Michel Houllebecq ascolta Neil Young: canzoni per chi crede che la felicità è possibile.

Cinquant’anni fa esce l’album “Harvest” ora disponibile in versione de-luxe. Un disco epocale. Per musica e contenuti assai attuale. Il country rocker canadese è uno degli artisti preferiti dello scrittore francese Michel Houllebecq. Le ragioni? «Le canzoni di Neil Young sono fatte per coloro che sono spesso infelici, solitari, che sfiorano le porte della disperazione; ma che continuano tuttavia a credere che la felicità sia possibile». E in “Harvest” vi è un brano che traccia il cammino di Young. Una ballata struggente e avvolgente: “Heart of gold”. Alla ricerca di un cuore d’oro. Materia prima per la vita. Per la vita da vivere.


16 dicembre 2022
di Enzo Manes

Michel Houellebecq e Neil Young in una recente conferenza

Dunque: un album epocale che compie cinquant’anni; una voce inconfondibile di un canadese irregolare; uno scrittore francese bravo, puntuto, mai da tracurare. Il disco è “Harvest” (quarto della sua produzione), la voce solo in apparenza fragile è quella di Neil Young, lo scrittore sempre da un’altra parte, è Michel Houellebecq.
Valeva già la pena di tornare ad “Harvest”, e a quel 1972, anno straordinario per la musica (escono, ad esempio: Lou Reed “Tranformer”; Deep Purple “Made in Japan”; Genesis “Foxtrot”; Jethro Tull “Thik as a brick”; David Bowie “The rise and fall of Ziggy Sturdust anche the spiders from Mars”. E in Italia, il sorprendente “Aria” di Alan Sorrenti non ancora figlio delle stelle) per raccontare di un disco fondamentale. E di un artista di grande talento che ha regalato brani straodinari, per la sua musica che arriva e per i testi che non surfano sull’onda ma vanno a fondo, a piombo nelle cose vere della vita.
Tuttavia, ha reso irresistibile la voglia di scriverne, la circostanza di un articolo di Houllebecq dedicato proprio a Neil Young che abbiamo rintracciato nel libro “Cahier” uscito nel 2019 (in Italia per la Nave di Teseo), un fantasmagorico volume pieno di spunti, istantanee, incursioni nel cinema, nella musica, nella filosofia. E nella letteratura, ovvio. Interventi anche disorganici che confermano, qualora ve ne fosse bisogno, l’originalità e l’irrequietezza del suo pensiero.
Ma eccolo il Neil Young secondo Houellebecq. E soprattutto il Neil Young di “Harvest” che non ha mai smesso di girare sul suo giradischi. Riportiamo cosa scrive in un passaggio che è un invito all’ascolto di quel disco, ma anche di altri album della sua florida produzione, non tutte perle come è quasi banale evidenziarlo: «Le canzoni di Neil Young sono fatte per coloro che sono spesso infelici, solitari, che sfiorano le porte della disperazione; ma che continuano tuttavia a credere che la felicità sia possibile.

Per coloro che non sono sempre felici in amore, ma che si innamorano sempre di nuovo. Che conoscono la tentazione del cinismo, senza essere capaci di cedervi a lungo. Che possono piangere di rabbia alla morte di un amico; che si chiedono realmente se Gesù Cristo possa venire a salvarli. Che continuano, in tutta buona fede, a pensare che si possa vivere felici sulla Terra. Bisogna essere un grandissimo artista per avere il coraggio di essere sentimentale, per correre il rischio della sdolcinatezza».
Houellebecq non si fa problema ad azzardare. D’altronde ammette che Neil Young gli tiene ancora compagnia, una compagnia scomoda e perciò sincera, da tanto, da tanto tempo. Una compagnia vera che non stanca.

