Nomination 2024: le dolorose dimenticanze

Di tutto e di più quest’anno nelle nomination alla notte tanta attesa dei premi. Qualcosa di interessante c’è, come il nostro “Io capitano” di Matteo Garrone, ma in generale i film migliori non sono stati scelti. Per l’arte dei Lumière un duro colpo, non certo inatteso. Così va il mercato, bellezza. E allora, ecco i riflettori accesi su alcune opere assai belle che non ce l’hanno fatta. Come il capolavoro di Aki Kaurismaki “Foglie al vento”.Una struggente poesia dell’esistenza.


9 febbraio 2024
Oscar degli errori
di Giancarlo Grossini

Fotogramma da Io Capitano Matteo Garrone

Arrivano gli Oscar e parlarne diventa un gioco per tutti gli appassionati del grande schermo che possono far ipotesi su chi vincerà.
Sottrarsi all’operazione non è possibile per chi vive di cinema. E allora ecco che cosa ne pensa chi scrive.
Bombe, bambole, processi variamente impostati, migranti, lavori di pulizia, anticipi visionari alla Neuralink Musk, storie vere di sfruttamento e diritti negati, c’è di tutto quest’anno, e questo va benissimo perché è come se la crisi delle sale vuote volesse farsi in là, lasciando allo sperato avviso di un “tutto esaurito” il compito di far piazza pulita della prevista scomparsa dell’arte dei Lumière. Augurandoci che esista davvero un “domani alla Cortellesi” per quanti lavorano su un set, proviamo a dare una risposta alla statuetta losangelina. Innanzitutto eliminando i favoriti, e dicendo che non tutte le opere candidate sono state viste.
Cercando invece di tirar fuori qualcosa nel numero ampio di quei film che non siano riusciti ad arrivare al premio più ambito, perché si tratta di giocare e di esprimere opinioni personalissime sul mondo dei sogni, un tempo in celluloide, ora sempre più su piattaforme che allargano il campo delle possibilità.

Fotogramma dal Film Saltburn

Dalla Finlandia originalità e stile

Un titolo su tutti che meriterebbe premi in ogni categoria, arriva dalla Finlandia ed è firmato da un regista amatissimo da chi scrive. Unico per originalità e stile, Aki Kaurismaki che con il suo “Foglie al vento” ha composto una poesia dell’esistenza, dove gli ultimi possono ancora trovare un riscatto e imbastire rapporti capaci di dare una pennellata di conforto alle solitudini dell’oggi.
Ennesima grande prova da Kaurismaki, da sempre attento a girare senza sprechi di set, senza divi, senza tutto quello che solitamente fa “glamour” quando il cinema si allea alle ragioni economiche e alle strategie di mercato. Eppure il regista vince, sa allestire uno spettacolo perfetto, da qualunque angolazione lo si guardi.
Perfette le scenografie che son fatte di pochi elementi capaci di suggerire condizioni di vita e di cultura. Perfetti gli attori capaci di bucare lo schermo perché scelti in una specie di anonimato fisionomico che permette a chi guarda il processo di identificazione. Perfetto il corredo sonoro che fa del film un curioso musical senza esserlo nel comune pensare di che cosa sia un musical cinematografico, perché ogni episodio della trama è sottolineato da una particolare partitura musicale, e trova nell’unica esibizione live il punto di svolta nella progressione della storia.
Perfetto il montaggio, perfetta la fotografia. Si capisce subito che questo è il film che più ho prediletto nella stagione scorsa, e che potrei proseguire tanto da scriverne un saggio.

Il Regista Aki Karusmiaki, Paese natale Finlandia

Di Caprio fuori dalla cinquina: senza parole

Occuparsi di Oscar, significa occuparsi di chi, più dei registi, più di ogni altro premio assegnato nella notte delle stelle, diventa la traduzione a tutto tondo del vocabolo “star”, ovvero gli attori. Rimanendo senza parole alla mancanza di Leonardo DiCaprio fra quanti sono in lizza come miglior attore. Il suo Ernest in “Killers of the Flower Moon” di Martin Scorsese, avrebbe meritato di più, e invece neppure una citazione.
Ma poiché ci vogliamo occupare di chi è rimasto fuori dalle nomination, spezziamo una lancia a favore di una straordinaria prova dell’irlandese Barry Keoghan in “Saltburn” della londinese Emerald Fennell. Film che senza motivazione logica se non quella di un mercato strambo nelle scelte, ha avuto distribuzione su piattaforma, rinunciando alle sale (dove avrebbe incassato).
Keoghan fa girar la testa per capacità interpretativa e per camaleontico voltafaccia in una ambiguità luciferina, e carica di perturbante tutto da scoprire per chi non abbia visto l’opera. Opera corposa e turgida nel suo essere pienamente spettacolo in grado di assorbirne le linee guida compositive dove trovano spazio il classico (romanzo di formazione), il thriller (impossibile capire come sia il finale), l’horror e la critica sociale (le classi si confrontano senza ritegno alcuno).

Ok Garrone, ma perché no Antonio Albanese?

E veniamo agli italiani. Ok per “Io capitano” di Matteo Garrone che è in gara, ma Marco Bellocchio con “Rapito”, e i suoi splendidi attori, da Fausto Russo Alesi (quando lo si lancerà internazionalmente, tanto è bravo?) a Barbara Ronchi, a Filippo Timi, insomma tutto il cast. O Antonio Albanese, regista e attore in “Cento domeniche”, straordinario film che meritava un domani?
La lista potrebbe continuare, e abbracciare altre esclusioni, una su tutte, Agnieszka Holland e il suo “Green Border”, oltre due ore di assoluto rigore registico e di enorme empatia con quanto accade intorno ai rifugiati e alle assurdità dei confini.