«Premio Montale Fuori di Casa» 2023 a Paolo Rumiz, sezione Homo Viator

Paolo Rumiz

Mercoledì 27 settembre 2023 ore 18.00
Auditorium CMC – Largo Corsia dei Servi, 4 Milano

Incontro con Paolo Rumiz
che riceve il Premio Montale fuori di casa sezione Homo Viator

Saluti introduttivi di Camillo Fornasieri Direttore del Centro Culturale
Adriana Beverini Presidente del Premio Montale
Arnoldo Mosca Mondadori Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti e del Direttivo del Premio
Interventi di
On. Massimiliano Salini Eurodeputato
Massimo Capuani Sezione Homo Viator (premiato nel 2022
Coordina Alice Lorgna Portavoce del Premio Montale
in collaborazione con Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti
con il contributo di Fondazione Cariplo

Riprendono a Milano le premiazioni del “Premio Montale Fuori di casa” 2023.
Il Premio verrà assegnato a Paolo Rumiz, che ascolteremo in questa occasione milanese. Scrittore, giornalista, reporter di guerra e soprattutto instancabile viaggiatore.
Nella motivazione del Premio si legge che Paolo Rumiz ha attraversato – nei lunghi anni della sua professione – quelle terre di confine che racchiudono in loro il peso della Storia, la violenza dei totalitarismi e dei nazionalismi, la ferocia dei conflitti ma anche la ricchezza di territori complessi, etnicamente misti, risultato di secoli di migrazioni. Il suo bisogno di conoscere e vedere, da viaggiatore e intellettuale, si è sovente diretto a Oriente, in quello spazio quasi infinito che include l’area slava estesamente intesa (area balcanica, danubiana, baltica), così come il Mediterraneo orientale.
Nel suo penultimo  libro “Il filo infinito” l’autore s’imbatte nella statua del patrono d’Europa, san Benedetto da Norcia. Rumiz descrive così la dorsale appenninica, lunga crosta montuosa al centro dell’Italia, del Continente e di tutto il Mediterraneo popolata da monasteri benedettini: “In nessun luogo la percezione della Cristianità coincide in modo così perfetto con la topografia e la geografia”.
Da lì, in un’Europa distrutta e dilaniata dalle invasioni barbariche, nel VI secolo dopo Cristo un gruppo di uomini ha cominciato a ricostruire la civiltà edificando monasteri, pregando, lavorando e accogliendo i viaggiatori, gli ospiti, gli stranieri, gli invasori.
Per il giornalista-scrittore, la crisi dell’Europa è dovuta al fatto che “ignora le proprie radici. Dimentica di essere la terra delle regole, la terra di Benedetto”.
Con il suo ultimo libro Canto per l’Europa edito da Feltrinelliafferma Adriana Beverini –  Rumiz ci mette in guardia da un grave rischio che come europei stiamo correndo: perdere il sogno dell’ Europa. Ciò avviene ogni volta che rinneghiamo le nostre radici, in gran parte mediterranee, insieme alla nostra cultura del diritto, del welfare, della filosofia, della democrazia. Ogni volta che nel nostro Mediterrano affonda un barcone carico di migranti. Ciò che resta, perso il sogno, è una realtà europea imbarbarita e senz’anima, che ha dimenticato le sue origini e persino il suo nome, che è quello della principessa fenicia rapita da Giove-toro”.

A fine premiazione, come è uso del Premio Montale Fuori di Casa, verranno donate ai presenti, sino ad esaurimento, proprio copie del libro “Canto per l’Europa”.

