tre del pomeriggio) Gesù si lamentò: Mio Dio! Mio Dio! Perché mi hai lasciato?». Il cielo si era oscurato completamente, il velo del “santo dei santi” si squarciò e i fedeli videro i morti resuscitati. «Quando tornò la luce del giorno, il corpo del Signore, appeso alla croce, era livido e più bianco di prima a causa di tutto il sangue versato. Stava morendo. Con la lingua riarsa disse: ‘ho sete’. Gli amici di Gesù offrirono denaro alle guardie perché gli portassero un po’ d’acqua, ma questi, preso il compenso, non gli diedero nulla. Un sudore freddo gli copriva tutto il corpo e il petto ansimava sempre più forte. Giunto all’estremo Gesù disse: ‘Tutto è compiuto’. Sollevò il capo e gettò un grido forte che penetrò il cielo e la terra: ‘Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito!’. La roccia del Calvario si spaccò e numerose case crollarono.
Erano passate da poco le ore quindici. Giovanni cadde con la fronte nella polvere poi, rialzatosi, prestò amorevoli cure alla Vergine, svenuta tra le braccia delle pie donne. Gesù aveva pagato il suo debito d’amore all’umanità e, pur così sfigurato, il suo santo corpo imponeva rispetto e toccava il cuore degli uomini».

La poesia – preghiera di Giovanni Testori

Masaccio ci restituisce tutto ciò in un’unica immagine, semplice e potente. Nella sua visione d’artista la Vergine, impietrita dal dolore e avvolta nel mantello blu, è una roccia di fede e congiunge le mani, anzi le contorce, mentre chiede al Figlio di morire con lui; Giovanni ha l’anima straziata e gli occhi gonfi di lacrime mentre contempla il mistero della morte di Dio; ma è Maria Maddalena ad accogliere in un abbraccio disperato tutto il dolore del Crocefisso. La sua piccola figura inginocchiata ai piedi della croce, stilizzata in un triangolo rosso bordato d’oro come la chioma incassata tra le spalle, è entrata in tutti i libri di storia dell’arte, ispirando altri artisti. Non ultimo Giovanni Testori (1923 – 1993) che le dedicò questa magnifica poesia-preghiera:

Il sunto, /il punto, /il prima, /l’adesso, /il sempre, /il poi. Non sapremo noi /che faccia hai avuto / mai /né quella che /voltandoti /potresti avere /ed hai. /Solo ci mostri /la nuca dorata-disperata / con ordine-disordine /ravviata-scompigliata. /Quasi alata, /inchiodata /all’Assoluto adorato, /all’Assoluto assassinato, /urlo e silenzio, /carne e scisto, /così vicina a Cristo /che ne senti l’afrore, /che ne divori /l’odore, /preghiera e pianto /dolore e canto, /l’unico tuo vanto /è di gridare senza voce: /santo, /santo!