Papa Francesco: tutto quello che ha donato alla “sua” Chiesa

Un grande pontefice che, sulla scia del pontificato di Benedetto XVI, ha coltivato il fatto cristiano come “l’incontro con un avvenimento, con una persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva”. La priorità dell’annuncio sulla dottrina; il dialogo interreligioso e in modo particolare perseguito con l’Islam moderato; la preoccupazione per la guerra mondiale a pezzi; l’impegno incessante e drammatico per la pace. Un Pastore che ha saputo consolare il suo gregge fino all’ultimo respiro


25 aprile 2025
Fede e Grazia
di Massimo Borghesi (Per gentile concessione dell’autore e del Sussidiario.net)

Ogni volta che mi chiamava per telefono lo riconoscevo, un po’ per il numero “privato”, e un po’ per il tono inconfondibile della voce. E lui, papa Francesco, ogni volta si meravigliava: “Ma mi ha riconosciuto?”. E si metteva a ridere con una risata spontanea e coinvolgente. Quel riso e quella voce ora ci mancheranno. Così come ci mancherà lui, la sua persona, il Papa latino-americano.
È stato un grande pontefice. Non è certamente il solo. Tutti gli ultimi papi, da Paolo VI, passando per Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, sono stati grandi. Tutti avevano chiaro come, dopo il Concilio Vaticano II, la Chiesa dovesse riprendere la prospettiva dei primi secoli, quella di una comunità pellegrina nel mondo, fondata su una testimonianza di fede e di grazia.
Bergoglio, da provinciale dei gesuiti argentini, e poi da vescovo e cardinale di Buenos Aires era figlio di quella prospettiva. Tra i papi prediligeva il “grande” Paolo VI, il Papa del Concilio, colui che si era caricato l’onere di traghettare la Chiesa, immersa nel mondo ormai secolarizzato, fuori da nostalgie per una cristianità perduta.
Il che non significa, come hanno pensato i tradizionalisti che tanto lo hanno angustiato, che Francesco sia stato un papa modernista. Era moderno, libero verso usi e consuetudini che rispecchiavano lo spirito dei tempi, e, al contempo, profondamente radicato nella tradizione, quella della fede semplice e genuina del “pueblo fiel” delle nazioni latino-americane. San Giuseppe e santa Teresina del Bambin Gesù erano l’oggetto delle sue preghiere.
Francesco, al pari di Giovanni Paolo II, ha ereditato una Chiesa in frantumi, la stessa che ha indotto alle dimissioni papa Benedetto. Quando viene eletto sul soglio di Pietro, il 13 marzo 2013, la Chiesa è piagata dallo scandalo della pedofilia, colpa grave per la quale rischia di essere portata di fronte al tribunale internazionale dell’Onu. In America molte diocesi sono al collasso a causa dei risarcimenti verso le vittime. Nonostante il coraggio di Benedetto, che toglie il velo dell’omertà e confessa apertamente le colpe del clero e dei religiosi, l’onda di sdegno sembra travolgere tutto. Con Francesco la fiducia rinasce, la sua testimonianza, forte e severa, consente di voltare pagina. Un cambiamento importante che i critici del Papa tendono volentieri a dimenticare.

Papa Francesco la Messa a Copacabana coi giovani del Brasile

Evangelii gaudium, il manifesto del suo pontificato

Da subito il suo pensiero è stato chiaro. Personalmente lo ha affrontato nella Esortazione apostolica Evangelii gaudium del 2013, il manifesto del suo pontificato. La chiave è l’affermazione, tratta da Deus caritas est di Benedetto XVI, per cui “all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva” (EG, 7).
La Chiesa, per uscire dal clericalismo conseguente alla sua chiusura nella fase post-comunista seguente al 1989, doveva riscoprire la priorità dell’annuncio sulla dottrina morale, uscire dalle mura in cui si era trincerata per difendersi dalla secolarizzazione tipica dell’occidentalizzazione, curare le ferite dell’anima e del corpo, senza pretendere di decidere, a priori, le vie della grazia.
Nel mondo degli uomini soli, della competizione economica incontrollata fondata solo sulla logica del profitto, la Chiesa, senza ridursi a Onlus, deve essere “ospedale da campo”, il luogo di una rinnovata fraternità. Questo porterà Francesco ad essere l’oggetto degli strali del neocapitalismo liberal, la corrente che in America trovava una sponda fertile nei neocon di derivazione cattolica. Quella di Bergoglio non era, però, utopia; era profezia. La globalizzazione univa i mercati dividendo uomini e popoli. Costituiva la premessa di un mondo profondamente conflittuale.
Al pari dei profeti, che gridano solitari nel deserto, Francesco intravedeva già all’esordio del suo pontificato quello che, dieci anni fa, non era evidente: la terza guerra mondiale a pezzi. Una profezia che, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e la guerra tra Israele Gaza, pare pericolosamente avvicinarsi. Di fronte a questo quadro il filo rosso che percorre tutto il pontificato è stato il grido, intenso ed ininterrotto, per la pace. Un grido che il suo successore non potrà trascurare.

