Disinnescare la Bomba
Ottant’anni dopo le tragedie di Hiroshima e Nagasaki siamo di nuovo qui a dover fare i conti con la presenza della Bomba. Se ne parla con eccesso di disinvoltura quasi che fosse una possibile risoluzione ai problemi con il nemico di turno. Ottant’anni dopo siamo di nuovo al rischio del lampo nucleare. Perché c’è sempre una guerra fredda che può diventare calda. Eppure le analisi per quanto lucide non possono chiudere le porte alla speranza. Per l’edizione 2025, il Meeting per l’Amicizia fra i Popoli di Rimini ha scelto una frase di Eliot per dire che la Bomba non può avere l’ultima parola: “Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi”. Altro che “si vis pacem para bellum”
18 luglio 2025
Editoriale

Quanto si parla oggi della Bomba. Di quella Bomba. Dell’atomica che ottant’anni fa devastò Hiroshima e Nagasaki. E le coscienze. Il primo attacco atomico dal cielo succede alle ore 8.15 del 6 agosto 1945 sulla città giapponese di Hiroshima. Il secondo, tre giorni appresso, su Nagasaki. Finora sono state le prime e ultime volte. Ma quanto si parla oggi della Bomba. Con una disinvoltura che fa paura. Con una disinvoltura che fa temere che quel che è accaduto in quei giorni di morte potrebbe di nuovo accadere. Con esplosioni ancor più devastanti perché la tecnologia, com’è nelle cose, fa il suo corso. E oggi la messa in atto del lampo tecnologico non lascerebbe scampo.
Ad alcuno.
Si è detto: c’è un prima e un dopo Hiroshima e Nagasaki. L’espressione “mai più” ha continuato a risuonare per anni e anni forse protetta dalla lunga stagione della Guerra Fredda. Adesso non si tratta di rimpiangerla, tuttavia la scomposizione dei blocchi e la ricomposizione dei blocchi con nuove alleanze sta favorendo un clima generale che un po’ atterrisce. E non è una situazione distopica da libri e film di fantascienza. Stavolta la realtà corre il rischio di superare l’immaginazione.

L’estremo rimedio per finire il nemico
Non a caso l’ultimo numero della rivista Limes si intitola: corsa alla Bomba. E le prime righe dell’editoriale motivano perché l’attenzione di tutti debba essere ai massimi. Scrive: «Siamo entrati nell’era della Bomba come arma di pronto impiego per potenze di prima classe. Le atomiche tornano quel che furono ottant’anni fa, a Hiroshima e Nagasaki: estremo rimedio per finire il nemico. Ma in contesto drasticamente diverso. La guerra dei dodici giorni fra Israele e Iran con la partecipazione straordinaria degli Stati Uniti non sarà ricordata per i suoi modesti esiti tattici ma per lo sconvolgimento che ha innescato su scala globale. Perché ha sancito la fine della deterrenza nucleare basata sulla mutua distruzione assicurata. Gli arsenali nucleari effettivi o latenti non assicurano più la vita di chi li possiede, per esempio Israele, o potrebbe presto dotarsene, come l’Iran. Mentre garantiscono di riportare all’età della pietra chi venisse preso di mira da una potenza nucleare convinta che il nemico stia cercando di produrre la Bomba. Paranoia delle guerre preventive di Stati atomici contro presunti aspiranti». Il punto non è che così distruggendo si torna all’età della pietra ma così distruggendo si va all’età della pietra. L’uomo, quando ci si mette, muove la Storia inabissandola. E dunque inabissandosi.

Il mondo non ha pace: la testimonianza di Tagashi Paolo Nagai
Dall’avvio del pontificato sono numerosi gli interventi preoccupati di papa Leone XIV davanti alla situazione che stiamo vivendo. I suoi appelli alla pace sono quelli di chi avverte il pericolo del crollo globale. Il mondo non ha pace perché l’uomo dimostra di avere scarsa memoria, perché inaridito nella coscienza. E non è solo una mutazione antropologica che riguarda i potenti di questo tempo. Chiamarsi fuori dall’arena devastante è già una resa. Alla mentalità guerresca, al monopolio della Bomba.
Schivare la tentazione di assecondare il monopolio della Bomba è sempre una possibilità. Chi ne fu vittima allora perché toccato negli affetti più cari – come il medico giapponese Tagashi Paolo Nagai – ha testimoniato la verità di quella possibilità.
Le sue parole, che non vengono da qualche particolare illuminazione, ma dalla cultura di vita che appartiene all’avvenimento di Gesù Cristo pace vera, sono ossigeno in questo tornante della Storia. Parole di speranza perché vissute da lui prima di tutto. In uno scenario di morte, del tutto ridotto in cenere e macerie, dove era quasi impossibile ritrovarsi a ragionare. A riprendere la semina. In quel deserto, in quella desolazione dove, alla vista, la vittoria sembrava proprio quella della Bomba sulla vita.

Il deserto che non prende il sopravvento
E così c’è sempre una possibilità per affermare che la Bomba non è la chiusura del cerchio nichilista. Ecco, allora, che fa riflettere la frase di T.S. Eliot tratta dai Cori della Rocca e scelta come titolo dell’edizione 2025 del Meeting per l’Amicizia fra i Popoli (comunemente lo si chiama Meeting di Rimini, invece conviene, soprattutto di questi tempi affaticati scriverlo, leggerlo e farlo proprio nella sua dicitura intera): “Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi”. La Bomba si disinnesca non arrendendosi al deserto che vuole prendere il sopravvento prima di tutto nel cuore di ciascuno.
Nei deserti della contemporaneità c’è sempre un Tagashi Paolo Nagai da incontrare. Come il bellissimo Programma del Meeting fa pregustare. Allora, nell’anno giubilare dedicato alla speranza non cediamo al ritornello facile e tendenzioso del “se vuoi la pace preparati alla guerra”. E quel che vuole la mentalità vinta dalla Bomba.