«Questo modo d’essere è l’amore»

Lo scrittore nato a Cuba nel 1923 e morto a Siena nel 1985, dà alle stampe nel 1963 un racconto lungo o romanzo breve poco conosciuto: “La giornata di uno scrutatore”. L’autore ci mette dieci anni a scriverlo, “più di quanto avessi impiegato per ogni altro mio lavoro”. È un’opera che sorprende.
Succede poco ma succede molto, se non tutto quel che serve. È la storia di uno scrutatore comunista destinato al seggio elettorale allestito al Cottolengo di Torino. Per lui sarà una giornata particolare. Dove l’impatto con quella realtà sgretola alcune sue granitiche certezze. Nell’apparente assenza di fatti succedono invece cose che cambiano il corso delle cose


9 febbraio 2023
Calvino rampante
di Enzo Manes

Italo Calvino

“Posso dire che, per scrivere una cosa così breve, ci ho messo dieci anni, più di quanto avessi impiegato per ogni altro mio lavoro”. La confessione di Italo Calvino sorprende e incuriosisce. Riguarda un suo racconto non molto lungo, tra i meno conosciuti e pubblicizzati, “La giornata di uno scrutatore” (Mondadori oggi, la prima edizione del 1963 per Einaudi).
La prima idea di questo racconto gli viene il 7 giugno 1953, di passaggio per una decina di minuti al seggio collocato al Cottolengo di Torino, in quanto candidato alle elezioni per il Partito Comunista. Inizia così a scrivere la storia di uno scrutatore comunista che si trova in quel posto tanto particolare ma si blocca quasi subito, perché non ritiene ne stia uscendo qualcosa di buono.
Si convince che solo vivendo l’esperienza di scrutatore al seggio in quella realtà avrebbe potuto scrivere un racconto autentico. L’occasione si presenta con le elezioni amministrative del 1961.

Stefano Robino, Torino1970 – Dalla Mostra al CMC Stefano Robino, Il Fare, il limite, la bellezza Alle origini di un’Italia industriale @Paolo Robino

Luogo di dolore e carità

Ecco perché non è un azzardo cogliere nel protagonista della storia vicinanze a Calvino. Si tratta di un cittadino di appartenenza comunista a cui tocca il compito di fare lo scrutatore in una sezione elettorale che si trova all’interno del Cottolengo di Torino, altrimenti detto Piccola Casa della Divina Provvidenza.  
Una città nella città fondata da un sacerdote, san Giuseppe Cottolengo, tra il 1832 e il 1842 allo scopo di offrire un posto dignitoso per accogliere minorati e deformi, le creature che vanno tenute nascoste per non spaventare. Amerigo Osmea, il suo nome. Un tipo disincantato, piuttosto certo del fatto suo, a suo modo un intellettuale organico, con accenti di pessimismo e anche punte di cinismo nell’approccio al quotidiano. Ma quella circostanza di impegno civile e insieme militante lo segnerà; perché entra, conosce e si lascia conoscere dalla realtà drammatica, vera di quel luogo di dolore e carità, uscendone infine un po’ cambiato.
Calvino spiega di aver scritto pagine che ospitano riflessioni piuttosto che accadimenti, fatti. In senso stretto è così. Sembra che nulla di eclatante succeda. Tuttavia, non possono che essere fatti, assolutamente attaccati ai pensieri che affiorano in Amerigo Osmea, quelli che prendono corpo nel materializzarsi del vedere, dell’ascoltare, del dialogare. «Amerigo si vedeva – un po’ ironicamente e un po’ sul serio nella parte di d’un ultimo anonimo erede del razionalismo settecentesco».

Stefano Robino, mattino tra gli edifici del Cottolengo, Torino 1969 – Dalla Mostra al CMC Stefano Robino, Il Fare, il limite, la bellezza Alle origini di un’Italia industriale

La scoperta di un tempo prezioso

Tale eredità viene lentamente a perdersi in quella giornata particolare. Il suo metodo razionalista cede il passo al metodo della ragionevolezza. Da scrutatore al seggio accetta l’avventura di scrutare quella faccia di realtà. Ne viene un buon cammino. Seppur in principio avverta disagio, quasi ostilità a essere lì, sentendosi un ostaggio catturato dall’esercito nemico. Le ore che trascorre al Cottolengo, dentro la comprensibile fatica, lo liberano da quella umana percezione.
Non lo considera più tempo buttato, strappato al desiderio dell’abbraccio alla sua Lia seppur ultimamente litighino parecchio e nella monotona distrazione di un rapporto di coppia già stracco non sussulta neppure alla notizia di lei in dolce attesa.
I gravemente menomati, le persone così afflitte che vede e desiderano votare esprimono vita, sono esistenze di cui tener conto, volti e corpi anche deformi che però cambiano molte cose.
Lui da vecchio comunista teme che tutti quei voti vadano al partito cattolico, perché minorati, deformi e idioti vengono aiutati a mettere la croce sulla scheda proprio sul simbolo che Amerigo avversa. E questo non va bene, pensa e dice al presidente del seggio. Insomma, lo scrutatore del partito togliattiano vive la contraddizione. Quella giornata è così, un inaspettato banco di prova da cui non fugge via. E neppure tende a sopprimere l’incedere impetuoso di cose che succedono non come avrebbe voluto, come riteneva fosse.

Padre e figlio si guardano muti

Le cose che cambiano sono fatte così, avanzano. Amerigo le vede, fotografa la situazione riflettendoci: «La suora aveva scelto la corsia come un atto di libertà, aveva identificato – respingendo il resto del mondo – tutta se stessa in quella missione o milizia, eppure – anzi: proprio per questo – restava distinta dall’oggetto della sua missione, padrona di sé, felicemente libera. Invece il vecchio contadino non aveva scelto nulla, il legame che lo teneva stretto alla corsia non l’aveva voluto lui, la sua vita era altrove, sulle sue terre, ma faceva alla domenica il viaggio per vedere masticare suo figlio».
Sono fatti quel che vede. Fatti tenuti “nascosti” che lui scopre. E in quella scoperta fa un passettino in più che però è gigantesco: «Quei due, così come sono, sono reciprocamente necessari. E pensò: ecco, questo modo d’essere è l’amore».

Italo Calvino, la giornata di uno scrutatore. penna su carta Fr. Santosuosso 2024. per cmc. particolare

In ogni città c’è la Città

Amerigo Ormea, lo scrutatore inviato dal Partito a svolgere la missione condivisa, sceglie di spendere proprio la parola amore. Non la butta lì per risolvere in qualche modo la vicenda in suo favore.
Quel che vede, un padre e un figlio che muti si guardano per il tempo consentito, introduce un cambio radicale di prospettiva, “forse non lo sai ma pure questo è amore” a dirla con Roberto Vecchioni. Lo sgretolamento delle certezze fortificate dalla militanza non è certo l’affermazione di una sua abiura, di un tradimento o che altro. No, in quella giornata particolare è un lento arrendersi all’oggettività che lo rende finalmente incerto.
Un’incertezza forse attesa che gli consente di mettere a fuoco brandelli di realtà. «Anche l’ultima città dell’imperfezione ha la sua ora perfetta, pensò lo scrutatore, l’ora, l’attimo, in cui in ogni città c’è la Città».