Oltre le urne: il desiderio di normalità e pace del popolo russo

Quel che non dicono le elezioni farlocche nella Russia di Putin. In quel grande Paese qualcosa si sta muovendo pur nel clima tragico della repressione. La giornalista dell’Agi, già corrispondente a Mosca, in libreria con “La Russia Moralizzatrice. La crociata del Cremlino per i valori tradizionali” (edito da Piemme) racconta la domanda di una Russia diversa presente tra le persone. A quello occorre guardare. Anche da parte di un’Europa che per troppo tempo ha sottovalutato il pericolo dell’autocrate del Cremlino.


22 marzo 2024
Lo zar spregiudicato
Conversazione con Marta Allevato a cura di Andrea Avveduto

La coda di protesta alle 12 ai seggi elettorali

La Russia di oggi non è figlia dell’impero zarista, ma dell’Unione Sovietica”.

La Giornalista Marta Allevato parte con questa frase netta e lapidaria per raccontare le radici di quanto sta accadendo oggi nel regno di Vladimir Putin, appena riconfermato dopo le elezioni in un copione già scritto. E nel suo libro “La Russia Moralizzatrice. La crociata del Cremlino per i valori tradizionali” (edito da Piemme) racconta con estrema chiarezza la trasformazione sociale che il nuovo zar sta tentando su più fronti. A partire da un isolamento che non comincia con l’invasione dell’Ucraina, ma ben prima.

Marta Allevato, è Putin che ha abbandonato l’Europa o è l’Europa che ha abbandonato Putin?

Fino al 2004, il primo anno del primo mandato, ha tentato un avvicinamento con il vecchio continente, forse anche sincero, non perché fosse ideologicamente o culturalmente vicino ai valori europei liberali e democratici, ma perché gli conveniva in quel momento. Questo tentativo non ha poi funzionato per diverse ragioni. Anche l’Occidente ha delle responsabilità: ha sottovalutato il personaggio, che fin dall’inizio ha dato segnali di essere un autocrate. Non parlo solo della guerra in Cecenia, ma anche e soprattutto della chiusura delle televisioni indipendenti e di altre azioni di controllo sui media nazionali. L’atteggiamento verso le rivoluzioni colorate nell’Europa post-sovietica, le primavere arabe e l’uccisione di Gheddafi hanno contribuito a definire il rapporto con Putin, che era e rimane un uomo del KGB. L’Europa ha creduto che agganciare la Russia economicamente fosse sufficiente a controllarne lo sviluppo democratico, ma si è trattato di un errore. Oltre a questo, negli anni successivi Putin ha cercato di creare un un’ideologia unificante per la Russia, che vuole risollevare il paese dal trauma degli anni ’90, da una parte riabilitando Stalin e dall’altra difendendo la Chiesa Ortodossa. Ma questo non significa un riavvicinamento all’Occidente, quando più un tentativo di unire il paese.

È davvero difficile credere che la riabilitazione di Stalin e la difesa della Chiesa Ortodossa possano andare di pari passo, visto l’ateismo di stato che ha dominato nel Novecento. Come è stato possibile?

Dal punto di vista politico, la Russia cerca un’ideologia unificante per risollevarsi dal trauma politico e sociale degli anni ’90 (dopo aver perso la Guerra Fredda). La storica vittoria dell’Armata Rossa sul nazismo è diventata un perno di questa ideologia, e la riabilitazione di uno Stalin edulcorato si colloca su questo filone, creando l’immagine di un leader forte, indispensabile per la nazione.
Dall’altra parte la Chiesa Ortodossa, sostenitrice di Putin, è diventata parte integrante di questa narrazione, contribuendo alla sua legittimazione come leader forte e difensore dei valori tradizionali.

Putin sembra molto affezionato ai valori cristiani (quanto poi lo sia in realtà è da vedere), ma in questo momento la Chiesa russa sembra più affezionata a lui che ai valori tradizionali. Crede che la Chiesa ortodossa abbia delle alternative rispetto a questo atteggiamento “servilistico”?

