Medio Oriente: i cinici motivi di una guerra irragionevole

Si vive con l’angoscia dentro. L’attacco dei terroristi di Hamas contro civili israeliani inermi. La risposta militare, durissima dell’esercito di Tel Aviv. È la guerra. Ancora in Terra Santa. Ma stavolta questa guerra scatenata dagli integralisti dell’organizzazione terroristica verso l’unica democrazia presente nell’area seppur ferita al suo interno da una leadership cinica, ha tutto per essere un qualcosa di diverso, di mai visto prima. Cosa dobbiamo aspettarci? Che cosa è oggi in gioco? Come si potrebbero comportare le superpotenze? E l’Europa che farà, se farà? Prime riflessioni mentre quella terra è in fiamme. E piange.


13 ottobre 2023
L’egemonia della violenza
di Andrea Avveduto

Soldati israeliani raccolgono corpi di civili uccisi nel kibbutz di Kfar-aza-afp

Una cosa è certa, talmente sicura da metterci la mano sul fuoco, anche se parliamo di Israele e Palestina: la Striscia di Gaza non tornerà a essere quella di prima. Qualcuno parla già di 11 settembre del Medio Oriente. Il sangue versato è stato già troppo, gli attori coinvolti così tanti e la posta in gioco così alta che è impossibile tornare allo Status Quo, quello che per intenderci faceva comodo alla vecchia Hamas e al diviso Israele.

Obiettivi colpiti a Gaza

Il cambiamento di Hamas

Ma andiamo per gradi. Questa volta sì, è diversa dalle altre. Le schermaglie tra israeliani e palestinesi a cui eravamo abituati raccontavano di tensioni che venivano puntualmente esacerbate per una convenienza politica di una parte o dell’altra, a volte di entrambi. Ma duravano una settimana, dieci giorni al massimo: a quel punto bastava un intervento statunitense e la mediazione egiziana e gli scontri finivano lì. Perché Hamas ha bisogno di Israele, e viceversa.
Questa volta gli schemi sono saltati, e ci troviamo di fronte a un tentativo – folle o disperato, vedremo – di prendersi tutto, che arriva dopo mesi, anni di tensioni più o meno sottili, di speranze disattese e di politiche ciniche. Sabato scorso Hamas ha ingaggiato ancora una volta una lotta contro un nemico estremamente più forte, attaccando di sorpresa – ma non troppo – il vicino Israele.
E’ verosimile che Netanyahu non sapesse dell’attacco? O forse – più probabile – non si aspettava un attacco di queste dimensioni? In ogni caso, l’iniziativa dei militanti della Striscia ha messo a nudo un grande buco nero all’interno dell’intelligence israeliana.
Cosa lo ha reso possibile e perché è successo? Innanzitutto il grande cambiamento di Hamas, che non è più formata dalla vecchia generazione di guerriglieri, quella che per intenderci ha guardato con occhi storti gli accordi di Oslo. La nuova generazione è più arrabbiata e determinata, perché stanca di una situazione politica che non lascia alcuna speranza, stufa di una leadership – quella di Abu Mazen – connivente col nemico, persino esausta di non avere voce, e un luogo dove questa voce potrebbe venire ascoltata. E’ una generazione incattivita sia dall’ostruzionismo israeliano che dalla stessa inedia palestinese, di cui oggi si fa portavoce come unica vera resistenza.

