Milan Kundera: «La verità solo con il confronto fra idee libere e uguali»

Il pensiero del grande scrittore ceco in un libro che ne rilancia l’attualità: “Un Occidente prigioniero. La tragedia dell’Europa centrale” (Adelphi). Due interventi. Il primo, assai coraggioso e illuminante, al Congresso degli scrittori cecoslovacchi (1967); il secondo, un saggio scritto nel 1983 a Parigi dove è riparato a partire dal 1975. Il ruolo centrale della cultura come anelito di “primavera”.  Il superamento della logica dei blocchi contrapposti che affossa e sequestra l’Occidente. L’Europa dell’est tra anelito al cambiamento e la realtà della censura voluta da Mosca. Un libro che testimonia come una cultura viva possa fungere da innesco alla speranza di una novità dal volto umano. Una sfida che vale per tutti. Una sfida che non vuole piegarsi alla sola logica dei mercati. Un pensiero fecondo che pone interrogativi su quale modello di Europa


27 gennaio 2023
di Alessandro Banfi

Milan Kundera

Un Occidente sequestrato. Un Occidente in ostaggio, cancellato dalle logiche della guerra fredda e dal comunismo. Un Occidente schiacciato fra i due blocchi, rimasto intrappolato oltre la “cortina di ferro”. È per molti aspetti di grande attualità un libretto che viene riproposto oggi da Biblioteca Adelphi e che raccoglie due interventi del grande scrittore ceco Milan Kundera. Il volumetto, dal titolo “Un Occidente prigioniero”, sottotitolo “la tragedia dell’Europa centrale”, mette insieme il discorso che Kundera pronunciò coraggiosamente in apertura del Congresso degli scrittori cecoslovacchi del 1967, quasi una profezia della Primavera di Praga dell’anno successivo, e un saggio scritto nel 1983 a Parigi, dove lo scrittore era riparato nel 1975, per il giornale Le Débat.

Praga, agosto 1968 – L’invasione da parte della Federazione delle Repubbliche Sovietiche – Unione Sovietica

Un pesante fardello

Nella storica allocuzione di apertura al Congresso, sfidando le autorità del blocco sovietico che controllavano allora la Cecoslovacchia, Kundera esalta la fioritura di una grande stagione culturale. Si mette alla guida di un momento creativo di eccezionale originalità e varietà – che attraversa la letteratura (Hrabal, Škvorecký, Vaculik…), il teatro (Havel, Topol) e soprattutto il cinema (Forman, Passer, Menzel, Němec, Chytilová…). Un momento ricchissimo, emerso con evidenza di fronte al mondo, nonostante la censura voluta da Mosca. La “nazione ceca” non è “alla periferia culturale dell’Europa”,  ne è anzi per così dire al centro. Ma è un centro negato dalle logiche della divisione del mondo in blocchi.

Quello del 1967 è un grido di auto affermazione e di ribellione. Dice Kundera fra l’altro: “La repressione di qualsiasi opinione, inclusa la brutale repressione di false opinioni, va, in fondo, contro la verità, quella verità che si raggiunge solo attraverso il confronto di idee libere ed eguali. Qualsiasi forma di interferenza nella libertà di pensiero e di espressione – indipendentemente dal metodo e dalla qualifica di tale censura – è nel XX secolo uno scandalo, nonché un pesante fardello per la nostra letteratura in pieno fermento”. Fermento davvero profetico quello letterario citato da Kundera, che farà crescere la coscienza dei giovani ciechi fino alla Primavera di Praga

Caffè San Marco di Trieste – luoghi di Mitteleuropa

È molto chiaro, dopo tanti anni, che quell’età dell’oro della cultura ceca degli anni Sessanta è andata oltre il puro fatto letterario. Perché è riuscita sempre di più a liberarsi dai lacci della censura di regime, senza però cadere nelle criticità del mercato. Ecco che la Primavera di Praga del 1968 può essere compresa così non solo come momento politico, ma come atto finale di un processo di libertà, innescato dalla creatività letteraria e culturale di quel periodo.  

Vignetta – scrittori ebrei in Russia

L’Europa ad Est sotto la minaccia di sparizione

Nel saggio del 1983, Milan Kundera ragiona sull’amaro destino di quei Paesi dell’Europa centrale che sono legati culturalmente all’Occidente ma che sono politicamente incatenati all’Est. Sono da lui definite “piccole nazioni”, Paesi che in qualsiasi momento possono vedere messa in questione la propria esistenza, che possono sparire, e ne sono consapevoli. Scrive su Le Débat: «I genitori di Sigmund Freud venivano dalla Polonia, ma è in Moravia, il paese in cui sono nato, che il piccolo Sigmund ha passato la sua infanzia, non diversamente da Edmund Husserl e Gustav Mahler; radici in Polonia aveva anche il romanziere viennese Joseph Roth; il grande poeta ceco Julius Zeyer nacque a Praga da una famiglia germanofona e il ceco era la sua lingua di elezione. In compenso la lingua materna di Hermann Kafka era il ceco, mentre suo figlio Franz adottò integralmente la lingua tedesca. Lo scrittore Tibor Déry, figura chiave della rivolta ungherese del 1956, proveniva da una famiglia germanico-ungarica, e il mio amato Danilo Kiš, eccellente romanziere, è ungarico-jugoslavo. Quale intreccio di destini nazionali celano le figure più rappresentative! E tutti quelli che ho appena menzionato sono ebrei. In nessun’altra parte del mondo, infatti, il genio ebraico ha lasciato un’impronta tanto marcata».

Negli anni 80 Kundera difende strenuamente la memoria di un’Europa centrale, sotto continua minaccia di sparizione. In parte già distrutta dal nazismo (si pensi alla cultura degli shtetl raccontata nei romanzi dei fratelli Singer oggi spazzata via) e messa sotto il tallone del comunismo sovietico. Scrive ancora Kundera: «Che cos’è l’Europa centrale? L’incerta zona di piccole nazioni strette fra Germania e Russia. Insisto su questi termini: piccola nazione. Che altro sono gli ebrei, del resto, se non una piccola nazione, la piccola nazione per eccellenza? L’unica di tutte le piccole nazioni di ogni epoca che sia sopravvissuta agli imperi e alla marcia devastatrice della Storia…».

I giorni dopo la Primavera-di-Praga

Oggi chi si interroga sul futuro dell’Europa?

La temperie di oggi rilancia il tema di come la guerra, espressione feroce della geo-politica, schiacci e minacci le culture. Esattamente come fecero i regimi nazisti e comunisti del passato. Non possiamo pensare che l’Europa e la Russia siano culturalmente ostili, perché non lo sono nella loro storia e nella loro identità. Così come non si può pensare che la cultura ucraina debba essere assorbita e cancellata dalle pretese della Federazione Russa. La guerra di oggi che contrappone l’Occidente all’Oriente contiene lo stesso tasso di ingiustizia e violenza che Kundera condannava negli anni Sessanta e Ottanta. Sostiene ad un certo punto il grande scrittore ceco: «Un francese, un russo, un inglese non hanno l’abitudine di interrogarsi sulla sopravvivenza della loro nazione».  Vero. Ma oggi ci interroghiamo sulla sopravvivenza dell’Europa, dell’Ucraina e della Russia. E le domande di Kundera sul futuro del nostro continente sono più che mai attuali.

Milan Kundera emigrato a Parigi