La Messa a Mosul in Iraq nel 2021

Il dialogo interreligioso e la pace

Uomo della pace, il Papa è stato il fautore appassionato del dialogo tra le religioni, con l’islam in particolare. Quando il terrorismo islamico percuoteva l’Europa, dopo l’11 settembre 2001 e la guerra contro l’Iraq, devastando il Medio Oriente con Al-Qaeda prima e l’Isis poi, Francesco ha cercato insistentemente il rapporto con l’islam moderato in nome del Dio della misericordia contro il dio della violenza.
Per questo è stato criticato violentemente dagli occidentalisti fermi al quadro manicheo dello scontro tra le forze del bene e quelle del male. Al contrario, è dall’impegno di Francesco che sorge l’importante documento di Abu Dhabi Fratellanza umanaPer una pace mondiale e la convivenza comune, siglato il 4 febbraio 2019. Testo che è la premessa dell’enciclica Fratelli tutti pubblicata il 3 ottobre 2020, la Pacem in terris di papa Bergoglio.
Per la pace il Pontefice si è speso in ogni modo intraprendendo viaggi nelle zone più rischiose del mondo, spesso con l’unico scopo di confortare le comunità cristiane presenti. A questa categoria appartengono i viaggi in Kenya, Uganda, Centrafrica, nel novembre 2015, e quello in Iraq nel marzo 2021, con tappe a Baghdad, Najaf, Nassiriya, Erbil, Mosul, Quaraqosh. Gli ultimi anni, dal febbraio 2022, lo hanno visto protagonista nel sollecitare Washington e Bruxelles a trovare soluzioni diplomatiche al conflitto russo-ucraino. Allo stesso modo ha invitato continuamente a deporre le armi nel sanguinoso scontro tra Israele ed Hamas. Invano.

SX: papa Francesco l’incontro in Iraq col Grande Ayatollah Ali al-Sistani Imam – DX: papa Francesco e l’imam Al-Tayyeb 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi – Il documento Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune

Un cristiano “normale”

Ora che Francesco non è più, tutti ne riconoscono la grandezza, l’ultima grande figura morale in un tempo arido, privo di testimoni riconosciuti. La Chiesa che viene non potrà disconoscere la sua lezione, quella di una fede che si fonda sulla misericordia, a cui è dedicato il Giubileo del 2015, sull’attenzione agli scarti, a ciò che è debole, indifeso, fragile. Non potrà dimenticare la figura di un Papa che si concepiva come un cristiano “normale”, come un povero peccatore prescelto dalla grazia. Papa dei “lontani”, che ha scontentato molti “vicini”, ha saputo avvicinare alla Chiesa agnostici e non credenti. Nell’abbraccio e nella tenerezza il Cristo dei Vangeli torna ad incontrare i cuori disillusi del nostro tempo.
Così Francesco, autentico padre dei popoli, se ne è andato il Lunedì dell’Angelo. Ha accompagnato la sua Chiesa fino all’ultimo, come Giovanni Paolo II, fino all’ultimo respiro con il volto contratto dal dolore. Ha voluto salutare il suo popolo, il popolo dei cristiani in piazza San Pietro, benedirlo un’ultima volta dalla loggia della basilica, far leggere il suo ultimo discorso contro la guerra.
In precedenza, il Giovedì Santo, era andato in visita al carcere, a Regina Coeli. Non aveva potuto lavare i piedi dei detenuti, come faceva di solito. È rimasto nella carrozzina inviando baci alle persone che lo guardavano da dietro le sbarre della sezione protetta. Poteva risparmiarsi e, dopo il suo ritorno dall’ospedale Gemelli, attendere, pazientemente, la sua guarigione. Non ha voluto. Ha forse intuito che la sua ora stava arrivando e che doveva assolvere fino in fondo il suo compito. Il Pastore ha voluto confortare il suo gregge fino alla fine, prima che le forze lo abbandonassero. Con la Pasqua il tempo si è compiuto e noi non possiamo che ringraziarlo per tutto quanto ha donato alla sua Chiesa.