3 October 2023 Gaza Israel War

Aspetti inquietanti e pericolosi

Internamente allo stato ebraico, la politica miope di Netanyahu ha danneggiato gravemente il tessuto sociale, che oggi è diviso, frammentato e instabile. L’aver puntato continuamente il dito contro il nemico palestinese, generando quella che il patriarca di Gerusalemme ha definito una “politica del disprezzo”, non ha fatto altro che alimentare rabbia e frustrazione.
Una scelta che forse ha dato i suoi frutti nel breve periodo (chi ha paura del nemico e più ricattabile e quindi più facilmente si abbandona nelle mani dell’uomo forte), ma che ora sta mostrando l’altra – terribile – faccia della medaglia. E così all’interno di Israele si scoprono le faglie che lo dividono al suo interno, in uno stato che – lo ricordiamo – ha sempre fatto della sua unità un motivo di vanto. Lo spettro della guerra civile non è mai stato così vicino, e Bibi paga ora il prezzo del suo cinismo, non solo internamente grazie alla contestatissima riforma costituzionale, ma anche in politica estera (.CON n. 29, A. Avveduto e Elia Milani – Quale futuro per Israele/Crisi di una convivenza https://www.centroculturaledimilano.it/quale-futuro-per-israele/ ).
Alcuni si chiedono se i fatti di questi giorni possano costituire un diversivo fortuito che nasconda le beghe politiche e distrae gli oppositori dalle proteste a fiume. Per certi versi sì, ma da qui a parlare di nuova e ritrovata unità all’interno della società la strada è lunga.
C’è poi un altro aspetto più inquietante e pericoloso, che è il coinvolgimento degli altri attori in gioco nello scacchiere internazionale, come nell’accordo tra Arabia Saudita e Israele in primis. Un accordo che l’Iran, storico alleato di Hamas, non vuole in alcun modo e che ora può essere messo a rischio. La settimana scorsa un rappresentate saudita si è recato per la prima volta in Cisgiordania per parlare con i rappresentanti dell’Autorità palestinese: obiettivo era capire quanto costasse il sostegno dell’Autorità Palestinese al processo di normalizzazione tra Riyad e Tel Aviv. Ora lo stiamo scoprendo.
I sauditi non fanno fatica a sborsare quattrini per consentire alle élite palestinesi di rimanere dominanti nel desolato panorama della Cisgiordania. Dopo i fatti di questi giorni, saranno costretti a trattare direttamente con Hamas?
Anche se all’Iran farebbe molto comodo, è un’opzione per ora di difficile realizzazione. Passeranno per la mediazione egiziana? E’ ancora troppo presto per dirlo, soprattutto perché l’Egitto non ha fatto una bella figura in questa prima fase della guerra.
I sauditi in cambio del riconoscimento di Israele avrebbero chiesto un impegno statunitense maggiore, come ad esempio la difesa da ogni attacco, esponendo di fatto gli Stati Uniti a essere in trincea aperta con l’Iran più che mai. Questa strana alleanza – perché di alleanza si tratta – offre anche la possibilità di sviluppare in territorio saudita un programma nucleare che aumenti la capacità di deterrenza anti-iraniana, appare evidente tutto l’interesse di Teheran di bloccarlo, mandando al macello Hamas, Gaza, la popolazione palestinese e forse anche il solido alleato libanese. 

Se si allarga il conflitto

C’è poi un ultimo, più improbabile ma più grave, elemento: il conflitto su scala regionale e globale. Se ‘Guerra Mondiale’ non si nasce, ma si diventa, l’aumento di tensione in Medio Oriente può essere auspicato da alcuni per riproporre con forza lo scontro tra i due blocchi delle grandi potenze. Il vero spauracchio è l’allargamento del conflitto a livello militare, considerati anche tutti i focolai a livello globale. Nei prossimi giorni capiremo se ci sarà un effettivo coinvolgimento anche sul fronte nord nella Cisgiordania e in Libano da parte di Hezbollah (per ora ancora in attesa, anche se il suo leader ha minacciato un’invasione a Nord di Israele). Brutto affare sarebbe se entrasse in gioco anche Teheran con un effettivo supporto militare, anche se oggi non appare così probabile, anzi. Ma ci troviamo in Medio Oriente, dove – per tornare all’incipit dell’articolo – la prima regola è che ciò che viene detto oggi può essere smentito tranquillamente domani. Ora gli occhi sono puntati su Gaza, dove si continua a morire, in attesa di decisioni urgenti. L’Europa? Non pervenuta, come sempre. Dopo aver lasciato all’estremismo islamista il monopolio della questione palestinese, oggi piange lacrime di coccodrillo. Che non servono a niente, non commuovono e soprattutto non convincono più nessuno.

Iran, la guida suprema, ayatollah Sayyed Ali Khamenei e il presidente Hassan Rohani,