L’Europa rischia di trovarsi faccia a faccia con il proprio lato oscuro per la terza volta in appena un secolo. I danni della crisi finanziaria globale sono peggiori della sola povertà economica, arrivano a intaccare gli animi. Nel Vecchio Continente serpeggia la divisione, ci si rinchiude in identità forse mai esistite storicamente che danno l’illusione di sentirsi più piccoli, più uguali e più protetti. Sembrano essere finiti nel dimenticatoio, quando non esplicitamente avversati, derisi e insultati i valori della civiltà. La cura del prossimo, l’ascolto e l’accoglienza. Ciascuno, che sia uno Stato, una famiglia o un singolo individuo, si sente minacciato da ciò che lo circonda e cerca di difendersi. Mentre al di là (ma anche al di dentro) dei nostri confini è avvenuto questo rovesciamento di ideali, in Italia abbiamo assistito a un susseguirsi di terremoti, negli ultimi dieci anni, che hanno lasciato cicatrici dolorose o ferite ancora aperte e sanguinanti. Macerie, rovine, uomini e donne diroccati come le loro vecchie case. È in mezzo a questa desolazione che un uomo ha avvertito quale può essere il messaggio della rinascita. Quell’uomo è Paolo Rumiz. Nato a Trieste nel 1947, una carriera da giornalista iniziata sulle colonne del quotidiano della sua città, il Piccolo, e proseguita da editorialista de La Repubblica. Da metà degli anni Ottanta è stato inviato all’estero, dai Balcani al Medio Oriente. Ha affiancato alla sua attività pubblicistica quella di autore di reportage sui suoi viaggi, diventati altrettanti libri. Che gli hanno fatto vincere numerosi premi, sia giornalistici sia letterari. Il suo penultimo libro “Il filo infinito”, edito da Feltrinelli, è una storia di speranza che prende avvio in terra d’Appennino. Dove l’autore s’imbatte nella statua del patrono d’Europa, san Benedetto da Norcia. Rumiz descrive così la dorsale appenninica, lunga crosta montuosa al centro dell’Italia, del Continente e di tutto il Mediterraneo popolata da monasteri benedettini: “In nessun luogo la percezione della Cristianità coincide in modo così perfetto con la topografia e la geografia”. Da lì, in un’Europa distrutta e dilaniata dalle invasioni barbariche, nel VI secolo dopo Cristo un gruppo di uomini ha cominciato a ricostruire la civiltà edificando monasteri, pregando, lavorando e accogliendo i viaggiatori, gli ospiti, gli stranieri, gli invasori. Per il giornalista-scrittore, la crisi dell’Europa è dovuta al fatto che “ignora le proprie radici. Dimentica di essere la terra delle regole, la terra di Benedetto”. Ha quindi smesso di costruire e di accogliere, mentre il senso del sacro si è andato sempre di più diluendo. Dell’urgenza di una resurrezione dell’Europa e del suo viaggio in tanti monasteri benedettini, dalla Lombardia fino all’Ungheria governata da Viktor Orbán, ma non solo, Rumiz ha parlato ad Assisi sabato 21 settembre, nell’ambito del “Cortile di Francesco” dedicato al tema “In_Contro”. Nella sala “Dono Doni” del Sacro convento ha proferito parole che suonano come un monito e come una preghiera: “Si può ricostruire il nostro legame con il sacro, con l’invisibile della nostra vita rifacendoci a questi uomini che ‘oravano et laboravano‘”.

Paolo Rumiz è scrittore e giornalista triestino, inviato speciale del «Piccolo» di Trieste ed editorialista de «La Repubblica». Esperto del tema delle Heimat e delle identità in Italia e in Europa, dal 1986 segue gli eventi dell’area balcanico-danubiana. Nel 2001 invece segue, prima da Islamabad e poi da Kabul, l’attacco statunitense all’Afghanistan. Vince il premio Hemingway nel 1993 per i suoi servizi dalla Bosnia e il premio Max David nel 1994 come migliore inviato italiano dell’anno. Ha pubblicato, tra l’altro, Danubio. Storie di una nuova Europa (1990), Vento di terra (1994), Maschere per un massacro (1996), La linea dei mirtilli (1993), La secessione leggera (2001), È Oriente (2003), Gerusalemme perduta (2005), La leggenda dei monti naviganti (2007), Annibale. Un viaggio (2008), L’italia in seconda classe, con i disegni di Altan e una Premessa del misterioso 740 (2009), La cotogna di Istanbul (2010), Il bene ostinato (2011), A piedi (2012), Trans Europa Express (2012), Morimondo (2013), Maledetta Cina (2012), Il cappottone di Antonio Pitacco (2012), Come cavalli che dormono in piedi Ambra sulla corrente (2014), Appia (2016), Dal libro dell’esodo (con Cécile Kyenge), Il filo infinito (2019), Il veliero sul tetto (2020) e Canto per l’Europa (2021). Quasi tutti i titoli di Paolo Rumiz sono pubblicati in Italia da Feltrinelli.

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