Olivier Roy, la dittatura dei codici e delle norme

Occidente deculturato

I nostri comportamenti sono sotto schiaffo. Vittime della tendenziale scomparsa dell’implicito, delle evidenze. Così non ci si comprende più. È tutto un proliferare di codifiche che impattano sull’io, sulla libertà della persona. Una perdita sostanziale che produce piccole e grandi storture. È il trionfo della desertificazione umana con il tracollo dei pilastri culturali elementari. Si tratta di un appiattimento che sregola. Che slega. Dove i legami non hanno più cittadinanza. Ma, come dice la realtà non contraffatta, la vita vera non si può anestetizzare. Pensieri in cammino a proposito di un dialogo fra Olivier Roy, islamista e politologo e il filosofo Costantino Esposito promosso dal Centro culturale di Milano


24 marzo 2023
di Andrea Caspani

©Lucia Laura Esposto

È notizia di qualche giorno fa che la preside di una scuola elementare di Viareggio ha cancellato la Festa del Papà, ufficialmente per non discriminare i bambini privi di papà. Il movente, come ha notato un arguto commentatore, era sicuramente nobile, ma l’esito è rovinoso: “per non far soffrire i bambini senza padre si fanno soffrire quelli che volevano trascorrere qualche ora in classe con i padri”.
Al di là dell’eterogenesi dei fini di questa iniziativa, la percezione dello slittamento del significato del gesto, notata dal commentatore, delinea bene il nodo del problema: si dice che non si vuole discriminare, ma al fondo quel che si vuole evitare è che qualcuno soffra.
Ma è pensabile una vita senza la dinamica della sofferenza? E può una scelta normativa evitare questo nodo drammatico della vita?
In questo slittamento del problema antropologico in una codificazione normativa dei gesti ritroviamo il nodo concettuale di Aplatissement du monde (Seuil, 2022, a breve in uscita anche in italiano), l’ultimo libro di Olivier Roy, uno dei massimi studiosi dei cambiamenti religiosi e culturali del nostro mondo, che è stato recentemente oggetto di un ampio dialogo al CMC col filosofo Costantino Esposito.

©Lucia Laura Esposto

La scomparsa dell’implicito

La tesi di fondo del libro è che stiamo vivendo una profonda crisi della cultura, il che implica la tendenziale scomparsa dell’implicito, con il passaggio alla codificazione e alla normativizzazione di ogni tipo di comportamento.
La scomparsa dell’implicito per Roy è il segno della perdita di quell’orizzonte comune, di quel nucleo di evidenze implicite ed esplicite che permettono di comprendersi tra persone che condividono uno spazio territoriale come luogo di esperienza, in sintesi che condividono una cultura.
Come esempio di questa deculturazione (che attraversa in particolare la cultura occidentale) porta nel libro il caso del passeggero che vuole imbarcarsi su un aereo accompagnato da un pavone, con un certificato che attesta la indispensabilità di questo sostegno psicologico. Riporta poi il caso (avvenuto realmente) di un altro viaggiatore che pretende di portarsi dietro un alligatore al guinzaglio (ovviamente il caso è accaduto in Florida!) e contesta con veemenza il divieto ricevuto.
Roy individua in fatti di questo tipo il crollo di evidenze culturali di base elementari, come la differenza tra animale domestico e animale selvatico, così come più in generale, dalla messa in discussione della classica  differenza tra la bestia, l’uomo e l’angelo teorizzata da diverse correnti culturali contemporanee, ricava il giudizio che quando i diversi ordini della realtà non vengono più implicitamente riconosciuti si giunge ad un appiattimento culturale, che ormai “riguarda tutte le culture, non solo quella occidentale”.
Ancora più interessante è comprendere come le compagnie aeree sono riuscite a risolvere la complicata casistica dell’accompagnamento di animali: varando un regolamento che in modo chiaro ed esplicito enumera le diverse tipologie di animali e norma tutti i diversi casi possibili di imbarco.
La conseguenza è che oggi, siccome non si può più dare per scontato nulla di implicito, tutto va normato con regole chiare ed esplicite (come in un gioco, dove se non rispetti le regole sei fuori): da qui la codificazione e la normativizzazione crescenti delle relazioni umane”, una tendenza che oggi è sotto gli occhi di tutti.

©Lucia Laura Esposto

Le cause della capillare codificazione

L’analisi ricca, articolata ed organica dei fattori tipici (dalle codificazioni delle relazioni sessuali a quelle linguisticamente “corrette” ecc.) di questa tendenza contemporanea alla deculturazione si intreccia con l’analisi critica del contesto che l’accompagna, dalle radici sessantottine al trionfo del neoliberismo, dalla globalizzazione alla trasformazione dei diritti umani, dalla crisi della politica (di destra e di sinistra) all’affermazione del moralismo riparatorio.
L’incontro del CMC ha aggiunto ulteriori elementi alla ricchezza di analisi del libro, perché Esposito ha saputo mostrare come l’originalità della critica all’appiattimento nella visione del mondo, conseguenza del crollo dei fondamenti delle diverse culture, sia frutto di una posizione umana conforme, a-critica rispetto al contesto analizzato, sia cioè sorretta dall’esercizio di uno sguardo, espressione  di un io consapevole della sua irriducibilità, capace di intuizione della realtà e di giudicare criticamente “quella colossale macchina di elaborazione del senso che è la cultura”.
I due studiosi si son trovati a condividere il giudizio che la tendenza alla codificazione capillare di tutti i comportamenti e gli aspetti della realtà comporta il venire meno della possibilità di cogliere, di “percepire” il problema dell’umano, il problema che è l’umano.
Come evitare allora che venga silenziata la voce dell’umano? Con accentuazioni diverse il dialogo ha mostrato una ulteriore convergenza anche nella pars construens della riflessione: per Esposito la voce umana ha come risorsa per farsi sentire, anzi ancor meglio per ascoltarsi, l’esperienza, che è sempre percezione della ‘sensatezza’ del mondo (come mostra anche il caso limite di chi soffre per l’insensatezza con cui tanti vivono oggi).
Chi poi si domandasse se il criterio per giudicare (e criticare) una cultura sia qualcosa di “costruito” culturalmente o qualcosa di eccedente la cultura stessa, potrebbe riflettere sul fatto che tutta la critica alla identità irriducibile dell’io è basata sul ricondurre il soggetto umano alle sue emergenze neuro-fisiologiche (in definitiva biochimiche), per cui la coscienza emergerebbe dalla mente e la mente emergerebbe dal cervello.
Certamente se così fosse l’io sarebbe solo una costruzione culturale, in quanto fittizia “identità” sostanziale, frutto dell’elaborazione culturale di emergenze neuro-fisiologiche; ma anche ammesso che nella elaborazione del sé (individuale e sociale) agiscano sempre, necessariamente, dei fattori culturali, come si spiegherebbe a sua volta l’emergenza della stessa cultura? È l’esperienza dell’io che genera la cultura, non viceversa.

