Kafka. L’uomo non è una passione inutile. A 100 anni dalla morte. Mi venne incontro Kafka

2° incontro del ciclo:
Kafka. L’uomo non è una passione inutile
100° anniversario della morte
(Praga, 3 luglio 1883 – Kierling, 3 giugno 1924)

Mercoledì 8 maggio 2024 ore 20.30
Auditorium CMC Largo Corsia dei Servi, 4 Milano
Ingresso con Donazione 7€ – Amici CMC 5€

Lettura teatrale da Colloqui con Kafka, di Gustave Janouch
con
Andrea Carabelli, attore
Giulia Bertasi, alla fisarmonica

Andrea Carabelli
Giulia Bertasi

Kafka è uno dei profeti dell’animo contemporaneo.
Ebreo boemo scrittore di lingua tedesca, è una delle maggiori figure della letteratura del XX secolo.
Scopriremo la attualità di Kafka in due serate svolte con il Patrocinio del Consolato della Repubblica Ceca e la collaborazione del Centro Ceco di Milano.
L’Autore delle Metamorfosi, de Il Processo, Il Castello, Lettera al padre, di un Diario vastissimo e giornaliero, di Aforismi: documenta la crisi e la speranza dell’uomo di oggi, l’ossessione e infelicità moderna.
Il mondo normativo, il castello della burocrazia dove conta l’apparenza è lo scenario nel quale una salvezza d’improvviso potrebbe chiamarci: Anche se la salvezza non viene, voglio però esserne degno a ogni momento” (Dialoghi con Kafka Gustave Janouch).
Dopo il secolo dell’uccisione del padre, Kafka afferma ugualmente l’esistenza del mondo del padre, oltre l’orizzonte dell’assurdo (Sartre “l’uomo è una passione inutile”). Nell’assenza di una eredità (tradizione) quello di Kafka è il sacrifico di esistere sperando, farlo per noi, senza affermare, in un rifugio artistico o intellettuale, l’inutilità del vivere.
Per Aharon Applefeld, il grande scrittore israeliano, Kafka è il riferimento primo. Seguiremo anche i passi di Charles Moeller (Letteratura e Cristianesimo F. Kafka la speranza ritornata umile, profonda lettura suggerita da don Luigi Giussani).
Vitale, perfino gioioso, per nulla tenebroso, K. aveva il problema del vivere e lo affermò contro tutte le apparenze, descrivendone il labirinto.
Con K. possiamo capire l’umano, la profetica e dolorosa percezione di un mondo in frantumi e la tragedia imminente (la Shoah e le ideologie progressiste totalitarie).
Alla sua morte K. volle -quasi affidandoli al soffio della storia vista da un Altro- che tutti i suoi testi fossero distrutti. Max Brod, amico di sempre invece li conservò e via via li pubblicò.

Gustave Janouch, autore dei Dialoghi con Kafka, giovane poeta e letterato incontrò Kafka, dal 1920 in poi, tra il suo ufficio (presso l’Istituto Assicurazioni del Regno di Boemia), la scrivania e la sua casa.

I dialoghi sono pubblicati nel 1947, dopo le sue peripezie e persecuzioni, prima col nazionalsocialismo e poi col comunismo. Janouch muore a Praga nella primavera 1968

Un testo straordinario, nella forma dei dialoghi avvenuti, che raccoglie di Kafka i pensieri immediati sul mondo, la letteratura, le confidenze su di sé, tracce decisive per leggere i suoi racconti e diari. Una testimonianza del clima di un Europa tra le due guerre, il lato umano e religioso di Kafka nel suo confronto con la scienza, il pensiero ebraico, il sionismo, tra yiddish, modernità e futuro.

“Kafka ha creduto nell’amore, nonostante i suoi dolori.. E’ facile dire di no, è difficile dire di sì, soprattutto quando si esce dalle catacombe dell’angoscia e della disperazione, dalle colonie penali che Kafka ha immaginato e che esistono veramente, e tuttavia è necessario affermare la verità del mondo e della paternità, verità che è, anche se ci fa morire” (…)

“Kafka è testimone di una scelta fondamentale che governa tutte le “conversioni” metafisiche e religiose al di là d’ogni conversione a una specifica religione, filosofia o politica: la scelta di una speranza ridiventata umile, per cui soffrendo la più terribile prigionia mai provata da un ebreo dell’Europa centrale, egli preferisce accusare se stesso, piuttosto che disperare per il mondo e maledire l’universo; e sceglie di “essere” davanti agli uomini e alla loro terra fraterna, il “sì” che fu di Cristo davanti al Padre.”
Charles Moeller

“Non sono tanto la pigrizia, la cattiva volontà, la goffaggine -benchè vi sia una certa parte di tutto questo, perché “il verme è nato dal nulla”- a farmi fallire, o a farmi fallire in tutto: vita familiare, amicizia, matrimonio, professione, letteratura; è la mancanza della terra, dell’aria, della legge (der Mangel des Bodens, der Luft, des Gebotes)”
Franz Kafka

“Ecco il mio compito: crearmi tutto questo, non per riaffermare quello che ho perduto, ma per poter dire a me stesso che nulla ho perduto, perché questo compito equivale a un altro. E’ questo anche il compito più originale (ursprunglichste) o almeno il suo riflesso, la sua luce: così come quando si sale sulle cime dove l’aria è rarefatta, si penetra d’un tratto in un riverbero del sole lontano. Non è nemmeno un compito eccezionale, anzi è stato posto altre volte. Non so però se sia stato della stessa estensione.”
Franz Kafka

“Dalle esigenze (Erfordernisse) della vita non ho portato con me nulla, a quanto sappia, eccetto la comune debolezza umana.
Con questa -e da questo punto di vista è una forza gigantesca- ho assunto potentemente la negatività dei miei tempi che mi sono del resto assai vicini, che non ho il diritto di combattere ma che fino a un certo punto ho il diritto di rappresentare. Non ho avuto parte ereditaria né nella esile positività, né nell’estrema negatività che si trasforma in positività. Come non sono stato introdotto nella vita dalla mano già debole del cristianesimo, come Kierkegaard, così non mi sono aggrappato, come i sionisti, all’estremità del taleth di Israele che il vento porta via con sé. Io sono un termine o un inizio”
(F. Kafka, Aforismi)

 

 

Dalla Introduzione di Luca Doninelli al volume

Nonostante la necessaria parzialità e arbitrarietà di una scelta – l’edizione originale di Letteratura moderna e Cristianesimo si compone di cinque volumi – i profili degli autori presentati in questo libro offrono una testimonianza significativa del metodo di lettura di Moeller, che è basato su due fattori fondamentali. Da una parte riferirsi all’opera di un autore come a una cosa sempre viva, dall’altra la volontà di non separare mai l’uomo e le sue opere dalla realtà della vita stessa. Da questo approccio nasce una straordinaria capacità di conversazione. Moeller, infatti, non parla di Kafka, Camus, Sartre e Péguy: conversa con loro. Fornisce le proprie ragioni, ma anche le chiede. E lo scrittore, non sempre di buon grado, risponde a sua volta. Ciò spiega il fulcro intorno al quale ruotano le indagini dell’autore e la meta finale dei suoi percorsi: non gli aspetti stilistici o estetici, e neanche i punti di rottura o le discontinuità, il pensiero sociale o politico o la visione del mondo. Ciò che Moeller cerca in ogni scrittore è semplicemente la libertà.

Il saggio su Kafka è intitolato “Franz Kafka. O la terra promessa senza speranza”

 

 

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