Neil Young Heart of Gold live harvest

Tracce d’essenziale
Che “Harvest” sia un capitolo fondamentale del percorso dell’artista canadese, ma molto statunitense per amicizie (nel disco, tra gli altri, ci sono James Taylor e Linda Ronstadt; ma fanno capolino anche i tre suoi compari della scena californiana: David Crosby, Stephen Stills e Graham Nash, quelli con cui firmò l’album iconico “Déjà vu”) e influenze, è un giudizio condiviso. Magari si potrebbe obiettare se rappresenti il vertice della sua produzione, diciamo che se la gioca con un’altra pietra miliare: “After the gold rush”, uscito nel 1970.
Il punto è che “Harvest” è un disco che ha segnato un’epoca. Ogni pezzo è un solco sul terreno del quotidiano. Per davvero una traccia. La musica che oscilla tra le ballate country rock con richiami alla tradizioni folk a qualcosa di più smaccatamente ruvido; e con con quella matrice vocale che penetra, ostinata, quasi nasale, unica e familiare. Quel timbro vocale che fa risuonare testi che si tengono fuori dal banale, che destano attenzione andando al cuore delle questioni più elementari senza innalzare proclami. Certo, in altri fasi della sua carriera Young non si è risparmiato quanto a critiche sociali ruvide, dirette, implacabili. Ma qui, in “Harvest” sta soprattutto sull’essenziale.

Un umano vero pepita preziosa
Folgorante, nell’album, un brano. Una ballad meravigliosa (curiosità: non piacque a Bob Dylan, la ritenne troppo uguale al suo stile: sarà per i tre magnifici intermezzi con l’armonica a bocca?). Che l’autore volle pubblicare anche come singolo (raggiunse il primo posto nella classifica Usa così come il trentatrè giri). Il pezzo si intitola “Heart of Gold”, cioè un cuore d’oro. Il testo è una ricerca. La ricerca di un cuore d’oro. Il cuore, già.
E dunque la ricerca di un umano vero, interessante, da scovare negli altri, da far affiorare in sé. Come l’immagine del minatore che sottoterra percuote la roccia (quindi fa fatica ma è una fatica sensata) per trovare ciò che è bene prezioso, l’oro che fa vivere, che batte, che mette in circolo: il cuore, appunto. L’essere senza cuore, scoprirsi così, è una condizione che non soddisfa, deprime l’uomo, falsifica le carte, lo mette fuori registro: il sangue non circola più e la vita, pur vivendo, si spegne.
Neil Young dice che sta invecchiando cercando un cuore d’oro. Ma non è stanco di compiere quel tragitto in sé e fuori di sé. E non si tratta solo di una ricerca di un tipo umano generoso. Ma di tipi umani con cui condividere la vita, una risposta, verrebbe da dire, a quella solitudine che, subita, non fa ricchezza. Ecco il testo di “Heart of gold” in una sua traduzione: 

Voglio vivere
voglio dare (agli altri)
sono stato (come) un minatore (alla ricerca) di un cuore d’oro
Sono quei modi di essere
che non esprimo mai
che mi fanno proseguire la ricerca di un cuore d’oro
E sto invecchiando (cercandolo)
Mi fanno continuare la ricerca di un cuore d’oro
E sto invecchiando
Sono stato a Hollywood
Sono stato al Redwood National Park
Ho traversato l’oceano per cercare un cuore d’oro
Ho guardato dentro di me
C’è una linea così sottile (tra la scelta della solitudine e la continua ricerca degli altri)
che mi fa continuare la ricerca di un cuore d’oro
E sto invecchiando
mentre continuo a cercare un cuore d’oro
E sto invecchiando
Continuo a cercare un cuore d’oro
Continuo a cercare mentre sto crescendo e diventando vecchio.

Francesco Santosuosso – Particolare della Illustrazione su CON per il romanzo ANNIENTARE di Michel Houellebecq

Disco spartiacque
Houllebecq, un altro tipo che non conosce la pratica della rassegnazione, coglie nella domanda di Neil Young – e lo scrittore francese ne esalta la sua ricerca negli interstizi di un presente più incline a far deragliare – ciò che sta a cuore pure a lui. Si sente provocato, lo ascolta, ci pensa su. E il disco gira e rigira. Pompa. Pompa come il cuore che pompa. E ti comunica che la vita non merita di essere… spompata. Fin dalle prime ore del mattino il piccone batte sulla roccia dura alla ricerca della materia prima indispensabile. Come dicevano i vecchi saggi? Eh, il mattino ha l’oro in bocca! 
Per celebrare i cinquant’anni di “Harvest” è uscita un’edizione deluxe: “Harvest 50th Anniversary edition”. Oltre all’album c’è tanto altro materiale: un libro, un poster, un documentario e una memorabile performance realizzata per la Bbc. Ha detto Neil Young: «Per me è un grande album. (…) Questo disco è stato uno spartiacque nella mia vita. Ho suonato con alcuni grandi amici ed è davvero bello che questo album sia durato così a lungo. Mi sono divertito moltissimo e ora, quando lo riascolto, penso di essere stato davvero fortunato ad essere lì». Fortuna nostra.