La collaborazione della Chiesa con lo stato non è aliena nell’ortodossia russa e alcuni settori del clero e della comunità non trovano scandalo in questa commistione, specialmente in regioni come il Medio Oriente, dove religione e politica si intrecciano da sempre. Tuttavia, ci sono segni di disillusione e allontanamento da parte di alcuni fedeli, che vedono nella Chiesa un’apparente mancanza di sostegno e di conforto umano, soprattutto in tempi di guerra.
In generale, l’approccio di Putin rispetto alla Chiesa riflette in qualche modo l’atteggiamento verso lo stato, che è autoritario, centralizzato e di matrice sovietica, dove si predilige la fedeltà al potere piuttosto che la critica o il libero pensiero, con un controllo che tende a diventare repressione. La Chiesa è andata dietro questo atteggiamento: ha riformato l’episcopato promuovendo vescovi giovani ma chiedendo innanzitutto una fedeltà incondizionata.

Se è vero che l’ateismo di stato ha portato negli anni dell’Unione sovietica a una rinascita religiosa, questo ritorno forzato alla fede non potrebbe paradossalmente produrre l’effetto opposto?

Si tratta di un fenomeno estremamente interessante: da una parte notiamo come alcune persone, deluse dalle istituzioni e in cerca di conforto, si siano rivolte alla Chiesa durante i difficili anni ’90. Tuttavia, ci sono stati segni di disillusione e allontanamento da parte di alcuni fedeli, specialmente in risposta alle politiche aggressive della Chiesa durante i conflitti recenti.
Lo scisma della Chiesa in Ucraina e l’atteggiamento militante di alcuni sacerdoti hanno alienato parte della comunità religiosa russa, che cerca invece pace e conforto. Nel libro racconto di un sacerdote che è stato allontanato perché – violando le direttive del Patriarcato – ha inserito in una preghiera la parola “pace” al posto di “vittoria”. La repressione del dissenso ha ulteriormente complicato il rapporto tra la Chiesa e la società civile, portando alcuni fedeli a sentirsi isolati e privati del sostegno di un organo importante che poteva ospitare un dissenso.

Come giudica le parole del Papa riguardo all’Ucraina e al suo approccio generale?

Personalmente mi hanno sorpreso, anche se non è la prima volta che le parole del Papa sembrano più vicine a Mosca che non a Kiev. Quest’ultima uscita ha alimentato speculazioni su una presunta conoscenza del Papa di fatti non noti al pubblico.
C’è qualcosa che non sappiamo e che il Santo Padre conosce? Tuttavia, le parole del Papa possono anche essere lette anche come un tentativo di mediazione e pacificazione, soprattutto considerando il suo ruolo di ponte tra le nazioni.
Il Vaticano ha lavorato molto su questioni umanitarie per un rilascio di bambini con risultati positivi, ma resta da vedere se una mediazione più ampia sia ancora possibile, soprattutto considerando la complessità della situazione e le recenti tensioni. La visita del Papa a Kyev, tanto auspicata da alcuni, sembra lontana, oggi forse impossibile. Come pure una visita a Mosca.

Femminismo, omosessualità, religione: sono alcuni degli aspetti su cui lei si concentra nel libro per raccontare questa trasformazione. Quanto il popolo russo è veramente con Putin in questo tentativo di moralizzare la nazione?

Il consenso può sembrare granitico, ma si basa principalmente sulla paura e sul terrore. Ci sono segni di dissenso e malcontento, che non necessariamente si traducono in un’opposizione politica diretta a Putin.
Le persone cercano soprattutto una ritrovata normalità e pace. Sono stanche dello scontro permanente con l’Occidente proposto da Putin. Tuttavia, Putin tocca corde sensibili nella popolazione russa, su tutti il nazionalismo e l’idea della Russia come grande potenza assediata. È difficile dire se un cambiamento politico in Russia sia possibile, ma il malcontento c’è, anche se non sempre si manifesta apertamente contro Putin. La proposta ideologica del governo russo non riflette completamente le aspirazioni e i valori della società russa, che sembra essere più progredita e aperta di quanto il regime voglia far credere. Putin propone una visione che guarda al passato, mentre la Russia in questi anni ha compiuto dei passi avanti e manifesta un desiderio di normalità e pace.

Mosca 3 ottobre 2016 la gente sulla vecchia via di Arbat