©Lucia Laura Esposto

Il superamento dell’autoreferenzialità della coscienza

Anche per Roy il principio della cultura non può essere culturale, ma esistenziale, ma per fare cultura occorre fare società. È necessario ricostituire il legame sociale che la deterritorializzazione della globalizzazione ha distrutto. Così ad esempio non si può rifare la cultura mediante la creazione di un club di discussione su internet. Internet è la desocializzazione perché permette la relazione con gli altri solo di una parte di sé.
La crisi della cultura oggi è la crisi del legame sociale che pure è una domanda implicita di tanti io che sono alienati da questa società e che vorrebbero riscoprire una socialità praticabile in un ambito territoriale.
Il sociologo della cultura francese però è pessimista sulle modalità di riscoperta del legame sociale espresse da tanti movimenti (di destra e di sinistra) apparsi sulla scena mondiale in questi ultimi decenni  (dai gilet gialli francesi, ai manifestanti della piazza Tahrir al Cairo, ai contestatori di Occupy Wall Street): osserva infatti che si è assistito al tentativo di ricreare un legame sociale occupando pezzetti di territorio … ma dopo qualche giorno la gente è tornata a casa: questo metodo non funziona.
Purtroppo in alternativa ai tentativi di ricreare un legame sociale a partire dalla base ha avuto molto più successo una forma di pedagogia autoritaria ‘soft’, che pretende insieme di irreggimentare il desiderio di socialità e di estirpare i modelli ‘negativi’ di comportamento, rischiando però di eliminare ogni spazio di libertà per l’umano.
Così ad esempio per Roy  si può ritrovare la pedagogia autoritaria anche in movimenti come il #metoo e nel femminismo, perché vogliono educare ad un nuovo modello di mascolinità, non attraverso una battaglia politica, ma pedagogica, appoggiandosi alla legge, ad una normatività comportamentale, nell’illusione che il pedagogismo sessuale possa sradicare le pulsioni, invece che mirare a riconciliare l’io con il desiderio.
Anche se l’orizzonte descritto nel libro è tendenzialmente pessimista, Oliver Roy non lo è sul piano esistenziale, perché riconosce che la domanda di socializzazione permane e soprattutto coglie (come nel mirabile capitolo 7 dedicato alla sofferenza e alla riparazione) che la grande domanda di significato che scaturisce dalla fragilità umana è uno sbocco potente a superare l’autoreferenzialità della coscienza, e la tendenza alla codificazione e alla normatività totalizzante.

©Lucia Laura Esposto

La condizione umana tra piaceri e sofferenze

Emblematico della consapevolezza del grande limite della deculturazione contemporanea è stato poi il giudizio, espresso in un dialogo successivo all’incontro, sul motivo esistenziale di questa pervasività normativa della contemporaneità: il bisogno continuo della norma scaturisce dal tentativo di porre un argine alla realtà più drammatica della vita, per “difendersi dal dolore e dalla sofferenza”.
Un rapporto autentico con le ferite della realtà è quindi il vero punto di partenza per ricreare un autentico legame sociale; la vita infatti non si può anestetizzare e le persone si incontrano solo condividendone i bisogni reali.
Come ci ha ricordato Massimo Gramellini nella sua rubrica quotidiana Il caffè sulla prima pagina de Il Corriere della Sera (15 marzo 2023) all’iniziativa della preside di Viareggio: “La condizione umana è fin dall’infanzia una mescolanza di piaceri e sofferenze che andrebbe spiegata e accompagnata più che rimossa a colpi di divieti. Quando persi mia madre, la maestra strappò da tutti i sussidiari la pagina che parlava di mamme. Aveva agito per proteggermi, e ancora adesso la purezza delle sue intenzioni mi commuove, però la sofferenza mi aspettava comunque all’uscita da scuola, quando mi ritrovavo a essere l’unico senza una madre ad attenderlo. Un bimbo può partecipare alla Festa del Papà anche se non ha un papà: magari in compagnia di un altro adulto a cui vuole bene. Includere significa aggiungere, non abolire”.
Aggiungiamo noi che “all’uomo che soffre, Dio non dona un ragionamento che spieghi tutto, ma offre la sua risposta nella forma di una presenza che accompagna, di una storia di bene che si unisce ad ogni storia di sofferenza per aprire in essa un varco di luce. In Cristo, Dio stesso ha voluto condividere con noi quella strada e offrirci il suo sguardo per vedere in essa la luce.” (Papa Francesco)